Nadal ha ragione oppure no? Si può davvero fare qualcosa?

Editoriali del Direttore

Nadal ha ragione oppure no? Si può davvero fare qualcosa?

Tira solo l’acqua al proprio mulino? Dibattito aperto. Intanto due “classe 1995”, Edmund e Mertens,vanno in semifinale

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MELBOURNE – Non ho avuto il tempo di leggere i vostri commenti. E poi al live i post erano 4.000 (!!! Non ricordo se ne avevamo mai avuti tanti così), alla cronaca di Gibertini un migliaio…Impossibile addentrarcisi. Spero che nessuno mi abbia chiesto qualcosa. Spero solo che non ce ne siano stati troppi di cattivo gusto – quando sono tanti così mi viene spontaneo preoccuparmi –  spero che non abbiate mancato di rispetto a un grande campione costretto all’abbandono da problemi fisici. Lo dico per Nadal, l’avrei detto per chiunque.

Rafa Nadal era triste, demoralizzato, frustrato, direi quasi disperato come non lo avevo quasi mai visto – fosse scoppiato a piangere non mi sarei sorpreso! – e gli organizzatori dell’Australian Open, che presagivano il replay della finale Federer-Nadal erano davvero tristi anche loro. Avreste dovuto vedere le loro facce. E quella di Rafa quando zoppicando si è avvicinato al tavolo rialzato dietro al quale avrebbe dovuto rispondere alle nostre domande, ovviamente incentrate sull’infortunio, sul quando fosse occorso, su quale muscolo avesse interessato. Faceva sinceramente pena Rafa. Aveva provato a lottare nel quarto set, dopo aver avvertito le prime fitte già nel terzo, e dopo aver chiamato invano il fisio cui non era riuscito il miracolo. Perso il quarto ci aveva provato anche all’inizio del quinto, ma ceduto il servizio nel secondo game dopo un’inutile corsa in avanti per acciuffare una volée corta e incrociata di Cilic (che, detto inter nos, si era abbastanza mangiato il terzo set) ha capito che non c’era nulla da fare, si è avvicinato a Eva Asderaki e ha detto “No mas”. Cilic, che aveva alzato le braccia al cielo al momento del break, ha avuto la sensibilità di non esultare. Anche se era ovviamente e più che legittimamente contento. Contro il soprendente Edmund, n.49 Atp, sarà certo il favorito, anche l’esserlo non garantisce mai la vittoria.

È l’ottavo ritiro di Rafa Nadal in carriera. A Melbourne si era ritirato anche nel 2010 contro Murray nei quarti quando stava perdendo 63 76 30. Ma in sei occasioni in Australia Rafa aveva accusato dei malanni. Un caso? Forse no. Il caldo, il freddo (sì, perché sulla Rod Laver Arena a volte c’è un vento malefico e fa pure freddo), l’umidità che un giorno c’è e un altro no – inciso personale: è quasi impossibile non prendere i mal di gola, sono imbottito di Aulin – e il cemento mai amato da Rafa sono stati la miscela esplosiva che lo ha costretto ad abbandonare la scena.

La abbandona da n.1 del mondo, ma se Roger vincerà il torneo i punti di vantaggio saranno solo 155 e se la risonanza magnetica cui si sottoporrà dovesse proclamare un suo stop prolungato Rafa potrebbe anche perdere la leadership.

L’altro giorno aveva detto: “Voglio prendere cura del mio corpo, nei primi quattro mesi dell’anno ho previsto di giocare solo quattro tornei, qui, Acapulco, Indian Wells e Miami”.

Ora Acapulco non è più tanto sicuro. Da dieci anni Nadal non fa che ripetere perché si allunghi la stagione sulla terra rossa e si accorci quella sul cemento, ma sembra troppo una battaglia “pro domo sua”, troppo favorevole all’indiscusso n.1 della terra battuta, e così nessuno gli dà retta. E poi non è nemmeno facile dargliela. Il circuito, come ha denunciato a più riprese recentemente Djokovic – e in maniera più blanda anche Federer che fa sempre sfoggio di neutralità tipicamente svizzera quando c’è da prendere una posizione netta – è sempre più business e industria, sempre meno sport e gioco.

