Il senso di Nadal per la Davis e il ritorno di Garbine Muguruza

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Il senso di Nadal per la Davis e il ritorno di Garbine Muguruza

I numeri della settimana: Nadal e Cilic sugli scudi in Davis, la spagnola torna al successo a Monterrey

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1 vittoria, negli ultimi otto incontri disputati in Coppa Davis contro tennisti nella top 50 del ranking ATP​. Questo il misero bilancio di John Isner, protagonista nel week-end a Nashville della vittoria degli Stati Uniti sul Belgio, squadra ​orfana​ del suo numero 1, ​ David Goffin. Nella capitale dello stato del Tennessee, il recente vincitore del Masters 1000 di Miami ha fatto il suo dovere, sconfiggendo non senza soffrire in quattro set​ (nel tie-break del terzo ha annullato due set point per non andare 1-2 nel computo dei parziali) Joris De Loore, 319 ATP. ​ Una vittoria che ha portato il bilancio complessivo di John nei singolari in Davis a 14-11. Tuttavia, resta piuttosto deludente il contributo dato dal quasi 33enne yankee alla causa della sua nazionale, con la quale ha sconfitto solo due top ten) nelle sei circostanze nelle quali ha affrontato tennisti di tale caratura (sempre nel 2012 e sempre sulla terra e in trasferta, Tsonga nei quarti e, negli ottavi quello che è il suo successo più prestigioso, la vittoria su Federer). Piuttosto mediocre il suo contributo con la nazionale a stelle e strisce a guardare i numeri: con gli U.S.A. ha vinto appena quattro volte in tredici incontri complessivi contro top 50 (una percentuale del 31%, molto inferiore al 48 % corrispondente a quella del restante bilancio -130 successi e 142 sconfitte- in carriera contro giocatori in tale range di classifica). Ci sta chi rende di più in Davis che nel circuito, e chi, come Isner, lo fa di meno.

3 vittorie in nove match terminati al quinto set: questo il misero bilancio in Coppa Davis di Andreas Seppi, vincitore in tale situazione di punteggio solo nel 2005 a Torre del Greco su Ferrero, allora 20 ATP; nel 2008 in trasferta contro un giovanissimo Cilic, in quel momento 44 ATP, e, a Vancouver, nel 2013 contro Pospisil, in quel periodo 140 ATP. Un rendimento non in linea con quello più che lusinghiero avuto dal bolzanino sin qui nel circuito maggiore, dove, Davis esclusa, ha vinto diciotto dei ventisei incontri terminati in carriera al quinto set, corrispondenti a una percentuale del 69%. Nello scorso week-end a Genova, Andreas contro il numero 1 francese Lucas Pouille ha rimontato per la quinta volta in Davis da due set a 0 sotto, ma purtroppo non è andata come con Ferrero e Pospisil, analogamente recuperati, ma piuttosto come nel caso delle amare sconfitte con l’israeliano Sela nel 2007 e con il georgiano Labadze nel 2004. Seppi infatti, probabilmente a corto di fiato agonistico in quello che era il suo rientro agonistico dopo due mesi di assenza dal circuito, è crollato nel finale di partita, dando il primo punto della sfida ai francesi.

4 appena le vittorie raccolte in questo 2018 nel circuito da Kiki Bertens, prima di partecipare e vincere lo storico (si gioca dal 1973) torneo di Charleston, appartenente alla categoria dei Premier. L’olandese classe 91 era in verità in crisi di risultati da metà luglio scorso, ovvero da quando vinse il quarto titolo della carriera (tutti sulla terra, tutti “International”) a Gstaad, sconfiggendo la Kontaveit. Era un buonissimo momento per l’olandese, reduce dai quarti a Madrid e dalla semifinale a Roma, che veleggiava nella top 20 (best career ranking è 18 WTA) prima di calare nettamente nel rendimento: dopo quel titolo, in tutto il 2017 infatti avrebbe poi vinto solo quattro partite. Occorreva il ritorno della terra, sebbene verde, per vederla tornare protagonista: a Charleston, dove aveva vinto appena due partite nelle precedenti due edizioni alle quali aveva preso parte, ha ben pensato di mettere in fila sei vittorie e conquistare il titolo nettamente più prestigioso della sua carriera. Senza perdere un set, ha estromesso dal torneo Cepede Royg (6-4 6-1), Krunic (6-4 6-2), Stollar (6-2 6-4), Cornet (6-2 7-5) e, in finale Julia Georges (6-2 6-1). Solo contro un’altra top venti come la tutonica, Kiki ha incontrato difficoltà: in semifinale per sconfiggere Madison Keys, ha dovuto annullare un match point alla finalista degli US Open 2017, prima di sconfiggerla col punteggio di 6-4 6-7(2) 7-6 (5). Outsider di lusso nei prossimi importanti appuntamenti sulla terra rossa.

