Andujar re del Marocco, Johnson padrone in Texas

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Andujar re del Marocco, Johnson padrone in Texas

I numeri della settimana: due inaspettati successi per lo spagnolo e l’americano, che sembravano spariti dai radar. La crescita di Sabalenka e l’eterno Ivo Karlovic…

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0 – le volte in carriera in cui Kyle Edmund aveva raggiunto i quarti di finale in tornei del circuito maggiore che si giocavano su terra battuta. Il classe 93 britannico, prima di giocare a Marrakech, aveva vinto solo 12 delle 25 partite che aveva disputato a livello ATP su questa superficie. Tuttavia, nel circuito Challenger aveva conquistato due tornei sul rosso (a Buenos Aires nel 2015 e a Roma nel 2016). Il semifinalista degli ultimi Australian Open certamente però credeva nelle sue chance di poter esprimersi bene anche sul mattone tritato: a febbraio, invece di giocare gli indoor europei, si era iscritto, per poi ritirarsi a causa di problemi fisici, ai tornei di Buenos Aires e Rio. Kyle è arrivato in Marocco con sulle spalle, dopo l’Australia, appena due partite, quelle perse all’esordio a Indian Wells (contro Sela) e Miami (contro Tiafoe), ma è comunque riuscito ad arrivare in finale senza perdere un set. Infatti, prima ha estromesso Vesely, 65 ATP, ritiratosi quando il britannico era sul 5-0 del primo set, poi in ottavi ha avuto la meglio (6-2 6-4) su Albot, 93 ATP; nei quarti su Malek Jaziri (6-2 6-1), 91 ATP, e in semifinale ha sconfitto (6-3 6-4) il primo top 50 del suo percorso, Richard Gasquet, 38 ATP. In finale, contro Pablo Andujar si è poi arreso davanti alla maggiore esperienza dell’iberico, vincitore con un duplice 6-2. Continua la costante crescita del britannico.

1- il numero di semifinali (a Delray Beach due mesi fa) raggiunte da Steve Johnson in un torneo ATP, dopo il suo successo, secondo complessivo in carriera, dello scorso anno a Houston, quando in finale vinse il titolo al tie-break del terzo su Bellucci. Sembrava fosse un episodio totalmente sporadico per il classe 89 statunitense, capace di esprimersi al meglio e costruirsi un best career ranking di 21°giocatore al mondo, soprattutto sul cemento all’aperto e sull’erba (dove aveva vinto nel 2016 a Nottngham il primo titolo) e mai capace in precedenza di raggiungere almeno i quarti in un torneo ATP su terra, un traguardo che poi toccherà a Ginevra per la seconda volta nel maggio 2017. Il gigante (188 cm per 86 kg) statunitense in Texas ha mostrato di avere un ottimo feeling con il U.S. Men’s Clay Court Championship : è partito soffrendo e vincendo al primo turno dopo essere stato a due punti dalla sconfitta contro Ernesto Escobedo, 120 ATP, sconfitto col punteggio di 3-6 7-6 (5) 6-2. In ottavi ha sconfitto (6-3 6-4) facilmente Frances Tiafoe, 58 ATPmentre ancora più sofferta di quella dei sedicesimi, è stata la vittoria su John Isner, 9 ATP, eliminato con lo score di 7-6 (4) 4-6 7-6(5) dopo 2 ore e 40 minuti di battaglia. In semifinale Johnson ha avuto poi la meglio sul quarto connazionale incontrato nel suo cammino, Taylor Fritz, sul quale ha avuto la meglio dopo un’altra lunga sfida, risoltasi con lo score di 7-5 6-7 (4) 6-2. Houston porta bene a Steve.

