Nei dintorni di Djokovic: la ricetta di Borna

Nei dintorni di Djokovic

Nei dintorni di Djokovic: la ricetta di Borna

A novembre Coric aveva parlato del suo 2017 un po’ sottotono, dichiarando di voler far tutto il possibile per cercare di sfruttare tutto il suo potenziale. Detto, fatto: sotto l’ala protettrice di Ljubicic, ora è anche lui un Piatti-boy

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L’avevamo preannunciato che qualcosa di grosso stava bollendo in pentola per Borna Coric. E così è effettivamente stato: il giovane tennista croato ha completamente rifatto il suo staff. A curare i suoi interessi sarà d’ora in poi la società di management S.A.M. di Ivan Ljubicic, che già segue il ceco Thomas Berdych. Il rapporto di amicizia e di stima tra Coric e Ljubicic è di lunga data: sin da quando, sedicenne, Borna si è affacciato nel circuito, Ivan è stato prodigo di consigli nei suoi riguardi. Un rapporto tale da far dire a Borna “Avevo pensato anch’io a Ivan”, quando due anni fa stava cercando il sostituto di Thomas Johannson e si seppe che l’ex tennista originario di Banja Luka avrebbe sostituito Stefan Edberg a fianco di Sua Maestà Roger Federer. E visto che nel ruolo di coach “Ljubo” è per l’appunto impegnato con Mister 19 Slam, in qualità di manager a chi poteva pensare come coach ideale per il suo nuovo assistito? Ovviamente a colui che è stato il suo allenatore per tutta la sua carriera e al quale è ancora profondamente legato: Riccardo Piatti, che accompagnò il tennista croato sino al n. 3 della classifica mondiale nel 2006, dietro solo a quei due fenomeni assoluti che erano (e sono) Roger Federer e Rafa Nadal.

Con questo cambiamento è indubbio che il 21enne tennista di Zagabria abbia voluto dare una svolta alla sua carriera, dopo un paio di stagioni in cui la sua crescita a livello di gioco e di risultati non è stata certo quella che ci si attendeva da lui quando nel 2014 fu premiato come “Star of Tomorrow ATP” e concluse la stagione a ridosso dei primi cento al mondo, a diciotto anni appena compiuti.

Se ci limitiamo al 2017, notiamo come in termini di classifica l’anno di Coric sia terminato esattamente come era iniziato: al n. 48 del ranking. Da una parte è positivo, perché per il terzo anno consecutivo si è confermato tra i primi cinquanta giocatori del mondo, risultato mai scontato. Dall’altra, invece, rappresenta comunque un campanello d’allarme, dato che il suo miglior ranking di fine stagione continua a rimanere quello di fine 2015 (n. 44) e quello assoluto rimane il n. 33 raggiunto per l’ultima volta nell’agosto dello stesso anno, ormai quasi due anni e mezzo or sono. Del suo 2017 complessivamente sottotono e della sua volontà di riscatto per la prossima stagione, Coric ha parlato qualche settimana fa in un’intervista esclusiva rilasciata ad un giornale croato. Intervista che rimane attuale anche dopo le novità di cui abbiamo parlato prima. Anzi, queste ultime sono la conferma di quanto dichiarato dal talento croato in proposito alla sua volontà di fare tutto il possibile per sfruttare appieno le sue potenzialità.

Ma andiamo con ordine e vediamo cosa ha raccontato Coric al giornalista suo connazionale, davanti un piatto di pesce in un ristorante nel centro di Zagabria. A partire proprio da una valutazione di quel 48esimo gradino  della classifica ATP, ben lontano dall’obbiettivo dichiarato ad inizio anno di entrare nei top 25“Alla fine è andata bene aver finito in questa posizione del ranking. Sicuramente mi aspettavo di più da questa stagione. Credo che nel tennis la classifica di fine anno rispecchia come uno ha lavorato e giocato nel corso dell’anno”.

