Scudetto Aniene, parla Santopadre: "Al Canottieri c'è sempre più tennis"

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Scudetto Aniene, parla Santopadre: “Al Canottieri c’è sempre più tennis”

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TENNIS – Al Canottieri Aniene di Roma abbiamo intervistato Vincenzo Santopadre, uno degli artefici dello scudetto 2014 del circolo di Giovanni Malagò. Santopadre ci ha raccontato il segreto di un successo inaspettato

L’Aniene è casa mia”. “Conosciamo tutti i soci perché viviamo il circolo ogni giorno”. “Qui l’atleta è al centro di tutto”. Se alla fine di una chiacchierata il centro di gravità permanente è il Canottieri Aniene, circolo fra i più prestigiosi di Roma e un tempo noto solo per i suoi successi sull’acqua, allora forse bisogna dare retta a Vincenzo Santopadre, da dieci anni nel circolo di Giovanni Malagò e recentemente campione per la seconda volta nel campionato a squadre maschile di serie A1.

Vincenzo Santopadre è romano. Cresciuto nel Parioli, uno dei pochi circoli nobili di Roma a non stare sul fiume, è approdato all’Aniene una decina di anni fa, da giocatore, per poi diventare più recentemente responsabile della scuola tennis. La sua nomina era indicativa della volontà del circolo di primeggiare anche nel tennis oltre che nelle attività remiere. Ex numero 100 della classifica ATP, si è preso belle soddisfazioni nella sua vita da professionista. A trent’anni, a Roma nel 2001, batté Magnus Norman (uno che è stato numero 2 del mondo) il campione in carica del Foro Italico anno 2000. L’eccitazione fu tale che saltò la rete per stringere la mano allo svedese, oggi allenatore di Wawrinka. Santopadre ha giocato anche in Coppa Davis. Dopo aver abbandonato gli studi in scienze politiche per i sopraggiunti impegni sportivi, si è sposato con con Karolina Boniek, figlia di Zibì, ex calciatore della Juventus e della Roma del dopo Falcao. Hanno due figli, tennisti in erba. Per ora.

Lo incontriamo al Canottieri Aniene, dove sono in programma le premiazioni degli atleti del circolo per i successi del 2014. Il presidente Malagò è in leggero ritardo, impegnato al Coni nella consegna dei Collari d’oro al merito sportivo. Santopadre arriva, vestito molto elegante, e assieme cerchiamo riparo dal vociare indistinto dei soci rifugiandoci nel piano di sotto, dove sono i campi da tennis bagnati dalla pioggia copiosa.

Vincenzo è praticamente all’Aniene da sempre, avendo passato i dieci anni di permanenza che darebbero diritto alla cittadinanza praticamente ovunque. Giocatore più rappresentativo e, quindi, più felice? “Quello che è sicuro è che sono molto legato a questo circolo, dove sono arrivato come giocatore e dove sono stato accolto benissimo, sebbene avessi completato la mia carriera professionistica. Questo fattore mi ha dato un supplemento di energie che mi ha consentito di fare ciò che facevo con molta leggerezza, intesa come divertimento. Poi con il passare degli anni sono stato nominato responsabile della scuola tennis, un ruolo pesante in un circolo che, per usare le parole del presidente, non era nato come circolo del tennis ma che anche nel tennis voleva trovare i successi. C’era, quindi, un carico di responsabilità che a mio parere ha visto nella finale vinta il completamento di questo lavoro. Che deve andare avanti perché la soddisfazione più grande per me è stata quella di vedere in tribuna durante la finale di Genova tanti allievi della scuola tennis, tanti soci e tanti genitori. C’è stato molto interesse attorno alla squadra e il merito è di tutti quanti, nessuno escluso. Il vero segreto di questo successo è stato quello di aver trovato un gruppo nel quale ogni problema non è mai stato un problema”.

Fu proprio il Presidente Giovanni Malagò a dichiarare che per il Canottieri sarebbe stato importante allargare i successi del club al tennis. Domando quindi se dopo questo scudetto la dimensione interna dei tennisti è più grande. “Sento di sì perché vedo che c’è più interesse; lo vedo da come è stata seguita la finale, ma anche dalla tantissima gente assiepata sulle tribune che ha seguito la semifinale in casa con il Park Genova qui a Roma. Per i soci era semplice e bello venirci a tifare. E poi gran parte di questa squadra è composta – ed è un vanto del circolo – da giocatori cresciuti qui. Io sono cresciuto altrove ma oramai questa è casa mia. Abbiamo due giovani come Matteo e Jacopo Berrettini qui da cinque anni, e un altro giovane, Ludovico Scerrati, che si allena qui da tre”.