7 vittorie in undici incontri di doppio in Coppa Davis: questo il buonissimo ​bilancio col quale sono scesi in campo a Genova Simone Bolelli e Fabio Fognini contro la coppia francese composta da Herbert e Mahut. La pesantissima sconfitta patita in terra ligure non cancella però le belle cose fatte dai nostri due tennisti con la maglia azzurra (tra i loro successi, anche quelli su buonissime coppie come Dodig- Cilic e Chiudinelli- Wawrinka), nè tantomeno nel circuito. Oltre alla vittoria più importante, quella degli Australian Open 2015, sono arrivati anche altri due titoli –​ Umago nel​ 2011 e Buenos Aires nel 2013- e quattro finali. La prima ad ​Acapulco, ancora nel 2013 e, le altre tre nel 2015 -​ anno che li vide partecipare anche alle ATP Finals- quando ​arrivarono a giocarsi il titolo​ in ben tre Masters 1000, Indian Wells, Montecarlo e Shanghai. Tra le vittorie da segnalare, le cinque contro coppie di specialisti nella top ten della classifica di specialità​: per ben due volte hanno sconfitto Dodig- Melo e​ in una circostanza, ​hanno avuto la meglio su Bhupathi- Nestor, Mirny-Nestor, Benneteau-Roger Vasselin. La coppia titolare da cui ripartire in Davis resta in ogni caso questa. ​

11 vittorie consecutive di Petra Kvitova tra San Pietroburgo e Doha, successi che lo scorso febbraio​ le avevano garantito due titoli Premier importanti per la sua ​classifica, che l’aveva rivista tornare nella top 10 dopo un’assenza che perdurava ​dal giugno 2016, ​e, soprattutto, ​per il morale. Tornei ​conquistati importanti anche per il livello tecnico di primissimo piano mostrato nel corso delle sue prove: e se nella capitale degli zar Petra aveva sconfitto solo due top ten (Ostapenko nei quarti e Mladenovic in finale), in Qatar aveva addirittura avuto la meglio su Svitolina, Georges, Wozniacki e Muguruza, rispettivamente 3, 10, 1 e 4 del mondo. Sembrava definitivamente tornata sui livelli che le avevano fatto vincere due Wimbledon e fatta​ essere, a fine 2011, la seconda giocatrice al mondo. Vedendo i risultati degli ultimi tre tornei ai quali ha partecipato, sembra però più probabile che il suo attuale stato di forma rispecchi più la classifica precedente all’​aggressione domestica subita nel dicembre 2016 (quando era 13 WTA) e che la ceca debba ancora totalmente assestare il suo “motore”. Dopo Doha, aveva deciso giustamente di saltare Dubai, riposarsi e rientrare a Indian Wells, dove, dopo aver sconfitto Putintseva, 81 WTA, aveva perso al terzo dalla nemmeno 17enne Amanda Anisimova, 149 WTA. A Miami era andata appena un pochino meglio: due vittorie su tenniste dalla classifica modesta Sabalenka, 60 WTA, e Kenin, 94 WTA, prima di arrendersi a una Ostapenko che sarebbe arrivata alla finale del torneo, ma reduce da un inizio 2018 più che mediocre. La prova dei passi indietro nel rendimento da parte di Petra è però arrivata questa settimana al Premier di Charleston, dove all’esordio la due volte vincitrice di Wimbledon è stata sconfitta dalla connazionale Kristyna Pliskova, 77 WTA, vincitrice col punteggio di 1-6 6-3 6-3. Vedremo adesso come si comporterà sulla mai molto amata terra rossa