In effetti è andata bene, anche e soprattutto grazie alla prima vittoria in un torneo ATP (Marrakech) e ai quarti di finale raggiunti poco dopo al Masters 1000 di Madrid, risultati che gli hanno consentito di recuperare un bel po’ di posizioni in classifica, tanto che dal n. 79 dove era sprofondato a metà aprile dopo un bruttissimo inizio di stagione (mai oltre il secondo turno nei primi otto tornei), si è ritrovato al Roland Garros da n. 40 del mondo. E poi, tra alti e bassi, è riuscito alla fine a restare nei top 50. Quando parliamo di alti e bassi non è un modo di dire. Perché se da un lato abbiamo appunto la vittoria nel 250 in terra marocchina ed i quarti di finale nel 1000 madrileno, dall’altro registriamo anche ben 14 eliminazioni al primo turno su 27 tornei e due mancate qualificazioni al tabellone principale su quattro. Insomma, 16 volte su 29 Borna non è arrivato al secondo turno di un main draw. E nelle altre tredici occasioni, in otto casi si è proprio fermato al secondo turno. Risultati simili non posso sicuramente dare la serenità necessaria ad un giocatore, specie se ancora molto giovane. Ed in effetti uno dei tratti caratteristici e non proprio piacevoli del Coric sceso in campo quest’anno è stato il notevole nervosismo: probabilmente molti lettori ricorderanno i due episodi che lo hanno visto protagonista al Challenger di Irving e all’ATP 250 di Istanbul, dove ha distrutto la racchetta a furia di sbatterla ripetutamente contro il terreno di gioco. Un simile nervosismo è difficile possa venir lasciato negli spogliatoi dopo il match: è più probabile invece possa influenzare negativamente lo stato d’animo fuori dal rettangolo di gioco. “Molto, veramente molto. Io sono così, è non è un bene, ma dall’altro canto vuol dire che non mi è di certo indifferente quello che mi succede in campo. Ma è sicuramente un qualcosa che vorrei cambiare”.

In questo ottovolante che è stato il 2017 di Borna, tra i momenti da ricordare c’è stata anche la vittoria contro Sascha Zverev agli Us Open, che in molti davano addirittura tra i favoriti dello slam newyorchese dopo la conquista del Masters 1000 di Montreal. E non è stata l’unica contro dei top ten in stagione, dato che ha anche battuto Dominic Thiem a Miami e addirittura il n. 1 del mondo Andy Murray a Madrid. Giunge perciò spontaneo chiedersi come sia possibile che Coric sia in grado di battere per ben tre volte dei top ten e allo stesso tempo  riesca a perdere così tante partite (diciotto) contro giocatori sopra la cinquantesima posizione mondiale. “Vorrei saperlo anch’io” inizia a rispondere, sorridendo, Coric. ”Io sono uno che analizza molto i propri match. Ad esempio, quella vittoria contro Nadal a Basilea nel 2014. Quella veramente non ha alcun significato, la qualità del mio gioco non fu elevata. Lo stesso vale per la vittoria contro Murray a Dubai nel 2015. Giocai bene, ma non in modo eccezionale, e nemmeno il mio livello a quel tempo era tale da consentirmelo. Di conseguenza, capita che dopo dei simili risultati le persone si aspettano che io batta il n. 50 al mondo senza problemi. Ma quei risultati non rispecchiavano la realtà. La qualità del mio gioco non era quella attuale e si sono dovute incastrare un bel po’ di cose per permettermi di arrivare al n. 33 del ranking”.

Il concetto di Borna è chiaro: nei top 100 non ci sono avversari facili, soprattutto se li incontri quando sono in giornata. “Ci sono molti ragazzi che posso diventare top 20, ma per diversi motivi non lo sono. Prendiamo ad esempio il mio match contro Kukushkin, nelle qualificazioni di Madrid. Non è stato normale come abbiamo giocato in quell’occasione. Quando sono uscito dal terreno di gioco non ero arrabbiato (perse 7-6 6-3, poi fu ripescato come “lucky loser”, ndr), perché sapevo che meglio di così non avrei potuto giocare“. Insomma, ogni partita a quei livelli è una battaglia: di colpi, di fisico, di testa, di nervi. E al tennista croato sono sempre state riconosciute, sin da quando è entrato giovanissimo nel circuito, delle doti di “fighter” non comuni. Doti confermate anche dai dati statistici 2017 dell’ATP: come la prima posizione nella classifica della percentuale di palle break sulla terra rossa e l’ottava in quella assoluta (subito dietro ad un certo Roger Federer). A me piace la pressione. Talvolta questo nervosismo non ti favorisce, ma sulla palla break o sulla parità sul 5-5, non è possibile per me non provare quella sensazione”.