Sopraggiunge Flavio Cipolla, anche lui molto elegante che vuole guadagnare l’accesso al primo piano del circolo salendo dal piano meno nobile ma che forse sente più suo, quello dei campi da tennis. “E poi c’è Flavio, eccolo, che è stato fatto socio per meriti sportivi. Da quanto Flavio?”. “Era fine del 2010, dopo lo scudetto vinto”. “Vero – aggiunge Santopadre – avevi vinto singolo, doppio e doppio di spareggio in finale”. Carica guadagnata sul campo quindi. “Anche Simone Bolelli è stato fatto socio per meriti sportivi, mi pare nel 2009. C’è anche Vagnozzi che è qui da due anni e si è integrato benissimo”.

Paragonare i successi è difficile e lascia il tempo che trova, ne siamo consapevoli. Però può esserci qualche differenza dal vincere il primo scudetto per un circolo, nel 2010, e vincerne un altro solamente quattro anni dopo. “Il successo del 2010 ci poteva stare perché eravamo i favoriti. La nostra era una squadra fatta per vincere. Adesso il gruppo è più maturo, come sono più maturi anche il capitano Stefano Cobolli (ex 236 ATP nel 2003 ndR) che è anche lui da dieci anni qui all’Aniene, e ancora di più il grande maestro storico del circolo, Mario Fiorini, un monumento tennistico che ha collezionato cinquanta anni di attività circolo, vero e proprio collante della squadra. Questo successo è inaspettato. C’è sempre speranza di vincere quando competi, ma siamo partiti senza il favore del pronostico e, quindi, man mano che vincevamo gli incontri facevamo la bocca alla vittoria. Abbiamo sovvertito molte situazioni difficili: Bolelli c’è stato poco, Panfil (340 ATP ndR) ha badato alla sua carriera – e il circolo è stato bravo in questo – e ha saltato anche la finale”.

Vincenzo è famoso per la sua umiltà e calma. Se si deve togliere qualche sassolino dalla scarpa lo fa con estrema eleganza, e pacatezza. “Qualche anno fa qualcuno diceva che l’Aniene faceva campagna acquisti fra i giocatori ma in realtà così non è stato perché non abbiamo cambiato giocatori. Sono cambiate le regole, e il circolo ha lasciato libero Potito Starace. Però io, Bolelli e Cipolla c’eravamo nel 2010”.

Gli chiedo com’è vincere a quarantatré anni, giocando assieme (e contro) a tennisti con vent’anni di meno, nel pieno della maturazione atletica. “È un’emozione particolare; io sono un ex giocatore anche se non bisognerebbe mai definirsi così, almeno così mi hanno detto. Ho cercato di compensare il fattore età e la mancanza di allenamento con energia ed entusiasmo, mettendomi al servizio della squadra. Credo che la squadra abbia apprezzato. Giocare poi con Cipolla e Bolelli è semplice; quello che ho detto loro –  perché lo penso, e perché è così – è stato di condurmi alla vittoria. Li ho responsabilizzati perché era giusto farlo. Io ho fatto la spalla”.

Battere Starace, un ex del Canottieri, ha aggiunto un po’ di soddisfazione ulteriore? “No, perché non c’è rivalità. Una cosa importantissima che cerco di trasferire ai giovani è che il tennis è uno sport individuale. Il campionato a squadre è bello giocarlo, viverlo, è un’esperienza unica dove però l’avversario non lo devi neanche guardare. Dev’essere solo un mezzo per farti rendere al meglio. Certo poi non nego che battere grandi campioni come mi è accaduto con Cipolla, quando per esempio battemmo nel 2010 Starace e Seppi in doppio, o come quest’anno quando abbiamo sconfitto Fognini e Andujar, è una grande soddisfazione. Ma quello che conta è vivere queste emozioni, dare il massimo, poi se al di là della rete ci sono due campioni la soddisfazione è doppia ma non per questo c’è maggiore rivalità”.

Sette incontri per nove ore di finale: vince sempre il più forte con questa formula? “Nella partita secca c’è il rischio che non vinca il più forte, specie su un campo veloce come quello della finale. Nella partita di andata e ritorno secondo me emergono i veri valori delle squadre. In semifinale noi non partivamo favoriti. Io ero ottimista e assieme a Cobolli e Fiorini abbiamo ripetuto che quella era una partita dove dove potevamo dimostrare che avevamo fatto bene fin lì, visto che eravamo usciti vincitori da un girone molto duro, forse il più competitivo. Contro Fognini e compagni era il momento di far vedere che valevamo qualcosa in più. In finale sentivo che potevamo farcela. Potevamo vincere anche in maniera più facile analizzando l’incontro col senno del poi, ma è vero altrettanto che avremmo anche potuto perdere quel match”.

