Federer grandi numeri, vuole il 20° Slam (Baldissera). Federer si merita un trenta. Peccato Cocciaretto, semifinale stregata dopo 2 match point (Crivelli). Aggressività contro corsa. Finale donne: Halep favorita (Bertolucci). Federer trenta e lode. Cilic, un salto mai così in alto: sarà nr.3 (Semeraro). Chung s'arrende a Federer e si ritira per una vescica. In finale Roger contro Cilic (Azzolini). Federer s'allena contro Chung. Halep-Wozniacki, una è di troppo (Clerici)

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Federer grandi numeri, vuole il 20° Slam (Baldissera). Federer si merita un trenta. Peccato Cocciaretto, semifinale stregata dopo 2 match point (Crivelli). Aggressività contro corsa. Finale donne: Halep favorita (Bertolucci). Federer trenta e lode. Cilic, un salto mai così in alto: sarà nr.3 (Semeraro). Chung s’arrende a Federer e si ritira per una vescica. In finale Roger contro Cilic (Azzolini). Federer s’allena contro Chung. Halep-Wozniacki, una è di troppo (Clerici)

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Federer grandi numeri , vuole il 20° Slam (Luca Baldissera, Nazione-Carlino-Giorno Sport)

DUE SEMIFINALI maschili, Cilic-Edmund 62 76 62, Federer-Chung 61 52 ritiro del coreano e… una peggio dell’altra! Mille volte meglio le semifinali femminili Halep-Kerber e Wozniacki -Mertens (con le paladine dell’uguaglianza e parità dei montepremi che hanno ricevuto un bell’assist di cui non sarebbero state capaci neppure Billie Jean King e Martina Navratilova) e certamente la finale femminile fra la n.1 del mondo Halep e la n.2 Wozniacki in programma alle 9,30 italiane del mattino di questo sabato con in palio – oltre al primo Slam della carriera per entrambe – anche la leadership mondiale, promette di essere più interessante… Già, infatti se l’attesa semifinale Federer Chung non è praticamente esistita, è stato perché il povero coreano aveva un piede martoriato dalle vesciche, quasi come l’aveva avuto anche Marin Cilic nella finale di Wimbledon 2017 contro lo stesso Federer. Il croato, che aveva sognato fin da bambino di giocare una finale a Wimbledon, si era quasi messo a piangere quel giorno. Chung non ha pianto, ha anzi mascherato alla grande il suo problema e se quando si è ritirato sul 6-1 5-2 30 pari qualcuno ha pensato che sarebbe stato più sportivo concludere almeno il secondo set, è stato proprio Federer a giustificarlo: «Quando ho visto in che condizioni era quel piede mi sono detto che era stato un vero miracolo se era riuscito a stare in campo tutto quel tempo! Avevo saputo prima del match che aveva un problema, ma ho giocato bene per tutto il primo set e dopo cercando di non pensarci. E comunque non immaginavo che fosse in quello stato». Roger ha fatto subito il break a Chung e poi ha tenuto quasi sempre i propri servizi a zero. Chung non riusciva a muoversi. Insomma il succo è che Roger ha raggiunto la trentesima finale di uno Slam e che se batterà Cilic domenica mattina (per l’Italia) avrà vinto lo Slam n. 20. Il primo record, quello delle 30 finali, è quasi più difficile da superare del secondo anche se quando Roger pareggiò i 14 Slam di Pete Sampras sembrò già allora quasi incredibile. Secondo dietro a Federer nel numero delle finali disputate è Rafa Nadal, ma è indietro di 7: ne ha giocate 23. Per arrivare a 30 dovrebbe farle tutte di fila per 2 anni. Rafa è secondo anche nel numero degli Slam, 16. In teoria potrebbe arrivare a 19 come Roger già quest’anno, se li vincesse tutti e tre. Risultati e interviste da Melbourne www.ubitennis.com

