Perché Roger Federer ha… battuto Rod Laver e Pete Sampras

Editoriali del Direttore

Perché Roger Federer ha… battuto Rod Laver e Pete Sampras

Una carriera infinita ha sancito la grandezza impareggiabile di un giocatore che è andato ben oltre lo sport che pratica: ecco come Roger Federer è riuscito a diventare un’icona mondiale

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Chi lo chiama il Dio della racchetta, chi il Genio del tennis, chi il Maestro dei Maestri, chi Roger il Fantastico, chi si spinge (il grande, e purtroppo scomparso, David Foster Wallace) a titolare un proprio libro di grande successo Roger Federer come esperienza religiosa”. Sono tutti titoli di libri che compaiono in una mia biblioteca che non comprende scrittori e edizioni in lingue diverse dall’inglese, l’italiano e il francese. Forse neppure Roger sa quanti libri e in quante lingue sono stati scritti su lui. Se fino all’avvento del terzo millennio si fosse chiesto a qualunque appassionato di tennis chi dovesse essere considerato il più forte tennista di tutti i tempi, quasi tutti avrebbero risposto: Rod Laver.

Neppure Pete Sampras, che pure aveva vinto 14 Slam (tre più di Laver) e 7 volte a Wimbledon, prescindendo dalla “debolezza” che gli rinfacciò Michael Chang – vedi qui di seguito – era riuscito a mettere in discussione quella storica e leggendaria leadership del rosso mancino di Rockhampton… pur del tutto teorica, perché tutti comprendiamo che non è proprio giusto (fair) né legittimo comparare campioni di epoche diverse che giocano in condizioni, e superfici del tutto diverse così come le attrezzature (racchette e palle) e i massicci team al seguito (coach, fisioterapisti, medici, manager) che hanno quasi trasformato uno sport prettamente individuale in uno sport di squadra. Non è casuale che il discorso di un qualsiasi tennista che trionfi in un torneo si soffermi a ringraziare e celebrare il successo della propria equipe. Sono finiti i tempi in cui venivano rivolti soltanto a genitori, mogli o fidanzate. “Senza di voi…” etcetera etcetera.

Stabilire chi sia il GOAT (Greatest of All Time) non è quindi altro che un sano divertissement cui spesso gli sportivi non riescono a sottrarsi. Ma i primi 17 anni del terzo millennio hanno emesso un altro verdetto, pronunciato con estremo fairplay, dallo stesso Rod Laver: il più forte tennista di tutti i tempi è Roger Federer. Fanno coro ogni piè sospinto a Rod Laver, i Borg, i McEnroe, i Lendl e Wilander, i Becker e gli Edberg, i Sampras e gli Agassi, e tutti coloro che sono stati n.1 del mondo, oltre che i suoi rivali contemporanei Nadal, Djokovic e Murray, quelli che con lui hanno dato vita alla reincarnazione dei Beatles con racchetta, i “Fab Four”.

Roger il più forte di tutti i tempi lo è indiscutibilmente per via dei suoi primati pazzeschi, le 302 settimane da n.1, i 19 Slam in 29 finali, i 95 tornei vinti (fra cui 6 Masters di fine anno) e certo anche – è il record forse più impressionante e meno pubblicizzato –  le 42 semifinali di Slam di cui 23 consecutive (!). Lo è sebbene sulla terra rossa abbia perso più volte di quanto non abbia vinto con quell’amico-rivale che più di ogni altro ha contribuito insieme a lui a contrassegnare quest’era straordinaria: Rafa Nadal.

Ma non sono tanto, o soltanto, i numeri a farne il “più grande di tutti i tempi”, ma ben altro. Come lo stile e l’eleganza, quando gioca e anche quando non gioca. In campo dunque, dove tutti sembrano fare sforzi enormi con le magliette madide di sudore dopo pochi game e lui invece mai. Tutti sempre più atleti ipermuscolati costretti a sottolineare i loro possenti sforzi con gemiti e grugniti, e lui che invece con quello straordinario rovescio ad una mano in un mondo di bimani pare accarezzare quei feltri gialli con una fluidità così naturale da apparire invece irreale. Il suo è un tennis che riluce, risplende, abbaglia. Il tennis di un artista, di un fenomeno, di un mago. Capace di qualunque magia. Ma anche un atleta straordinario, che sul campo pare danzare come un Nureyev, un Barishnikov. Leggero e eternamente instancabile. A 36 anni come a 18. Immortale.