2 le partite vinte, entrambe grazie al ritiro dell’avversario, da Tennys Sandgren dopo i quarti raggiunti a Melbourne lo scorso gennaio, quando sconfisse, tra gli altri, Wawrinka e Thiem, prima di farsi fermare in tre set da Chung. Nei cinque tornei successivi disputati dopo gli Australian Open, il tennista statunitense classe 91 non aveva certo ben figurato, perdendo due volte da tennisti non classificati nella top 100 (da Bagnis a Buenos Aires e da Dutra Silva a San Paolo); da Garcia Lopez, 69 ATP, a Miami e vincendo due match solo grazie ai ritiri di Carballes Baena a Rio e di Basilashivili a Indian Wells. Solo a Rio, contro Fognini, sprecando match point, aveva rischiato di vincere una partita.  A Houston, il tennista nato in Tennesse, passato alle attenzioni della cronaca a Melbourne anche per le sue dichiarazioni omofobe e razziste, da ottava testa di serie ha sconfitto nell’ordine Blaz Kavcic (6-2 6-2), 128 ATP e Nicolas Kicker (6-2 7-6),87 ATP; nei quarti ha perso il primo set del torneo contro Guido Pella (4-6 7-5 6-3), 63 ATP e in semifinale, con un duplice tie-break, ha avuto la meglio su Karlovic, 88 ATP. Resurrezione in Texas.

3 le eliminazioni al primo turno in sei tornei giocati nel 2018, patite da Jack Sock, quando è arrivato in Texas per giocare l’ATP 250 di Houston. Si trattava di un torneo amato dal numero 3 statunitense, da lui vinto nel 2015 (in finale su Querrey) e dove era  arrivato in finale nel 2016 (perdendo contro Juan Monaco). Il 25enne tennista del Nebraska quest’anno aveva tra l’altro vinto solo tre partite, di cui appena una contro un top 100 (il nostro Fabbiano a Indian Wells). Nemmeno a Houston è riuscito a vincere due match di fila per la prima volta nel 2018 : dopo aver eliminato con un duplice 6-4 Zeballos , 66 ATP, nei quarti (al primo turno aveva ricevuto un bye) è stato sconfitto dal connazionale Taylor Fritz, 72 ATP, vincitore col punteggio di 3-6 6-3 6-4. Crisi nera per il vincitore di Bercy 2017.

5 gli italiani partecipanti al main draw dell’ATP 250 di Marrakech. Seppi, Fabbiano, Lorenzi e Berrettini, entrati per diritto di classifica in tabellone, sono stati tutti eliminati al primo turno: il bolzanino ha perso (1-6 6-3 6-0) da Albot, 93 ATP, contro il quale aveva vinto nei due precedenti; il pugliese, uscito dalla top 100 per la prima volta da giugno 2017, ha perso da Richard Gasquet, 38 ATP, che ha così confermato l’unico precedente tra i due, datato Roma 2015. Paolo, che non giocava un torneo ATP da inizio febbraio a Quito, ha invece perso (6-3 6-4) da Misha Zverev, 55 ATP e compagno di doppio in Marocco; Matteo -entrato per la prima volta con la propria classifica in un main draw ATP- ha perso col punteggio di 7-6(2) 6-4 da Basilashvili, 86 ATP. A Marrakech alle quali hanno però partecipato anche Andrea Arnaboldi e  Salvatore Caruso, affrontatisi uno contro l’altro nel primo turno del tabellone cadetto: ha vinto il primo 4-6 7-5 6-1. Il lombardo ha poi ha avuto la meglio (6-3 3-6 6-3) anche su Noah Rubin e nel tabellone principale, ottavo della carriera, ha addirittura sconfitto (6-2 6-3) Dolgopolov, 53 ATP, prima di arrendersi ad Andujar, futuro vincitore del torneo, passato col netto punteggio di 6-0 6-2. Onore a Arnaboldi, ma per il tennis azzurro va di male (vedasi Genova e i quarti di Coppa Davis) in peggio (Marrakech).