Federer si merita un trenta (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Dove la mente sogna, il cuore non invecchia. E in quello di Federer batte il cuore del mondo. Povero Chung, ancora troppo tenero per trovarsi di fronte, oltre quella rete, non un avversario, seppur grandissimo, ma un’entità sovrannaturale capace di fermare il tempo e di sublimare nella sua grazia la passione di milioni e milioni di anime soggiogate dal più grande talento di sempre. Dopo un’ora e due minuti in pratica senza una partita, il giovanotto coreano si arrende alle vesciche che gli martirizzano il piede sinistro ma soprattutto alla leggenda del Divino: non è ancora il momento di battere un mito, uno stadio, un pianeta intero. CERTEZZE Eppure, sulla Rod Laver Arena per l’occasione indoor causa pioggia, non si respira soltanto l’aura di intoccabilità che circonda il Re: Roger impartisce al piccolo maestro milanese della Next Gen innanzitutto una lezione tecnica, che prima disinnesca tutte le sue armi e poi gli entra nella testa fino a rendergli insopportabile il dolore. Tagli, accelerazioni, aggressività: il campione in carica toglie subito campo e tempo a Chung, impedendogli di prendere ritmo, di allungare gli scambi, di farsi difensore impenetrabile di gomma come già accaduto con Zverev e Djokovic. Senza più certezze, l’occhialuto ragazzotto coreano si scioglie fino allo sfinimento, aprendo a Federer la via per la settima finale in Australia, record sottratto a Nole, che però le sue sei le ha vinte tutte e domani può essere per l’appunto raggiunto lassù dal Divino in una triade di plurivincitori che raccoglie anche Emerson. Soprattutto, Federer si giocherà un titolo Major per la 30° volta in carriera (il secondo, Nadal, è a 23), inseguendo il successo numero 20, miraggio così lontano appena dodici mesi fa, quando lo svizzero si ripresentò a Melbourne molto più dubbioso che speranzoso dopo il crac al ginocchio: «Un’altra finale, sono felice, anche se non avrei voluto che la partita finisse così. Magari sembra vicino, ma il 20 Slam è ancora lontano. Per quattro o cinque anni ho cercato di rivincerne uno e un anno fa, di questi tempi avrei pensato al massimo di riuscire a conquistarne un altro. Mi accontentavo di dimostrare a mia moglie e al mio staff di essere capace di vincere il 18° , poi le cose sono cambiate». MALDIVE Più grande di tre generazioni: Federer ha chiuso l’epopea di Sampras e Agassi, ha marchiato quella dei Fab Four e adesso, mentre i formidabili rivali della sua epoca tremano sotto gli acciacchi, lui zittisce pure i nuovi arrivati: «Sicuramente sono più saggio rispetto a dieci anni fa, e sono pure padre. C’è stato un momento, proprio qui, nel 2008 (perse in semifinale da Djokovic, ndr), in cui mi resi conto che la mia carriera stava cambiando, forse in peggio, un pensiero durato sei mesi. Ma sono stato bravo ad uscirne, ho attraversato momenti belli e brutti, ora sono felice di essere ancora qui, ancora in salute e con la possibilità di darmi altre chance». La prossima, così vicina, nella mattina italiana di domani, quando attraverserà i corridoi fino al Centrale da netto favorito contro Cilic, nella replica della finale di Wimbledon, anche se Roger prova l’esorcismo: «Se Marin è arrivato in fondo a un torneo duro come questo significa che sta molto bene e ha grande fiducia in se stesso. A New York, nel 2014, mi ha travolto e poi a volte affronto giocatori che sembrano soltanto felici di essere lì di fronte. Non lui». Tra l’altro, a fine novembre, si sono ritrovati per caso nello stesso resort alle Maldive e dopo due giorni di tranquillità il croato gli ha mandato un messaggio per allenarsi insieme: «E’ stato divertente — ricorda Fed — 45 minuti in relax e senza allenatori, poi abbiamo mangiato una fetta di torta insieme». Ma quello non era uno Slam. Non era la casa del Divino.

Peccato Cocciaretto, semifinale stregata dopo 2 match point (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Ci e arrivata a tanto così: un match point sul 5-3 del terzo set, un altro sul 6-5, ma alla fine Elisabetta Cocciaretto deve inchinarsi in semifinale alla cinese di Taiwan En Liang Shuo: 4-6 6-3 7-6 (5) il punteggio, e addio al sogno di diventare la prima italiana in finale del torneo juniores dal 1998 (Adriana Serra Zanetti, che adesso la allena a Tirrenia) e la seconda a imporsi in uno Slam giovanile da Francesca Bentivoglio agli Us Open 1993. CORAGGIO E FUTURO Rimpianti, ma anche la certezza che la marchigiana, fresca diciassettenne, possegga le stimmate per rinverdire un tennis femminile azzurro alle prese con una profonda crisi generazionale, come profetizzato anche da Corrado Barazzutti che era in tribuna: «Ha tutte le qualità per diventare una giocatrice vera». Elisa, con un rovescio che spacca, domina il primo set e si ritrova 3-1 nel secondo, prima di un black out di otto game che porta la Shuo sul 3-0 nel terzo. Da lì parte la rimonta, un doppio fallo millimetrico e un bel punto della taiwanese anestetizzano i due match point fino al tie break decisivo . Un peccato, ma la Cocciaretto ha il talento e la determinazione per uscirne più forte, come dimostra la scelta di saltare i tornei Under 16 dopo l’infortunio alla schiena per buttarsi subito sugli Slam: «Sui due match point, lei è stata più coraggiosa di me. Io pensavo di uscire subito dal torneo, quando ho guardato il tabellone ho pensato che sarei stata eliminata al primo turno, anche se ero 6-4 3-1 in semifinale mi porto dietro un’esperienza indimenticabile. Quindi alla fine devo essere contenta e soddisfatta». E l’Italia con lei.