Certo è che sarebbe meglio non trovarsi nella situazione di dover affrontare delle palle break a sfavore. Nonostante i dati ATP lo diano al n. 24 assoluto nel serve rating, Borna sostiene che la cosa potrebbe essere dovuta proprio al suo servizio. O meglio, a qualcosa che manca al suo servizio: la velocità“Batto con molto effetto, sia in slice che in kick, e questo automaticamente mi consente di avere un maggior margine di sicurezza. Ma nell’ultima parte della stagione, le ultime 3-4 settimane per intenderci, non ho servito praticamente mai sopra i 200 km/h. Uno con il mio peso e la mia altezza deve servire almeno a 205-210 km/h”. Una cosa che sicuramente non ha funzionato come si deve quest’anno è il rovescio bimane, il colpo migliore del suo repertorio. Che secondo Coric rappresenta anche quell’arma che molti ritengono manchi al suo gioco: il colpo “pesante” con cui portare a casa vincenti con continuità. “Sono convinto che sia il colpo su cui si basa il mio gioco, quello che mi permette di crearmi il punto, ed è anche la mia arma più grande”.

Se il rovescio è un po’ mancato, ma è comunque una certezza del suo bagaglio tecnico da cui sa di poter ripartire, permangono problemi sull’altro lato, quello del diritto. Il colpo in genere più efficace nel repertorio di un giocatore di alto livello, nel caso di Borna continua a non essere un fondamentale dotato della pesantezza necessaria a fare veramente male ai suoi avversari. Qualcuno sostiene che ciò sia dovuto anche al fatto che la destra non sia la sua mano naturale (Borna in molte cose usa la sinistra, ad esempio per mangiare, ma sin da piccolo ha impugnato la racchetta da tennis con la destra. Insomma, il percorso inverso a quello di Nadal…). Lui al riguardo vede solo la necessità di apportare gli opportuni aggiustamenti tecnici“La mano sinistra mi si apre troppo presto nel dritto!” risponde, per poi scendere in dettaglio nell’analisi del dritto degli altri giocatori e finendo, per far capire bene le differenze, a simulare il dritto di Djokovic. Se la questione è prettamente tecnica, allora non poteva finire in mani migliori di quelle di Piatti. Lo stesso Ljubicic, infatti, ad inizio carriera aveva nel dritto il suo tallone d’Achille e con il coach comasco lavorò tantissimo proprio su quel colpo (chi tra i lettori è un istruttore di tennis o un appassionato di tecnica probabilmente ricorderà anche una serie di DVD realizzati diversi anni fa da Piatti proprio sulla costruzione tecnico-tattica del dritto di Ljubicic), tanto da renderlo affidabile ad altissimo livello.

Ma un altro aspetto del gioco in cui Coric deve assolutamente migliorare è sicuramente la risposta al servizio, dove i suoi dati non sono per niente entusiasmanti: 69esimo a livello di return rating ATP.  Con molti punti in cui non si superano i 3-4 colpi, la solidità alla risposta è essenziale“Ah sì, me ne stavo dimenticando. Sì, c’è tanto da sistemare anche lì. Nello smartphone ho quasi 1 GB di filmati di mie risposte da analizzare! Per prima cosa, devo iniziare a rispondere di più in alle prime, rimetterle in campo, non importa come. Mentre sulla risposta alla seconda devo essere più aggressivo. E non posso stare troppo dietro, come Nadal o Wawrnika… Loro da lì colpiscono la palla più forte di quanto faccia io da più vicino”.