7 i tornei giocati sino ad oggi da Camila Giorgi nel 2018. Si è sempre- a ragione- affermato che la continuità fosse il suo vero tallone d’Achille, visto che le punte massime di rendimento non sono mai state in discussione, come si evince anche dallo score di otto successi in venti confronti avuti sinora dalla marchigiana contro tenniste nella top 10. Un’incostanza molto marcata l’ha sin qui contraddistinta nella sua carriera di professionista, anche nel corso della stessa partita: un problema che non le ha mai concesso di andare oltre al 30°posto del ranking (luglio 2015) e di vincere qualcosa in più del solo torneo (S’Hertogenbosh) sin qui in bacheca e  fare di più delle quattro finali raggiunte. Qualche accenno di miglioramento si vede però quest’anno in Camila, nonostante i problemi fisici le abbiano impedito in sostanza di giocare a febbraio e marzo, dopo averle già precluso l’ultima parte del 2017, quella successiva agli Us Open. Dopo un bruttissimo inizio a Shenzhen, in Australia aveva fatto un super torneo nel Premier di Sydney, sconfiggendo Stephens, Kvitova e Radwanska, mentre a Melbourne era arrivata una sconfitta accettabile contro la Barty, top 20. A Miami, al ritorno dopo due mesi in un tabellone principale (aveva giocato le quali a Dubai, ma si era ritirata) contro un’avversaria più che alla portata come la Vekic, 55 WTA, si è palesata un’amara sconfitta, sebbene giustificabile dal lungo stop agonistico. A Charleston, poi, ha ottenuto due belle vittorie tra le quali quella sulla Gavrilova, top 30, prima di cedere alla Keys. Tornata questa settimana a giocare in Europa, sulla terra rossa di Lugano, ha prima sconfitto (6-3 6-2) Kristyna Pliskova 70 WTA, e poi (6-1 6-2) la Van Uytvanck, 51 WTA, prima di arrendersi alla Sabalenka, 61 WTA, vincitrice col punteggio di 6-3 6-0. Una sconfitta evitabile, anche nelle proporzioni, ma che non cancella i segnali di speranza che una Camila finalmente sana possa finalmente migliorare il suo best career ranking.

20- le vittorie raccolte nel solo 2018 da Taylor Fritz, prima che partecipasse all’ATP 250 di Houston. Il californiano, classe 97, aveva chiuso la scorsa stagione fuori dalla top 100 (104) e sembrava vivere una fase di rigetto e regressione della sua carriera professionistica, che a fine agosto 2016, non ancora 19enne, lo aveva visto issarsi sino al 53° posto del ranking ATP. Quest’anno, grazie alla vittoria nel challenger di Newport Beach, alla finale in quello di Noumea, ai quarti all’ATP 250 di Delray Beach (dove aveva sconfitto per la seconda volta in carriera un top 20, Querrey, dopo aver battuto già Cilic nel 2017 sul cemento californiano) e agli ottavi a Indian Wells, era già risalito al 72° posto del ranking ATP. A Houston, dove l’anno scorso per un infortunio al ginocchio si ritirò dal tabellone, saltando poi tutta la stagione sulla terra, una superficie sulla quale a livello ATP aveva giocato solo due tornei in carriera, ha faticato molto all’esordio. Ha infatti dovuto annullare due match point a Tim Smyczek, 124 ATP, per poi avere la meglio solo col punteggio di 6-7(3) 6-2 7-6 (6). Per arrivare in semifinale ha dovuto sconfiggere altri due connazionali: negli ottavi ha eliminato (3-6 6-0 6-3) Harrison, 54 ATP e nei quarti, sempre in rimonta, ha estromesso dal torneo (3-6 6-3 6-4) Jack Sock, 16 ATP. In semifinale, di fronte al quarto tennista yankee incontrato nel suo cammino, si è arreso in tre set, lasciando strada a Steve Johnson, 51 ATP, vincitore col punteggio di 7-5 6-7(4) 6-2. Resta però confermato che, dopo il periodo di assestamento vissuto l’anno scorso, un Fritz sano possa dire la sua, specie a partire dalla stagione sull’erba.

56 i mesi trascorsi dall’ultima volta che Ivo Karlovic aveva avuto una classifica così bassa come quella, 88 ATP, con la quale ha partecipato al main draw di Houston. Il 39enne tennista nato a Zagabria dal 2017 in poi aveva superato solo una volta i quarti in un torneo ATP (a S’Hertogenbosh, dove aveva perso in finale da Gilles Muller, dopo aver eliminato Cilic in semifinale) e in questo 2018 solo a febbraio, al neonato torneo di New York, si era issato ai quarti. Oltre a Cilic, nell’ultimo anno solare aveva sconfitto un solo altro top 20, Tsonga a Cincinnati, e davvero per il vincitore in carriera di otto titoli, capace di raggiungere altre 10 finali e di issarsi sino al n°14 del mondo (nell’agosto del 2008) sembrava un momento difficile. A Houston è arrivato per lui un importante piazzamento: prima ha sconfitto (7-6 6-4) Taro Daniel, 111 ATP, poi ha avuto la meglio con duplice 7-5 di Denis Kudla, 122 ATP. Nei quarti la vittoria più prestigiosa degli ultimi mesi: opposto a un Nick Kyrgios non al meglio, contro il quale aveva sempre perso nei quattro precedenti, ha avuto la meglio col punteggio di 3-6 6-2 6-3. In semifinale si è arreso a Sandgren, 56 ATP, che si è guadagnato la finale con un duplice tie-break. Gli acciacchi non fermano il quasi 40enne Ivo, risentiremo parlare di lui in questo 2018.