Aggressività contro corsa: Halep favorita (Paolo Bertolucci, Gazzetta dello Sport)

L’ odierna finale australiana del torneo femminile tra Simona Halep e Caroline Wozniacki non mette di fronte due stelle assolute del firmamento mondiale ma, visto il momento poco brillante in fatto di personaggi e personalità, sicuramente offre sulla carta la miglior sfida possibile. Vedo la romena leggermente favorita, anche se per raggiungere l’atto finale ha dovuto spendere molto dal punto di vista fisico e mentale, con partite tirate e addirittura cinque match point annullati complessivamente in due diverse occasioni. Simona tecnicamente ha qualcosa in più e riesce a produrre un tennis aggressivo, pulito e lineare alzando il ritmo con il dritto. Ha lavorato duro per arrivare in alto e solo dopo aver conosciuto il dolce sapore della vittoria e quello amaro della sconfitta ha trovato il giusto equilibrio. Resta una giocatrice timida che nel proporre un tennis adatto alle sue caratteristiche si basa sulla linearità dei gesti e sulle geometrie dei colpi. Inoltre la Halep possiede una qualità fisica tale da renderla spesso dominante sul terreno di gioco. Non è una giocatrice di ghiaccio e questo suo tallone d’Achille emerge con evidenza in certi frangenti, ma il cammino tortuoso da cui è uscita in questi Australian Open lascia credere che i momenti di vuoto possano essere ormai alle spalle. La Wozniacki, dal canto suo, è una di quelle giocatrici che cattura l’occhio per la grazia, ma per apprezzarne le doti tennistiche deve essere osservata con attenzione. E’ una ragazza solida e concreta, capace di offrire un gioco sicuramente monocorde ma cosparso di trappole. Difettando di potenza, la danese quasi sempre si rifugia nella difesa a oltranza supportata da una grande condizione atletica, ma quando le barriere non sono in grado di reggere l’urto arriva ad azzardare parabole diverse. Per lei correre non è una virtù, ma una necessità primaria e anche in apnea raramente si smarrisce. C’è poi il fattore mentale da non sottovalutare: entrambe possono vincere il loro primo Slam e solo chi non lo avvertirà come un peso avrà la strada spianata