Abbia o non abbia ragione -9 tornei su 14 di quelli obbligatori sono su cemento – è indubbio che non si sono mai sono registrate sequele impressionanti di infortuni come in questi ultimi tempi. Infortuni di mesi, quando non di semestri. E vittime sono state non solo dei trentenni e oltre– il che potrebbe essere anche comprensibile se non quasi inevitabile – come Federer, Djokovic, Wawrinka, Nadal, Murray, Almagro che hanno saltato mesate intere, ma anche giocatori più giovani quali Nishikori, Raonic,  Kokkinakis, del Potro, Janowicz, il nostro Quinzi, distrutti o semi-distrutti dal tour de force di un circuito che obbliga i giocatori a giocare i 4 Slam, 8 Masters 1000, un altro paio di tornei per consolidare la classifica.

“Ma non è il numero dei tornei – ha tenuto a precisare Nadal – quanto le superfici. Ci sono troppi infortuni, ci vuole una diversa sensibilità, occorre pensare anche alla salute dei giocatori. E nemmeno pensando a ora che stiamo ancora giocando, ma al dopo: c’è una vita anche dopo il tennis. Non so…- e scuoteva la testa con aria afflitta – se continueremo a giocare su queste superfici davvero molto dure, che cosa ci capiterà in avvenire con le nostre vite”.

Ora tanti diranno che Rafa tira l’acqua al proprio mulino chiedendo più tornei sulla terra rossa. Già Cilic – che di sicuro ama più giocare sui campi duri che sulla terra rossa perché ci vince di più, ha subito replicato, quando gli ho riferito quel che aveva appena detto Rafa: “Il calendario è lo stesso da molti anni. Sia l’anno scorso sia all’inizio di quest’anno si vede che molti tennisti sono infortunati. Alla fine tocca a noi prendersi cura dei nostri corpi, scegliere la programmazione migliore, ascoltare il proprio corpo e sentire che cosa ci dice. Ci sono tanti tornei, obbligatori, e poi ognuno sceglie quelli che vuole. E’ difficile dire…ok si cancellano due mesi di stagione, si fanno sparire un bel po’ di tornei…perché il tennis è uno sport globale. Dovunque si giochi la gente è contenta. Il tennis sta diventando sempre più popolare. Che è poi quello che anche noi vogliamo”.

Lì gli ho detto: “ Rafa ha detto che non è tanto un problema di numero di tornei quanto di superficie…”

“Sì, è dura per me dire molto al riguardo. Siamo tutti diversi. Anch’io ho avuto problemi con le ginocchia perché i campi duri sono diversi da un posto all’altro. Anch’io devo fare attenzione e a utilizzare la programmazione al meglio”.

Di questi argomenti ho discusso sia con Julien Reboullet de L’Equipe nel video quotidiano che faccio per la home inglese, Ubitennis.net, e con Vanni Gibertini per la home italiana di Ubitennis.com. Vanni sostiene che la soluzione sia tecnologica e cioè che si debba arrivare a superfici dure ma…non troppo. Scientificamente studiate, saggiate, omogeneizzate. Se si entrasse in questo ordine di idee ci vorrebbero comunque degli anni. Di certo non ne potrebbero approfittare Federer, Nadal, Murray, Djokovic e soci.

Certo è che, tornando ad occuparsi del primo Slam del 2018, con il ritiro di Nadal l’Australian Open perde, dopo l’assente Murray e lo sconfitto Djokovic (da Chung), un altro atteso protagonista. A Roger Federer si chiede – ancora una volta! – di salvare il torneo. Una sua finale con Cilic sarebbe la migliore possibile. Una fra Edmund e Sandgren la peggiore. Roger ha vinto 19 volte e perso 6 con Berdych, e alle nove e trenta del mattino si vedrà che succede: Roger ha avuto un cammino facile e avversari comodi, forse gli avrebbe fatto bene trovare un test un po’ più severo. Berdych, dopo un’annata che lo ha fatto precipitare dai top-ten a fuori dai top-20, mi è parso tirato a lucido. L’ultimo precedente di Miami è un campanello d’allarme per Roger: Tomas perse soltanto dopo aver avuto due matchpoint sulla racchetta. Chung è chiamato alla prova del nove di tommasiana memoria con Sandgren. Secondo me la supera. Ma Sandgren l’ho vista giocare solo pochi punti, Ubi sì… Ubiquo no.

Marin Cilic – Australian Open 2018 (@RDO foto)

E pensare che la giornata era apparsa piacevole, tutt’altro che triste (fuorchè per gli sconfitti, ovviamente). Era stata una gran bella giornata soprattutto per due giovani classe ’95 che nessuno si aspettava potessero approdare alle semifinali, lui Brit, Kyle Edmund n.49, 23 anni compiuti l’8 gennaio, lei fiamminga, Elise Mertens, n.37, come la sua “maestra” Kim Cljisters che l’allena nella sua Tennis Academy. I 23 anni li compirà a novembre.

