Quando lo conobbi portando una racchetta (G. Clerici, Repubblica)

Rassegna stampa

Quando lo conobbi portando una racchetta (G. Clerici, Repubblica)

RASSEGNA STAMPA – Gianni Clerici ricorda Gianni Brera. Domani saranno 25 gli anni dalla sua scomparsa

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Diario di un incontro – Quando lo conobbi portando una racchetta (Gianni Clerici, La Repubblica 18/12/2017)

Si amano, gli uomini, anche senza essere omosessuali? Ma certo, si amano quanto si è amato il papà, se è stato un papà buono. Ma c’è una differenza, con chi si ama per amicizia. Le ragioni dell’amicizia, non sono quelle del sangue, oggi si direbbe DNA. Le ragioni sono tante. Ce n’è stata più d’una, nell’amicizia con Gianni, o Gioàn, quando – spesso – parlavamo dialetto, che all’inizio conoscevo male, e che Gianni mi invitò a studiare su Carlo Porta, grande poeta. Ma andiamo con ordine. Lo immaginate, un giovane di vent’anni, che sta tentando insieme di diventare un campione di tennis, e dopo essere stato il primo nel suo paese diventa il secondo, e poi il terzo, e diventa consapevole di un fallimento. E allora, come ha sempre fatto, dalle medie, si accanisce nella scrittura, e scrive su una rivistina quello che accade nel mondo del tennis, e una volta si sente telefonare dal direttore della Gazzetta dello Sport, e invitare a un celebre ristorante in galleria, e chiedere “Come ti riconosco?“, e risponde “Porto una racchetta“. A vent’anni scrivere sulla terza pagina della Gazzetta è importante, ma dura poco, lo zio Brera viene licenziato dal conte Bonacossa, padrone del giornale, e allora con un gruppo di amici giornalisti si va a fare un settimanale chiamato Sport Giallo, e di lì a un nuovo giornale chiamato Il Giorno. Ma intanto è fiorita l’amicizia, due volte la settimana si va tutti al ristorante Metalli e, al giornale, non c’è rivalità, dirige lui la redazione, poi addirittura io, ma per una settimana, e Gianni è d’accordo sul fatto che lui sia stufo di dirigere, e io non sia adatto. Intanto è nato, sul Guerin Sportivo, l’Arcimatto, una pagina settimanale che si potrebbe chiamare Diario, e sono amivati tre romanzi, l’ultimo dei quali viene stampato da un editore che comunica a Gianni di stamparglielo solo perché col suo nome si venderà, e io vedo il mio amico deluso tanto che mi giura che non scriverà più narrativa, e allora lo trascino a cena con Gadda, ma neanche lui riesce a convincerlo che si possa scrivere un libro in venti giorni di vacanze estive a Monterosso. E poi, e poi… Scusate se nel parlare del caro Gianni ho parlato di me. Ma non potevo farne a meno. Ho rifiutato di scrivere una biografia su di lui, una commedia su di lui, quest’anno una storia televisiva su di lui. Non ho voluto mettermi in luce grazie a un uomo che ho amato, a un amico che mi ha tanto aiutato. Credo che non si possa scrivere di un vero amico senza parlare di se stessi. E se non si vale quanto l’amico è meglio non farlo. Me ne scuso.

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