Federer trenta e lode (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Un urrah per Roger Federer: domani il Genio compie 30 finali Slam. Ne ha vinte 19, contro Marin Cilic può arrivare alla cifra tonda – tutti record già suoi per distacco… – e nel corso del 2018 anche superarla, ma a fare impressione più che i numeri ormai è la serenità con cui Federer smista le generazioni di avversari che gli si presentano davanti. «Sono sicuro che Hyeon avrà una carriera piena di successi», ha detto ieri congedando il 21enne coreano Chung, che dopo un torneo fantastico gli ha consegnato l’ennesima finale ritirandosi sul 6-1 5-2 con il piedone dolorante per una vescica «Non posso e non voglio dire però dove arriverà. Quando avevo la sua età molti esperti, o presunti tali, scrissero che sarei diventato numero 1 e avrei vinto tutto. Da un lato è stato bello, dall’altro no, perché ti ritrovi addosso con un sacco di pressione. E alla fine, se ottieni quello che gli altri si aspettano, sembra quasi una cosa normale. Invece diventare numero 1, vincere tornei dello Slam e Masters 1000 non è normale. E straordinario». In Australia la sua prima finale, vinta contro Marat Safin, risale al 2004. Nel corso degli anni ne ha vinte altre quattro l’ultima l’anno scorso, e persa una sanguinosissima nel 2009 contro Rafa Nadal, contro cui in totale si è battuto nove volte nel big match di uno Slam. «Rispetto a dieci anni fa la mia vita è cambiata totalmente», ha spiegato. «Ora ho quattro figli e anche dal punto tennistico mi sento più saggio, forse più rilassato. Sono passato attraverso tante fasi nella mia carriera, mi rende felice essere ancora qui, in salute e in grado di giocare un buon tennis. E quasi sempre divertendomi molto». In vent’anni di carriera è passato da quel singolo acuto contro Sampras, a Wimbledon nel 2001, quando dopo aver eliminato il re dell’erba non fu capace di ripetersi contro Henman, e da una finale contro “nonno” Agassi nel 2005 agli US Open, alla splendida, interminabile faida contro Nadal. Dalla rivalità sempre vincente contro Roddick alle sfide anche dolorose contro Murray e Djokovic. Contro Cilic, con cui ha perso malamente in semifinale a New York nel 2014, ma vinto sul velluto verde l’anno scorso a Wimbledon, siamo al terzo capitolo. Il nono, con quella unica sconfitta agli US Open, se consideriamo il bilancio complessivo in carriera, che però non tiene conto dell’ultimo incontro fra i due: alle Maldive, a fine novembre. «Io ero già li», ha raccontato Federer. «Quando Marin è arrivato mi hanno avvertito, ma non volevo scocciarlo, ma è stato lui a scrivermi un messaggio: se hai voglia che ci vediamo, ci sono. Certo, gli ho risposto, hai voglia di palleggiare un po’? Così è finita che abbiamo giocato due volte, per tre quarti d’ora, senza coach, solo noi. Poi abbiamo anche bevuto qualcosa e mangiato anche una fetta di torta con tutta la mia famiglia, lui mi ha presentato la fidanzata. E stato bello conoscere l’uomo che sta dietro il tennista, anche se un po’ era già successo alla Laver Cup». Dalla piscina alla Rod Laver Arena il passo è breve, oppure lunghissimo, «vincere il ventesimo Slam sarebbe pazzesco, fino ad ora non ho perso un set ma dietro ogni successo c’è tanto lavoro, mesi di preparazione, e Cilic sul campo è un vincente, uno che non si accontenta, ma vuole vincere. Un atteggiamento che mi piace». L’unica concessione alla nostalgia arriva quando gli chiedono un pronostico sulla finale femminile nella quale una fra le campionesse incompiute Halep e Wozniacki romperà il tabù Slam. «In un certo senso le invidio – ha risposto – perché vincere il primo Slam è una sensazione unica». Viverla venti volte, è solo da Federer.

Cilic, un salto mai così in alto: sarà nr.3 (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Quando raggiunse la sua prima semifinale Slam proprio in Australia, nel 2010, a 22 anni, in molti si chiesero se era nato un campione. Quando tre anni fa vinse gli US Open in finale su Nishikori, dopo aver rifilato un triplice 6-4 a Federer in semifinale, ci fu il sospettò che si trattasse di una meteora. Due finali Slam più tardi, quella persa dello scorso luglio a Wimbledon e quella di domani, entrambe contro Federer nessuno più dubita del talento di Marin Cilic, l’ex ragazzino croato nato a Medjugorjie, in Bosnia, ma cresciuto fra Zagabria e Sanremo, dove Bob Brett lo ha allenato per nove anni. A segnalarlo all’ex coach australiano di Becker – uno che prima e dopo Bum bum ha avuto fra le mani anche Gomez, Wilander, Kiefer e Ancic – era stato Goran Ivanisevic, che poi gli ha fatto personalmente da consigliere tecnico per due anni e mezzo fra 2013 e 2016 (oggi seguito da Jonas Bjorianan). «Goran era un po’ folle, in possesso di un servizio terribile ma in qualche modo un giocatore incompleto – raccontava anni fa Brett – Marin è molto serio e ha due grandi qualità: lavora moltissimo e impara in fretta». Un predestinato, che fin da ragazzino a Zagabria palleggiava con il suo idolo Ivanisevic e con Zvone Boban, divo del pallone malato di tennis come pochi. In Italia ha imparato a tifare Milan e a mangiare la pasta, dopo il brutto episodio della squalifica per doping nel 2013 (involontario, ha sempre sostenuto Marin), con Ivanisevic ha migliorato ancora il servizio, irrobustito corpo e mente, stabilizzato i due devastanti fondamentali da fondo. Da tre anni non esce dai primi 15, da uno è fisso fra i primi 8, da lunedì sarà n. 3 dietro Nadal (che ha battuto a Melbourne, anche se per ritiro) e Federer. E l’unico croato insieme a Cavallo Pazzo ad aver raggiunto tre finali Slam, «ma Goran aveva tre personalità – scherza – a me ne basta una». Ha iniziato l’anno con l’ obiettivo «di vincere un altro Slam», gli manca una partita «Rispetto agli US Open del 2014 ora gioco meglio, perché riesco a tenere alta il livello per tutta una stagione». A Wimbledon non riuscì a dare il meglio anche per colpa di una vescica, «ma non cerco vendetta. Federer è sempre una grande sfida, io sono felice di giocare un’altra finale Slam». Con il sospetto che potrebbe non essere l’ultima.

