Addio a Jana e Pancho una testarda e un pioniere (Clerici), Lacrime tristi per Novotna (Semeraro), Addio Novotna, stregò in lacrime la duchessa a Wimbledon (Lombardo), Il tennis piange per l'eroina Jana (Mancuso), II saluto di zio Toni «Rafa, grazie a te una vita da sogno» (Cocchi)

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Addio a Jana e Pancho una testarda e un pioniere (Clerici), Lacrime tristi per Novotna (Semeraro), Addio Novotna, stregò in lacrime la duchessa a Wimbledon (Lombardo), Il tennis piange per l’eroina Jana (Mancuso), II saluto di zio Toni «Rafa, grazie a te una vita da sogno» (Cocchi)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Addio a Jana e Pancho una testarda e un pioniere

 

Gianni Clerici, la repubblica del 21.11.2017

 

Non ci sono, nel nostro mondo del tennis, soltanto le felici notizie delle Next Generation, e quelle del Masters, di un campione che era parso più volte un fallito, di alto livello ma certo meno affermato di quanto avesse fatto immaginare da piccolo, Grigor Dimitrov. Ci sono anche casi drammatici, che i giornali inglesi mi hanno insegnato a non mancare, quando ero vice-corrispondente del Giorno da Londra, nella rubrica Obituaries, rubrica che ha almeno un pregio, di non lasciarsi sfuggire un solo nome. Oggi ce ne sono addirittura due. Quello di una donna che in molti ricordate, Jana Novotna perché avrebbe avuto molti anni ancora davanti a sé, e quello di uno che ricordiamo in pochi, perché addirittura più vecchio dello Scriba, Pancho Segura, di 96 anni. Di Jana cominciai a occuparmi non solo per il nome, eguale al mio, ma per il gioco, il serve and volley che era apparso una caratteristica di quelle che avevo assegnato alla categoria femminile delle Amazzoni. Grazie al tennis di stile mascolino Jana aveva terminato il 1990 e 1991 al primo posto nel doppio, insieme a una sorta di zia, Helena Sukova, e, dal ’90, era stata assistita, in ogni aspetto, dall’altra campionessa, come lei ceca, Hana Mandlikova. Il ’93 fu per lei un grande anno, la volta in cui tenne duro 3 set contro la Graf nella seconda fmale più lunga di Wimbledon dopo aver battuto in semi nientemeno che Martina Navratilova, alla quale non la legò mai una viva amicizia. Al contrario. Jana dovette tuttavia aspettare il suo tredicesimo Wimbledon, nel quale affermò, aveva continuato a credere «come nei sogni» per aver la meglio sulla poco conosciuta francese Nathalie Tauziat, dopo che 5 anni prima aveva fallito un vantaggio di due break, da 4-1, contro Steffi Graf. Due finali perdute, insomma, le foto amarissime di un pianto disperato sulla spalla della duchessa del Kent, e infine la vittoria quando, a sperarci era solo lei stessa. Ho ancora uno spazio insufficiente per i meriti di Segura. Pancho fu infatti un immigrato tennista in Usa dall’Ecuador, il primo insieme all’altro Pancho, Gonzales, a seguire Jack Kramer nel professionismo, in un’epoca di finti dilettanti. Il primo, tra i pro, a servirsi di un dritto bimane, non ancora chiamato così, e a credere, quando glielo definii, che in Italia ancora si parlasse latino. «Non credevo proprio che tu avresti imparato il diritto» mi disse, l’ultima volta che giocammo un doppio in Australia, su un campo del vecchio Kooyong. «Beh, certo, a Roma siete specialisti nei miracoli». Caro Pancho.

 

Lacrime tristi per la Novotna

 

Stefano Semeraro, il corriere dello sport del 21.11.2017

 

