Intervista a Fabio Fognini: "Altri si nascondono, io non ho paura"

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Intervista a Fabio Fognini: “Altri si nascondono, io non ho paura”

Il numero uno d’Italia si apre a Repubblica: il rapporto con i colleghi, la famiglia, la stampa. Avrebbe voluto giocare come in Davis anche nel circuito, ma davanti a sé vede ancora opportunità. E allenerebbe anche, “ma soltanto Kyrgios”

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L’Italia è un paese che vive di stereotipi – e non di rado ne è vittima. Perciò era quasi inevitabile che il suo tennista numero uno di questo decennio, Fabio Fognini da Arma di Taggia, venisse ridotto a macchietta caratteriale già molto presto nella sua carriera. Un po’ per pigrizia narrativa, un po’ perché effettivamente lo stesso Fabio non ha mancato di ricadere in certi atteggiamenti, quella maschera non gli si è mai più scollata di dosso.

L’opportunità di leggere una piccola intervista “a cuore aperto”, come questa rilasciata a Repubblica, è sempre utile a capire chi c’è dietro i miglior risultati azzurri al maschile del presente (e perché no, magari del prossimo futuro). Specialmente adesso che Fognini è pronto per il Masters 1000 di Montecarlo, sull’amata terra battuta e a pochi chilometri dalla sua Liguria. Anche se al momento “casa è Barcellona”. Inevitabilmente, data la nuova dimensione familiare di marito di Flavia Pennetta e padre: “Federico è nato lì, ed è lì che io e Flavia ci siamo conosciuti. Non so se fosse scritto che la Spagna dovesse essere il paese del destino: io ci sono andato a 18 anni, anche Flavia c’è stata tanto, 8-10 anni. Ma non sono spagnolo. Sono italiano, mi ci sento e ne sono fiero”.

Si nota ogni volta che Fabio si veste d’azzurro Davis, competizione con la quale ha un feeling particolare. “I fatti dicono che io, quando gioco in nazionale, mi sono fatto in 18 pezzi. Ecco, se fossi stato così anche nei tornei avrei potuto avere risultati diversi”. Le chance per migliorare quel best ranking di numero 13, oggi lontano sette posizioni, e magari azzannare un titolo Masters dopo averlo visto fare a Dimitrov, Isner e Sock, ci sono ancora. Lui stesso ne è consapevole: “Ora sono messo meglio rispetto al passato, ho la velocità, la forza. Sono migliorato sul veloce, anche se la partita della vita me la giocherei sempre sulla terra rossa. E poi vedo che la forbice è diminuita, i Fab Four non ci sono più, c’è un cambio nel nostro circuito… Vedo la porta un pochino aperta e ho un languorino che mi piacerebbe sfruttare”.

Intanto una coppa del grande Slam l’ha toccata per ben due volte, nel 2015: in doppio con Simone Bolelli in Australia, e poi a New York dopo il successo della futura moglie. Mancherebbe il colpo grosso, la vittoria in singolare. “Ci ho pensato, mentre la toccavo, ma bisogna essere realisti. Per me maschietto sarà più dura: i nostri tennis sono due sport diversi, e questo lo dico anche a Flavia. La punzecchio sempre, ma lei sa replicare bene”. La loro dinamica di coppia sembra davvero affiatata, nelle uscite pubbliche e nei tanti post “strizzacuore” sui social. Ne è rimasto stupito persino il “grande vecchio” del tennis nostrano, Nicola Pietrangeli, che al matrimonio di Fognini ha trovato un ragazzo del tutto diverso da quello visto in campo. “Diventare padre mi ha cambiato. Federico mi fa digerire le sconfitte diversamente, se lui è con me mi pesano meno”.

Il pensiero va a quella del 2014 contro Jo-Wilfried Tsonga, proprio a Montecarlo, dove avanti di un set e con quattro opportunità di break Fognini finì per sciogliersi 6-0 al terzo. “Mi stroncò l’intera stagione” ricorda un po’ amaro. Lo sguardo, a trent’anni compiuti, è a cavallo tra passato e futuro, tanto che qualche pensiero al dopo-tennis ogni tanto ci va. “Se gioco male me lo chiedo. Mi dicono che vengo bene in tv, non lo so… Certo è che allenerei uno e soltanto uno: Nick Kyrgios”. Ipotesi fantasiosa, ma ci sarebbe da divertirsi. I due sembrano condividere la stessa lingua lunga, che Fabio considera un pregio soprattutto nel rigido mondo ATP: “Molti si nascondono dietro una pallina gialla. Io invece no: non faccio nomi, ma questa cosa non la tollero. Fai finta di essere un altro perché hai vinto due partite, hai avuto successo? Allora sei stupido”.

Sono anche uscite come questa, senza mezzi termini, ad aver incrinato negli anni il rapporto tra lui e una grossa parte dell’opinione pubblica. “Non sono uno cattivo, e chiunque può confermarlo. Me ne pento, certo, ma vorrei dire: sbaglio io, sbagli tu: qualcuno s’è mai chiesto cosa potesse esserci all’origine dei miei gesti? La verità è che in Italia siamo molto tifosi”. Anche con il taccuino in mano: Fognini chiama in causa anche la stampa, che non sembra amare particolarmente: “Non ho paura dei giornalisti, ma qualcuno di loro ha superato i limiti perché se è vero che ho spaccato le racchette, c’è modo e modo di scriverlo”. Non manca però la presa di coscienza sulle proprie responsabilità: “Devo dire che sin dall’inizio sono stato sotto pressione e non ho gestito bene questo aspetto dei media. Sono un tipo a cui non piace essere esposto”.

E allora se potesse essere Fabio Fognini a scegliere come essere raccontato e, un giorno, ricordato? Il coccodrillo sportivo che il campione azzurro sceglie per sé è questo: “Un tipo passionale, che viveva le cose intensamente cercando di farle al meglio, che amava il suo lavoro e se lo faceva male s’incavolava”. Motivo in più per farle bene, e mettere finalmente tutti quanti d’accordo con i risultati.

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