Per tutti e due era il primo quarto di finale in uno Slam e nessuno dei due era certamente favorito. Edmund affrontava il bulgaro Grigor Dimitrov, n.3 del mondo alle spalle dello storico binomio Nadal-Federer nonché campione delle ultime World Atp Finals a Londra, e la Mertens l’ucraina Elina Svitolina, n.4, campionessa agli ultimi Internazionali d’Italia e fino a due anni fa curiosamente allenata dall’altra ex n.1 belga, Justine Henin (che poi la dovette lasciare perché incinta). Buffa coincidenza che in qualche modo le due avversarie rappresentassero indirettamente le due grandi icone del tennis belga.

Ebbene, con quel servizio poderoso e quel drittaccio monstre che può essere considerato oggi il più potente del circuito insieme a quello di Juan Martin del Potro, Edmund ha sconfitto il pronostico e un deludente Dimitrov 64 36 63 64 cui ha lasciato esattamente lo stesso numero di set e di game che aveva concesso al nostro Andreas Seppi negli ottavi. Chissà se Andreas ci ha fatto caso. Forse no. Lui non si perde dietro queste quisquilie, queste piccolezze. Ha perso e si sta allenando, seriamente come al solito, per farsi trovare pronto per la trasferta di Davis a Morioka, in Giappone.

Edmund, che sembra la reincarnazione del terzo millennio di quel Jim Courier che vinse sia a Parigi sia qui nel ’92 e nel ’93, per il colore dei capelli e della pelle (biondo rossicci sopra una carnagione pallida e ricca di efelidi), fisico massiccio e tipo di impugnatura sul dritto (Courier da piccolo aveva fatto baseball; Edmund cricket…) ha realizzato la sua impresa sotto gli occhi compiaciuti di Tim Henman, sei volte semifinalista di Slam ovunque fuorchè qui (4 a Wimbledon, 1 a New York, 1 a Parigi).

Gentleman Tim era appena arrivato a Melbourne. Ha seguito la partita di Kyle accanto al chairman di Wimbledon Phil Brook che invece aveva già portato fortuna al suo compatriota nel match con Seppi.

Henman non aveva più seguito uno Slam, fuor di Wimbledon, da 10 anni. E quando aveva pianificato questo viaggio Down Under aveva pensato di venire per incoraggiare Andy Murray.

Elise Mertens – Australian Open 2018 (@RDO foto)

Non c’era invece Kim Clijsters a seguire Elise Mertens, che era giunta qui sull’onda del bis vittorioso a Hobart (Tasmania). Lei ha vinto ancora più nettamente di Edmund con Dimitrov sulla Svitolina, addirittura 64 60, forse approfittando di un dolorino all’anca dell’ucraina che lei ha comunque aggredito con la stessa intensità di cui era capace Kim Clijsters. Se uno chiude gli occhi e sente parlare Elise in fiammingo sembra di ascoltare proprio Kim. Identica. E ugualmente spontanea. In semifinale trova Caroline Wozniacki che ha dovuto faticare non poco per aver ragione della Suarez Navarro, tornata su buoni livelli. Certo la danese dovrebbe essere favorita nei confronti della fiamminga, se non altro per una questione di esperienza, però se rigioca come ha fatto con la Fett, cui ha annullato 2 matchpoint sull’1-5 nel terzo set, la Mertens saprà approfittarne.

Nella metà alta del tabellone ci sono tutte tenniste che potrebbero tranquillamente vincere il torneo senza scioccare nessuno: basti dire che Halep-Pliskova e Kerber-Keys sono i quarti.   

Le otto volte in cui Rafa Nadal si è ritirato

2018 Australian Open QF: Marin Cilic d. Rafael Nadal 36 63 67(5) 62 20 ret

2016 Miami 2R: Damir Dzumhur d. Rafael Nadal 26 64 30 ret

2010 Australian Open QF: Andy Murray d. Rafael Nadal 63 76(2) 30 ret

2008 Paris QF: Nikolay Davydenko d. Rafael Nadal 61 ret

2007 Cincinnati 2R: Juan Monaco d. Rafael Nadal 76(5) 41 ret

2007 Sydney 1R: Chris Guccione d. Rafael Nadal 65 ret

2006 London/Queen’s Club QF: Lleyton Hewitt d. Rafael Nadal 36 63 ret

2005 Auckland 1R: Dominik Hrbaty d. Rafael Nadal 63 ret

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