Chung s’arrende a Federer e si ritira per una vescica. In finale Roger contro Cilic (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Al monaco del tennis non manca il senso della realtà. Ha capito che avrebbe perso dopo i primi tre game. Se n’è accorto subito perché qualunque colpo eseguisse, qualsiasi iniziativa prendesse, Federer non faceva una piega. Dev’essersi sentito come un libro già letto, frate Chung, un clone che l’altro aveva già visto all’opera, chissà quando, chissà dove. Si è sentito nudo, con i glutei scoperti davanti a non meno di dieci emittenti coreane giunte di gran carriera per questa semifinale, e ha perso la testa. Si è ritirato. A LEZIONE Nei referti ufficiali si farà cenno a una vescica al piede, che per i tennisti a inizio stagione, sul cemento, è come il raffreddore in un asilo ai primi accenni di fredda. Del resto, nessuno ha ancora scoperto un modo per mettere a referto un ritiro per sopraggiunto stordimento, o perché l’avversario gli ha intorcinato i pensieri. Via, lasciamo che un pizzico di sana ipocrisia faccia il suo corso, e prendiamo atto che una vescica al piede, quando serve, è pur sempre una vescica. Poteva approfittarne Hyeon Chung. La lezione era gratuita. Avrebbe perso il match, e magari un pizzico di autostima, ma avrebbe imparato cose nuove. Intanto, che esiste un tennis al di là della propria immaginazione, poi, che un conto è guardarlo, uno come Federer, altro invece è provarlo su un campo. Avrebbe imparato che se vuole diventare davvero forte, come in tanti credono possa diventare, occorre trovare presto qualche rimedio tecnico e tattico contro quei giocatori che cambiano schema a ogni colpo, anche se sono pochi, si contano sulle dita di una mano, e sono quasi tutti in età da prepensionamento. L’ORGOGLIO Ma Chung è anche orgoglioso. Ha provato a sfondare sul lato del rovescio di Federer, e ha rimediato briciole. Dopo tre game si è giocato la carta della muraglia, coreana in questo caso, e ha scoperto che vi sono infiniti modi per aggirarla. Non lo sapeva, ne è rimasto colpito, forse frustrato. L’ultimo tentativo l’ha fatto all’inizio del secondo set, e si è ritrovato ad abboccare a ogni amo che Federer gli lanciasse, finte e attacchi al centro, infilate di rovescio in contropiede. Si è consegnato al medico per spezzare l’incantesimo, ha mostrato la sua brava ferita. Di lì a poco ha detto basta. Federer ha ringraziato commosso. I turni stabiliti dal tabellone davano un intero giorno di riposo in più a Cilic, promosso giovedì. L’idea fissa era quella di evitare che Chung la trascinasse per le lunghe. Federer ci stava riuscendo per vie naturali, ma il ritiro di Chung ha ridotto il match a un allenamento. Un’oretta sotto il tetto della Laver Arena, per coprirsi dalla pioggia e stop. L’OBIETTIVO Che altro avrebbe potuto desiderare di più? E giunto in fondo al torneo senza perdere un set, meglio di un anno fa, e anche se evita di parlarne, preferendo evitare eccessive pressioni («E speciale poterci provare» è tutto ciò che si concede), l’obiettivo del ventesimo Slam è a un passo. In Australia ha giocato 14 semifinali, sale a 7 finali, ne ha vinte 5, la sesta non è lontana Allargando la visuale, domenica le finali giocate negli Slam diventeranno trenta, e sono numeri che fanno impressione. «Spero di giocare bene sin dai primi game, contro Cilic. Lui ha un bell’atteggiamento, vinca o perda ha l’aria del vincitore. Ci siamo visti alle Maldive, a novembre, eravamo in vacanza, ma ci siamo allenati lo stesso. È stato bello». L’AZZURRINA Non crediamo che Chung conosca la nostra Elisabetta Cocciaretto. Prima di tutto perché è una ragazza, e lui ha ammesso che non ha tempo per queste cose. Poi perché giocano in separate sedi. Ma vi fosse una scuola per giovani tennisti, e un corso didattico sui misteri del Grand Slam, consiglieremmo a entrambi di iscriversi. Studierebbero materie tipo.. Nello Slam mai dare nulla per scontato; Il match point, questo sconosciuto; e la più classica fra tutte… Giocare è un conto, vincere un altro. Spigliata e umile, Elisabetta ha capito l’antifona. Ha buttato al vento una semifinale (junior) già vinta. Aveva dominato la cinese En Liang Shuo, aveva archiviato il primo set e teneva saldamente in mano il secondo. Sul 5-4 e poi sul 6-5 del secondo set, Elisabetta ha avuto due match point, e il primo l’ha consegnato con un doppio fallo. Errori che nello Slam si pagano, anche a livello juniores. La cinese ha ribaltato la situazione, e sul suo match point, nel 3 set, ha mostrato la cattiveria che serviva. Impareranno, Chung e Cocciaretto. Il tempo è dalla loro parte. Melbourne ha festeggiato l’Australian Day e in dono ha avuto Federer.