17 la posizione in ​classifica di Magdalena Rybarikova, suo ​ best career ranking, quando ha partecipato nei giorni scorsi al Premier di Charleston. E dire che la numero 1 slovacca (da autunno 2017ha superato la Cibulkova), sino allo scorso Wimbledon aveva giocato, fatta eccezione per il Roland Garros, solo tornei del circuito ITF. Una programmazione dovuta a una classifica che l’aveva vista scendere al n°200 del ranking, in seguito alle operazioni a polso e ginocchio alle quali si era sottoposta dopo i Championships 2016, interventi chirurgici che le avevano fatto saltare la seconda metà di stagione. E dire che Magdalena aveva sinora avuto la sua migliore stagione nel 2013, quando aveva raggiunto la sua miglior classifica, che non l’aveva mai vista entrare nella top 30. A quell’anno corrisponde anche l’ultimo dei suoi quattro titoli vinti, Washington (gli altri li aveva conquistati, ancora nella capitale statunitense nel 2012, a Memphis nel 2011 e sull’erba di Birmingham nel 2009). Proprio sull’erba la scorsa estate si è concretizzata l’esplosione della carriera ad alti livelli: vincendo due ITF da 100.000$ e arrivando in semifinale all’International di Nottingham, prese la rincorsa per raggiungere addirittura le semifinali a Wimbledon, battendo tra le altre Karolina Pliskova e la Vandeweghe. Questi risultati, assieme alla finale di Linz, (persa dalla Strycova) le avevano consentito di partecipare al Master B di Zhuhai, chiudendo il 2017 in prossimità della top 20 del ranking. Gli ottavi raggiunti quest’anno a Melbourne, le hanno permesso di fare un ulteriore balzo in avanti e di raggiungere il best career ranking. Dopo l’Australia, aveva deluso nei tre tornei ai quali si era iscritta, vincendo una sola partita e perdendo due volte dalla Niculescu (a Doha e Miami) e una da Sofia Zhuk, allora 136 WTA, a Indian Wells. All’International di Monterrey si è ripresa con due vittorie, sebbene su avversarie dalla classifica più che mediocre: prima ha sconfitto (6-3 6-4) Risa Ozaki, 267 WTA e poi ha avuto la meglio (7-5 6-2) su Jana Fett, 109 WTA.

23 le vittorie di Rafael Nadal, su 24 incontri di singolare disputati in Coppa Davis, una manifestazione che gioca dal 2004 quando, come 40 ATP e nemmeno 18enne, esordì in Repubblica Ceca (e lì, dopo aver sconfitto Stepanek, perse sin qui l’​unico incontro in questa manifestazione, ​da Jiri Novak, in quel momento 16 ATP). Da allora solo vittorie, concedendo appena cinque set ai suoi avversari e portando a casa ben quattro insalatiere d’argento, sempre da protagonista. Infatti, nel 2004 giocò la semifinale e in finale prevalse su Roddick, nel 2008 prese parte​ a quarti e semifinale mentre​ nel 2009 fu protagonista ​ne​l primo turno e nel​la finale, nel corso della​ quale sconfisse Berdych. ​N​el 2011 giocò tre turni, tra i quali la finale di Siviglia ​ contro l’Argentina, e in quel tie sconfisse Monaco e Del Potro. Dopo quel quarto trionfo, il maiorchino si era defilato dalla manifestazione e aveva giocato con la sua nazionale solo negli spareggi per rimanere nel World Group del 2013 e 2015, prima del suo ritornoin grandissimo stile a Valencia contro la Germania in questo week-end dedicato ai quarti della Coppa Davis, dove ha prima sconfitto Kohlshreiber, 34 ATP, col punteggio di 6-2 6-2 6-3 e poi ha prevalso su Zverev, “demolito” con un pesante 6-1 6-4 6-4. Un campionissimo capace di contraddistinguersi anche per il suo carattere, non può che esaltarsi in Davis.