Facciamo un parallelo fra la Coppa Davis e la serie A1. Pensi che la formula della serie A1, possa essere applicata alla Davis, dove, se non giocano i più forti, la competizione è un po’ falsata? “Queste sono le regole. Una cosa del genere è difficile da realizzare considerato il calendario ATP. Per il campionato italiano alcune regole rendono anomalo il fatto che non possano giocare gli atleti più forti, costringendo a schierarne di meno forti in campo. Mi metto in testa a quest’ultima categoria: noi avevamo Vagnozzi in squadra che non poteva giocare per le regole, che non facciamo noi e che quest’anno ci hanno aiutato se vogliamo, anche se in passato ci hanno penalizzato”.

Discorso pubblico. Ce n’è sempre poco, anche in finale a Genova era così. Perché l’appassionato medio non segue la serie A1? “Perché forse – e aggiungerei per fortuna – c’è tanto tennis in TV. Si parla di tanto tennis di altissimo livello, per cui magari molti appassionati, ma poi in realtà non così tanto, si fermano a seguire questo livello di competizioni non interessandosi della serie A, cosa che da vero appassionato a mio giudizio dovresti fare. Se vivi a Roma e giocano contro Cipolla e Fognini, come non seguirli a tre metri dal campo? Questa formula di gioco poi consente di vedere all’opera qualche giovane interessante. Se giocassero tutti i più forti in circolazione certi emergenti non troverebbero spazio”.

Santopadre ha iniziato a giocare con le racchette di legno. La maniera classica di giocare a tennis era l’unica per lui quindi. Ricordo – l’ho visto molte volte in campo in tornei Open quando già aveva smesso l’attività professionistica – la sua grande abilità nel giocare di fino. In particolare c’è un punto che non dimenticherò mai messo a segno dal romano. Si giocava la finale dei campionati assoluti regionali del Lazio, era il 2006 ed ero al Canottieri Roma, dove un Santopadre trentacinquenne sfidò Matteo Fago, giovane diciannovenne rivelazione di quella edizione. Primo punto del match: Fago servì una prima in slice verso destra, fortissima. Santopadre si allungò e con il rovescio – è mancino – tagliò la palla in maniera assurda, giocando una smorzata incrociata che Fago non riuscì a recuperare. Lo sguardo un po’ sfiduciato di Fago dopo quel punto preannunciò l’esito del match. “Forse proprio questa maniera di giocare a tennis è uno dei segreti della mia longevità. Ho dovuto per forza affinare doti di sensibilità e l’ho fatto con un grande maestro: il muro, che oggi nei circoli si vede sempre meno. La vera difficoltà è stata quella di dover modificare il gioco col passare degli anni. Il tennis cambia continuamente. Già cinque, sei anni fa, era diverso”.

Magari i più non lo sanno ma Santopadre è anche capitano della squadra, assieme proprio a Stefano Cobolli. “Siamo capitani assieme di fatto, solo che in questa edizione del campionato sono dovuto scendere in campo più di  quello che pensavo inizialmente. Diciamo, quindi, che di base dovevamo essere noi due i capitani per cui va bene cosi. Stefano è un amico e non abbiamo problemi a condividere questo ruolo”.

La cultura sportiva dell’Aniene, un circolo nato nel 1892 come le felpe dei soci testimoniano con la grande scritta sul davanti ostentata durante i match casalinghi, è grande, enorme. “Un grande merito di questo successo va a chi ha contribuito a creare questa cultura sportiva. Al Canottieri l’atleta è al centro del tutto, una cosa non semplice da attuare in altri circoli”.

L’ultima domanda è banale quanto obbligata: da dove si riparte? Santopadre sorride: “Da dove si è finito ed è un bel partire. Ora c’è molto entusiasmo, godiamoci questo successo, un ricordo bellissimo dal quale ripartire. C’è un bellissimo gruppo, la vittoria è stata la ciliegina sulla torta ma la nostra coesione è l’elemento più importante. Da qui si riparte, da questo senso di appartenenza e dal seguito che abbiamo avuto, un altro successo oltre a quello sul campo che ci ha spinto sicuramente a dare un qualcosa in più proprio giocando”.

Ci stringiamo la mano. Sorride e raggiunge di corsa la sala dove ritirerà il premio. Ha vinto un altro scudetto sul campo a quarantatré anni: non è cosa da tutti, o no?

 

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