Ci sono perciò ancora molti margini di miglioramento. Un miglioramento che però, come dicevamo, negli ultimi due anni non è stato così marcato come un po’ tutti si aspettavano. Un motivo potrebbe essere la mancanza di continuità nel lavoro svolto, legata ai molti cambi di allenatore. Negli ultimi tre anni si sono infatti avvicendati in quattro sulla panchina di Coric: Zeljko Krajan, Thomas Johansson, Miles Maclagan ed IvoAncic. Senza contare Kristijan Schneider, che lo ha seguito nell’ultima parte del 2017. “Non bisogna essere dei geni per concludere che tutto questo è eccessivo. Ma le persone non sanno che solo uno di questi l’ho licenziato io… Naturalmente perché non ero soddisfatto. Io non accuso mai l’allenatore per i miei risultati. Guardo sempre e solo al fatto se sono migliorato o no con il lavoro fatto”. Borna ci tiene però a sottolineare che le ultime due annate sono state anche pesantemente condizionate dall’infortunio al ginocchio, che lo ha costretto ad operarsi nel settembre dell’anno scorso e dal quale ha recuperato con fatica. “Dall’agosto dell’anno scorso fino a giugno non c’è stato match cui non abbia dovuto prendere degli antidolorifici”.

Visto il quadro complessivo, diventa un po’ più chiaro comprendere come mai nell’ultimo biennio il giovane zagabrese non abbia avuto la fiducia necessaria per arrivare ad essere costante nei risultati. “In certe situazioni la fiducia mi cala rapidamente. Tanto da non sentire bene la palla neanche in allenamento. Di conseguenza, quando affronto un primo turno sono sempre insicuro. Mi mancano proprio quelle vittorie contro i giocatori tra la 40esima e la 80esima posizione mondiale, Se riesco a cambiare questo trend il prossimo anno, allora non mi devo preoccupare quando arrivo a giocarmi una partita di cartello. Mi do solo l’opportunità di giocare contro i migliori.” Nella sua analisi, Borna si lascia andare anche ad una riflessione sulla sua precoce esplosione nel circuito. Che non sempre rappresenta un fattore positivo per la crescita di un giovane giocatore. “Forse se non fossi arrivato in alto così presto e così velocemente, probabilmente oggi sarei un giocatore migliore. Ho pensato che sarebbe stata una logica conseguenza, ma non va così, nemmeno un po’”. Probabilmente non hanno aiutato in tal senso neanche le aspettative che quella sua improvvisa ascesa ha generato. “Sì, sicuramente aspettative ce n’erano, da parte mia e anche da parte degli altri, perché sembrava normale che nell’arco di due anni io potessi battere gente che vince i tornei del Grande Slam. E che quindi se perdi da un Kukushkin allora non vali nulla”.

Si riparte perciò – ma stavolta senza alcun acciacco fisico – con lo stesso obiettivo della passata stagione: la top 25. E per quanto riguarda i suoi obiettivi, anche a lungo termine, è indubbio che il giovane croato sappia bene cosa vuole. “Non giocherò mai a tennis per i soldi o per diventare famoso. Gioco perché voglio potermi guardare allo specchio a fine carriera e dire: ‘Ok, hai fatto veramente tutto quello che era nelle tue possibilità’. Ora che questo alla fine significhi essere n. 1, 5, 15 o 50, non lo so… Vedremo. Ma farò veramente tutto il possibile, questo è sicuro”.

In questo momento, “tutto il possibile” è rappresentato da Riccardo Piatti e ed il suo team composto da Dalibor Sirola e Claudio Zamaglia, oltre al già citato Schneider che continuerà seguire Borna come vice di Piatti. Il 59enne allenatore lombardo negli ultimi anni ha portato Ljubicic e Raonic al n. 3 del ranking ed ha fatto ritrovare la top ten a Richard Gasquet. Di certo è una delle miglior scelte in assoluto che il Borna di oggi potesse fare. Con l’augurio che, anche grazie a questa scelta, il Borna che verrà possa quel giorno guardarsi allo specchio con serenità.

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