Lacrime su lacrime. La scomparsa a soli 49 anni dopo una crudele malattia di Jana Novotna, uno dei talenti più puri e meno considerati del tennis anni ’90, richiama come un flash dolce amaro la finale di Wimbledon 1993: Jana che arriva sul 4-1 nel terzo set contro la sua Nemesi Steffi Graf ma ad un passo dal trionfo si smarrisce, cede di schianto, si fa recuperare e battere e finisce per sciogliersi in un pianto dirotto fra le braccia della Duchessa di Kent In finale sul Centre Court ci sarebbe tornata quattro anni dopo, quando fini l’anno da numero 2 del mondo, di nuovo sconfitta, stavolta da Martina Hingis. E vedendo il suo faccino rassegnato, la Duchessa azzardò maternamente una previsione: «Non preoccuparti Jana: sono sicura che ce la puoi fare». Infatti: nel 1998, dopo l’ennesimo brivido, quando si fece rimontare da 2-0 a 5-5 nel terzo set da Nathalie Tauziat, la Novotna riuscì ad alzarlo, quel benedetto piatto d’oro e d’argento. «Be’, perché tanta confusione?», le disse allora la Duchessa scuotendo la testa cotonata. «Non ti avevo forse detto che avresti vinto?». Il momento più bello e solare di una carriera non ricca quanto la sensibilità, il tocco e l’atletismo della ceca avrebbe meritato. In tutto 24 titoli Wta, ma una sola finale di Grand Slam in singolare oltre le tre londinesi, quella persa nel 1991 agli Australian Open contro Monica Seles dopo essersi liberata al turno precedente della Graf. Poco per il suo tennis brillante, tutto attacchi di rovescio in back e volée da vera erbivora, nella linea della grande tradizione del suo paese che porta da Martina Navratilova, con cui ha spesso giocato in doppio, ad Hana Mandlikova, che le ha fatto da allenatrice nel periodo migliore, a Barbara Sukova e oggi Petra Kvitova. Dodici invece i titoli Slam di doppio, specialità di cui è stata anche numero 1 del mondo, raccolti con varie partner (ne ha vinti anche quattro nel misto), insieme a due Masters e a due argenti olimpici, ad Atene e ad Manta, dove fu anche bronzo in singolare. «t strano a dirlo», raccontava, «ma quella finale del ’93 ha fatto di me una tennista e una donna migliore, più professionale in campo e più aperta nella vita Sembravo antipatica perché non parlavo mai, ora mi sono sciolta. E la vittoria a Wimbledon è stata la ciliegina sulla torta». Si era ritirata nel 1999, poi era rimasta nell’ambiente, anche come commentatrice tv. A quelle lacrime antiche si sono aggiunte ieri quelle di tutto il mondo del tennis, perla brutta notizia arrivata dalla sua Brno.

 

Addio Novotna, stregò in lacrime la duchessa a Wimbledon

 

Marco Lombardo, il giornale del 21.11.2017

 

Quando una tennista muore, si sente dire che ha perso l’ultima partita. E successo per Jana Novotna che ha lasciato il campo troppo presto, uccisa da un tumore a 49 anni. La retorica insomma impone un ricordo spesso pieno di iperboli, ma in realtà Jana se le merita tutte, se non fosse perché era una donna spiritosa e soprattutto l’emblema di quello che a tutti noi pub succedere nella vita. La campionessa ceca in pratica è una foto datata 1993, quando dopo la finale di Wimbledon scoppiò fragorosamente a piangere sulla spalla della Duchessa di Kent, diventata da allora sua amica. Jana aveva appena perso una finale praticamente vinta contro Steffi Graf e non era la prima volta in fondo che il tennis riservava tale crudele destino. Ma le lacrime – quelle lacrime – rappresentavano una debolezza tutta umana, quella di chiunque di noi. E allora: Steffi favorita e ad un passo dalla sconfitta già nel secondo set, e nel terzo poi la Novotna avanti e servizio. Vicino al traguardo della vita, quando appunto le gambe tremano. Jana poi disse che non poteva cambiare se stessa: «Il mio gioco era serve and volley, non avrei voluto battere la Graf in altro modo». La verità però è che uno stupido doppio fallo la mandò in tilt, permettendo alla rivale di riprendersi dallo choc. Jana pianse, ed era roba da non uscirne più. Invece in finale a Wimbledon ci tornò altre due volte. E quando nel 1997 riuscì a battere la francese Tauziat, le lacrime cambiarono verso. Cosi che la sua amica Duchessa, consegnandole il piatto d’oro, le sussurrò: «Sono davvero orgogliosa di te». Ecco dunque perché Jana Novotna resta una storia indimenticabile, impreziosita da altri successi (in Fed Cup per esempio) e da una carriera da amica-allenatrice. Cosi, quando sentirete che Jana ha perso l’ultima partita, sappiate che non è vero: visto come viene ricordata da amici e avversarie, ha vinto anche quella. E a noi resta, davanti al nostro personalissimo doppio fallo, continuare a giocare nella vita come lei ci ha insegnato.

 

Il tennis piange per l’eroina Jana

 

Angelo Mancuso, il messaggero del 21.11.2017

 