Federer s’allena contro Chung. Halep-Wozniacki, una è di troppo (Gianni Clerici, La Repubblica)

L’allenamento agonistico previsto prima che il Divino Federer affrontasse la sua trentesima finale di uno Slam non si è svolto. Non aveva torto un signore capace di richiedere un terzo del biglietto, sostenendo che aveva ammirato solo 2 set di Roger, e per di più con un tennista infortunato. Il più che inatteso Hyeon Chung aveva forse mostrato alla mamma Young-Mi il piede spellatissimo, sommerso di vesciche, un piede insomma che gli avrebbe permesso una partita a scacchi e non a tennis, ma aveva mantenuto uno straordinario ritegno nel parlarne. Quel che rimaneva di un incontro non l’ha certo visto scivolare, e nemmeno passare il peso del corpo nella battuta, che già non è il suo colpo migliore. Mentre Roger pareva più inattaccabile di sempre, il ferito riusciva a ricavare 21 punti a 33 nel primo, e, giunto a 12 a 22 nel secondo mostrava, in un arresto più lungo dell’abituale medical time, tutta l’oggettiva incapacità ad andare oltre, con un piede e mezzo. Le indicazioni che ancora si potevano ricavare sulla condizione del Divino prescindono da questa partita, e rimangono dunque quelle di ier l’altro, cioè dei 5 match senza perdere un solo set. Ancorché, tra i suoi avversari, il solo Berdych avesse mostrato in passato qualità tali da impensierirlo. Nell’attesa della finale di domani dedichiamo qualche riga alle ragazze, soprattutto alle due finaliste, che condividono la qualità negativa di non aver mai vinto uno Slam. Caroline Wozniacki ha 27 anni, ed è stata progettata tennista da un papà calciatore e una mamma pallavolista rifugiatisi nella felice Danimarca dai tempi di uno scoraggiante dopoguerra polacco. Simona Halep di anni ne ha uno meno, è nata in una provincia romena da genitori modesti, ma si è trovata uno zio nel coach australiano Darren Cahill, grande tennista tradito dagli infortuni. Wozniacki è donna attraente, Halep ha certamente grandi doti, all’infuori del fascino. Carolina a Melbourne ha trovato nei suoi Dei un aiuto per risalire nel 3 set da 1-5 contro Jana Fett, sconosciuta croata. Simona è sopravvissuta cancellando 3 match point all’altrettanto ignota americana Lauren Davis in un 3 set vinto 15-13. E ancora con l’aiuto dei suoi Dei si è salvata da due match ball della Kerber in un match terminato 6-3,4-6, 9-7. Non possiedo sufficienti qualità, né un’esperienza approfondita del tennis femminile per profetare il nome della vincitrice di una simile finale. Posso solo ricordare che, per gli statistici della Wta, è la prima volta che in una finale Slam si affrontano due tenniste che hanno entrambe salvato match ball avversi. Termino ricordando, nel doppio femminile, la vittoria di Mladenovic e Babos, così spiegata: «Siamo amiche dall’età di sette anni». Ricordate Errani e Vinci? oggi Finale donne Halep-Wozniacki (9.30, Eurosport)

 

 

 

 

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