61- la posizione occupata nel ranking WTA da Aryna Sabalenka la scorsa settimana, quando ha partecipato alla prima edizione dell’International di Lugano. La quasi 20enne (compie gli anni il 5 maggio) bielorussa è esplosa nel grande circuito solo negli ultimi mesi: è entrata nella top 100 per la prima volta a ottobre 2017, dopo aver raggiunto le semifinali a Tashkent e la finale a Tianjin (persa contro Sharapova, dopo aver sconfitto in semi la Errani). In precedenza, si era distinta in Fed Cup, contribuendo in maniera decisiva a portare la sua Bielorussia in finale: proprio a novembre, contro gli Stati Uniti, otterrà la vittoria sin qui più prestigiosa della carriera, sconfiggendo la Stephens, freschisisma vincitrice degli US Open. Il 2018 per la connazionale della Azarenka era iniziato bene, con due quarti raggiunti a Shenzhen e Hobart. Dopo aver perso al primo turno a Melbourne, è rientrata nei Premier Mandatory statunitensi: a Indian Wells è stata autrice di un buon terzo turno sconfiggendo per la seconda volta in carriera una top 20, la Kuznetsova; a Miami si è invece fermata al secondo. Sulla terra non aveva mai fatto bene nemmeno a livello ITF, ma a Lugano ha conquistato la seconda finale della sua giovane carriera, superando prima (5-7 6-3 6-2) la settima testa di serie, Michaela Buzarnescu, 40 WTA; poi Polona Hercog (6-3 6-1), 80 WTA. Nei quarti ha eliminato (6-3 6-0) la nostra Camila Giorgi, 59 WTA e in semifinale la tennista di casa Voegele (6-4 6-2), 119 WTA. In finale la bielorussa si è arresa a Elise Mertens: la semifinalista degli ultimi Australian Open, nostra prossima avversaria di Fed Cup, ha vinto col punteggio di 7-5 6-2. In ogni caso, continua l’ascesa di una futura protagonista del circuito WTA.

355 la classifica di Pablo Andujar, vincitore dell’ATP 250 di Marrakech. Una classifica dovuta all’operazione al gomito destro subita nel 2016, quando era 70 ATP, dopo aver veleggiato a lungo in posizioni di classifica ancora migliori. L’anno precedente lo spagnolo era arrivato alla finale dell’ATP 500 di Barcellona (persa contro Nishikori dopo aver sconfitto in semifinale Ferrer) e al suo best career ranking di 32 ATP, mentre dal 2011 al 2014 aveva terminato sempre nei primi 50 del mondo la stagione. Lo spagnolo classe 86, vincitore di tre tornei (Casablanca 2011 e 2012 e Gstaad 2014) e di quattro finali, tutte sempre sulla terra, era rientrato nel circuito solo a fine 2017, per giocare due Futures. Quest’anno in cinque tornei aveva vinto solo una partita, prima di risorgere al Challenger di Alicante, dove ha eliminato in semi Cecchinato e poi sconfitto in finale De Minaur. A Marrakech, aiutato da un buonissimo tabellone, che gli ha evitato top 100, è giunto in semifinale sconfiggendo (6-3 7-5) il lucky loser bielorusso Ivashka, il nostro Arnaboldi (6-0 6-2) e il russo Vatutin (6-4 5-7 6-3), 160 ATP. In semifinale aveva sconfitto il primo top 100. Joao Sousa, con un duplice 6-4, prima di rifilare un duplice 6-2 a Edmund, 26 ATP e conquistare il terzo titolo (su quattro) ATP in terra maiorchina. Pablo è (più che) vivo.

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