Se n’è andata nella sua Brno a soli 49 anni dopo una lunga battaglia contro il cancro. Jana Novotna aveva raggiunto il vertice mondiale del tennis femminile nel doppio e la seconda posizione nel ranking Wta in singolare all’inizio degli anni ’90. Ha vinto 24 titoli in singolare e 76 in doppio, ma nonostante ciò è ricordata soprattutto per la sconfitta 6-4 al terzo set contro Steffi Graf (era avanti 4-1) nella drammatica finale di Wimbledon del 1993 e per il pianto dirotto durante la premiazione. Fu la Duchessa di Kent a consolarla abbracciandola a lungo: «Secondo me questo torneo lo vincerai», le disse. Un’immagine entrata nella storia del torneo più famoso del mondo. Esattamente 5 anni dopo, nel 1998 e alla sua terza finale londinese (nel 1997 aveva ceduto a Martina Hingis), la profezia si sarebbe realizzata e Jana, dopo aver battuto Nathalie Tauziat, quelle lacrime le avrebbe trasformate: non più di delusione, ma di gioia. Giocatrice dalle spiccate doti offensive (era ammirata per il suo serve and volley molto raro tra le donne), ha rappresentato alle Olimpiadi prima la Cecoslovacchia e poi, dopo la separazione del paese, la Repubblica Ceca. A Seul 1988 conquistò un argento in doppio, ad Atlanta 1996 un altro argento sempre in doppio e un bronzo in singolare. Ha anche vinto la Fed Cup nel 1988 e nel 2005 è stata inserita nella International Tennis Hall of Fame. IL RITIRO Ritiratasi nel 1999, ha allenato tra le altre Marion Bartoli. E’ stata una grande ammiratrice di Francesca Schiavone: “Un po’ mi rivedo in lei”, sottolineò in quel magico 2010 in cui l’azzurra trionfò al Roland Garros. E la sera con l’amica Martina Navratilova organizzò a Parigi una festa in onore della milanese. La Novotna non è la prima tennista a spegnersi per un tumore negli ultimi anni: nel 2014 la britannica Elena Baltacha, già top 50, è stata stroncata da un cancro al fegato a 30 anni. E lo scorso agosto il francese Jerome Golmard, ex numero 22 Atp, è scomparso a 43 anni colpito dalla Sla. Come spesso accade qualcuno ha insinuato il dubbio di pratiche doping, ma ieri Steve Simon, Ceo della Wta, ha voluto ricordare Jana mettendo a tacere ogni illazione: «Era fonte di ispirazione per chiunque la conoscesse, non solo in campo. La sua stella brillerà per sempre». Angelo Mancuso

 

II saluto di zio Toni «Rafa, grazie a te una vita da sogno»

 

Federica Cocchi, la gazzetta dello sport del 20.11.2017

 

Anche un burbero come lui, severo pure quando il suo nipote e assistito vinceva e vinceva ancora, alla fine ha ceduto ai sentimenti. Toni Nadal ha fatto pubblicare al quotidiano spagnolo El Pais una lettera di commiato indirizzata al nipote campione. La decisione di non seguire più Rafa era stata già annunciata da tempo, ma ora che è imita la stagione è il momento dei saluti. «Il Masters — scrive il 56enne —, è stata l’ultima tappa della carriera di allenatore di mio nipote Rafael. Condudo un percorso felice lungo 27 anni». Sempre insieme da quando, racconta lui stesso: «Rafa a 3 anni ha preso in mano una racchetta». Manacòr per crescere i futuri talenti del tennis, comincia con un ringraziamento al suo pupillo: «Ho vissuto esperienze che hanno superato tutti i miei sogni di allenatore. La sua figura ha reso grande la mia molto più di quanto meritassi». Grazie Rafa, dunque per i 75 titoli tra cui 16 Slam, grazie Rafa per non aver mai mollato, nemmeno quando tutto sembrava perduto. «Quello che non mi piace di lui — raccontava a fine 2015, annus horribilis del maiorchino —, è quando perde la voglia di lottare. Questa è l’unica cosa che mi fa arrabbiare, per fortuna succede raramente». Perché Rafa è un lottatore riuscito a 31 anni, dopo mille infortuni, a chiudere il 2017 da numero 1 al mondo, dopo aver centrato il Roland Garros numero 10 e lo Us Open, ultimo Slam con accanto Zio Toni: «Mi fa un certo effetto pensare che non girerà più il mondo con me — aveva detto il mancino —, perché Toni è la persona più importante della mia carriera e una delle più importanti della mia vita». RIPARTUNZA II primo giorno CARATTERE Analizzando il della nuova vita di Zio Toni, rapporto tra lui e Rafa, il coapensionato di lusso a capo del- ch ammette di non essere stal’accademia creata da Rafa a to troppo malleabile: «Sono stato più fastidioso che tranquillo, più esigente che incline ai complimenti. Gli ho dato poca soddisfazione e non l’ho mai sollevato dalle responsabilità». Eppure i due sono sempre andati d’accordo: «Il nostro è stato un rapporto stranamente facile, considerato il mondo in cui ci muoviamo — ha continuato —. Grazie alla sua educazione, al suo rispetto e alla sua passione, ho potuto portare avanti il mio modo di intendere questa professione. Grazie a lui ho conosciuto grandi personaggi e visto luogo magnifici». RIVALITÀ Toni è stato anche testimone della straordinaria rivalità tra il nipote e Roger Federer, un dualismo che ha fatto la storia del tennis senza oltrepassare i limiti della battaglia sportiva: «Non ho mai voluto che questa rivalità superasse i confini del campo, non ho mai considerato un avversario come un nemico, e ho cercato di trasferire questo a Rafa. I rivali si rispettano e da loro c’è sempre da imparare». E’ la lezione di Zio Toni.

 

 

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