Unico anche fuori dal campo quando quasi tutti gli altri campioni finiscono oggetto di paparazzate e gossip… mentre lui invece, marito e padre perfetto di due coppie di gemellini, mai. Un modello per tutti, anche per l’intatta capacità di lottare, reagire, emozionarsi, commuoversi e commuovere. Inarrivabile. È davvero incredibile che un uomo di così indiscusso successo, ricco come Creso e con le stesse prerogative di Re Mida, qualunque cosa tocchi si trasforma in oro per sé e per gli altri, sia riuscito a rimanere lo stesso ragazzo semplice di 16 anni fa quando a 19 anni vinse a Milano (2001) il primo di 95 tornei o quando nel luglio 2003 trionfò a 21 nel primo dei suoi otto Wimbledon e di 19 probabilmente inarrivabili Slam. Primo svizzero di sempre a figurare in un albo d’oro d’un qualsiasi Slam in men’s singles.

Il suo regno sfavillante, dato per tramontato già 5 anni quando, vinto lo Slam n.17, sembrava precipitato in un inevitabile declino anagrafico, nel 2017, coronato dagli Slam n.18 e n.19 (Australian Open e Wimbledon) ha dimostrato di essere ancora splendente. Così come è davvero incredibile che Roger non abbia nemici ma solo estimatori ovunque, non susciti irrefrenabili gelosie, invidie, neppure una minima antipatia. Perfino i tifosi di Nadal, suoi più acerrimi rivali, sono costretti a rispettarlo. Dovunque Roger giochi il pubblico è sempre dalla sua parte. Molto spesso perfino quando si trova a giocare contro un enfant du Pays, un tennista che gioca in casa sua e dovrebbe avere il tifo a favore.

Non si è ancora mai sentito un avversario parlare male di lui, uno spettatore non entusiasmarsi per certi suoi inarrivabili gesti tecnici, un organizzatore rinunciare a cuor leggero a una sua presenza e a confinarlo in un campo diverso dal centrale e in un orario diverso da quello di maggior appeal e audience, un network televisivo trascurarlo nella sua programmazione, uno scrittore snobbare un suo profilo, uno sponsor respingerlo come possibile proprio testimonial. Perfino coloro che esercitano per mestiere la professione di critici, i giornalisti, sono stati quasi… costretti a celebrarne l’estrema disponibilità e ad attribuirgli il premio Fair-Play per la sportività intitolato a Stefan Edberg (lo svedese che non a caso è stato anche suo coach), anno dopo anno per una dozzina di anni di fila, sempre apprezzando che Roger, dopo una vittoria come dopo una sconfitta, si prestasse pazientemente invariabilmente a rispondere alle loro domande in inglese, francese, svizzero tedesco. E a volte per più tempo di quanto non fosse durato il suo match.

Di Federer, che da anni ha una sua Fondazione umanitaria a sostegno dei bambini poveri africani – certamente la mamma sudafricana, Lynette ha influito su quest’iniziativa umanitaria che lei stessa segue – piace tutto, il rapporto con la moglie Mirka e tutta la sua famiglia, il rispetto per la gente più umile, l’amore per tutto lo sport (non solo il tennis) di cui è profondo conoscitore fin nelle radici storiche, la sincera deferenza che da sempre mostra di nutrire per la storia del tennis e i grandi campioni del passato, per i grandi e leggendari australiani della racchetta, Rod Laver, Ken Rosewall, John Newcombe.

Ma, prima di ricordare una famosa frase di Michael Chang che, alla richiesta di individuare un punto debole del suo grande rivale di una vita Pete Sampras, dopo un momento di incertezza ebbe a dichiarare “credo proprio che Pete non sappia cucinare!”, mentre sotto le cure del “maestro” Davide Oldani, Roger Federer sembra deciso a non concedersi neppure quella debolezza e prima di citare Nick Bollettieri che ha detto “è semplicemente impossibile spiegare come riesce a fare quello che fa”, ci si consenta di concludere questo profilo del più grande tennista di tutti i tempi con un vivido ricordo di David Foster Wallace: “Se non avete mai visto il ragazzo giocare dal vivo, e poi lo andate a vedere, di persona, sul sacro manto erboso di Wimbledon, in mezzo a un caldo letteralmente disidratante, seguito da vento e pioggia come nell’edizione di quest’anno, allora siete il soggetto ideale per sperimentare quella che uno degli autisti dei pulmini riservati alla stampa durante il torneo descrive come ‘un’esperienza che rasenta lo spirituale’”.

Ebbene sì, anche questo è un piccolo miracolo federeriano. Un semplice autista di un bus può trasformarsi, quando si tratta di Roger Federer, nella Musa ispiratrice di un libro straordinario come il suo autore e il suo attore protagonista.

Ubaldo Scanagatta (direttore di ubitennis.com)

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