26 le vittorie in​ partite di ​singolare di Coppa Davis, su 36 incontri disputati: questo il bilancio di Marin Cilic. Il numero 3 al mondo, che esordì nel 2006 non ancora maggiorenne con due sconfitte, prima con Koubek al primo turno e poi con Nalbandian ai quarti,da quando nel 2009 è entrato quasi stabilmente nella top 20 ha ulteriormente incrementato il​ suo rendimento, vincendo 22 dei 28 incontri disputati. In tale lasso temporale, il campione degli US Open 2014 ha perso in Davis solo da Djokovic, Del Potro (in due circostanze, tra le quali la più dolorosa in occasione della rimonta subita​ da due set sotto da parte dell’argentino, durante la finale 2016) o comunque contro giocatori di grande livello, quantomeno entrati nella top ten, come Berdych, Goffin e Sock. Un rapporto molto bello con la sua nazionale, con la quale ha saltato solo la stagione del 2015, disputando almeno un tie in tutti gli altri anni, e totalizzando 23 convocazioni. In questi quarti di finale programmati lo scorso week-end, con la sua Croazia ha vinto facilmente i suoi due singolari contro il Kazakistan, sconfiggendo prima ​Popko (6-2 6-1 6-2) e poi Kukhuskin con un periodico 6-1. Se fa il suo dovere nella semifinale di settembre, da giocare in casa contro gli USA, una nuova finale per la selezione croata sarà molto probabile.

49 i mesi trascorsi dall’ultimo International conquistato dalla Muguruza, questa settimana vincitrice di quello di Monterrey: l’ultima volta era accaduta nel febbraio 2014 a Florianópolis. La spagnola, che dopo aver realizzato la scorsa estate la doppietta Wimbledon- Cincinnati si era laureata numero 1 al mondo, ma dopo era molto calata di rendimento, riprendendosi solo nei Premier arabi a febbraio, nei quali aveva sconfitto complessivamente tre top 10, raggiunto una finale (a Doha, persa dalla Kvitova) e una semifinale (a Dubai sconfitta dalla Kasatkina). Aveva deluso nuovamente a Indian Wells e Miami ed era difficile prevedere come potesse comportarsi a Monterrey, dove nelle due precedenti partecipazioni (2012 e 2014) non aveva vinto nemmeno un match. Il suo cammino sul cemento all’aperto messicano è stato invece senza intoppi, anche grazie al mediocre livello delle avversarie incontrate: è arrivata in finale cedendo pochi game a Zarazua (6-1 6-1), Riske 86-2 6-3), Tomljanovic (6-3 6-0) e Bogdan (6-0 7-5). Solo in finale ha perso un set, contro Timea Babos, unica top 50 incontrata, sconfitta col punteggio di 3-6 6-4 6-3. Sesto titolo in carriera per Garbine: le avversarie sono avvisate, è viva e ha fame.

83 la posizione in classifica nella quale era scesa Monica Puig, campionessa olimpica in carica, prima di Miami. Un ranking molto modesto, ​nel quale la portoricana​ era scivolata dopo un 2017 decisamente mediocre, nel quale aveva raggiunto una sola finale nel torneo di fine stagione in​ Lussemburgo (dove aveva ottenuto anche l’​unica vittoria dell’anno contro una top 20, una spenta Kerber) e appena una semi (al Premier di Doha) e un quarto di finale​ (ad Acapulco). A questo misero bottino, si aggiungeva l’onta di​ben otto eliminazioni al primo turno. Il 2018 non era iniziato meglio dell’anno precedente: Monica in nessun tabellone principale aveva vinto due partite consecutive. ​Sembrava ormai la lontana parente della tennista capace nel 2016 a Rio di vincere le Olimpiadi da 34°giocatrice al mondo, ​sconfiggendo Muguruza, Kvitova e in finale una Kerber in quel periodo pressochè imbattibile, vincendo il secondo titolo della carriera (dopo Strasburgo 2014) e proponendosi come possibile protagonista del circuito​. Non deve essere però​ facile gestire una fama così grande e improvvisa e infatti la portoricana classe 93, dal 2013 nella top 100, dopo Rio nel 2016 non fece meglio che raggiungere due volte i quarti di finale (a Tokyo e Tianjin). Due settimane fa a Miami, dove il pubblico centro e sud americano costituisce una buona fetta di quello pagante, la Puig si è fatta aiutare anche dal sostegno del tifo​, tornando, dopo i giochi Olimpici, a ​sconfiggere una top ten, la Wozniacki al secondo turno e spingendosi sino agli ottavi, dove è stata sconfitta dalla Collins. Iscrittasi la scorsa settimana​ all’International di Monterrey, ha confermato di aver fatto passi in avanti e ha sconfitto (con un ​duplice 6-3) prima Nicole Gibbs, 117 WTA, ​e poi (6-4 6-3) Stephanie Voegele, 124 WTA, prima di essere eliminata col punteggio di 6-4 6-2 da Timea Babos, 44 WTA.

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