Il terribile dominio di Novak Djokovic è tutto in una parola

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Il terribile dominio di Novak Djokovic è tutto in una parola

Con ancora negli occhi la prova contro Roger Federer e alla vigilia della sesta finale degli Australian Open contro Andy Murray, la sensazione che suscita Novak Djokovic non è solo quella di uno più bravo degli altri, ma di uno capace di dominarli. Anzi, di soggiogarli

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Forse per spiegare meglio bisogna aprire il dizionario. Cartaceo, come ai bei tempi, quelli dei gesti bianchi ma anche quelli della nostra adolescenza (per chi ha già superato i trent’anni), quando ancora Internet non aveva shakerato le nostre esistenze quotidiane; oppure un dizionario online, poco importa. I tempi cambiano, le parole restano, con l’ineffabile potenza del loro significato.

Lettera S, voce “soggiogare”. Leggiamo testualmente: «Ridurre e tenere in soggezione qualcuno, sottometterlo: sottomettere un popolo; in senso figurativo, tenere sotto controllo, dominare qualcuno o qualcosa: sottomettere i propri istinti / essere soggiogato dalla personalità di qualcuno, essergli sottomesso».

Il significato di questo verbo fotografa in modo straordinariamente fedele la superiorità di Novak Djokovic in questo momento. Su Roger Federer, “il primo degli umani” (e visto che con le definizioni giochiamo, questa è quasi un’eresia per un tennista assurto a divinità in tempi non sospetti), e sul resto del pianeta tennistico mondiale. Djokovic in questo momento, ormai da inizio 2015 (e per un certo periodo nel suo magico 2011 in cui si dilettò in prove libere di dominio), non fa altro che soggiogare gli avversari. E soffocare, e sotterrare (sportivamente parlando). Ma le allitterazioni terminano qui, seppure calzanti a livello semantico.

Il serbo e il verbo, un tutt’uno: “soggiogare”. La semifinale contro il fuoriclasse svizzero rappresenta la summa della prepotenza tennistica di Djokovic, più delle tre precedenti sfide Slam e della finale al Masters dello scorso anno. Anzi, ne è la somma algebrica: di espressioni facciali che incutono timore, e insieme un’immobile reverenza; di corse ai limiti del conosciuto e recuperi fusi all’unisono ad attacchi mortiferi; di prime di servizio imprendibili sputate fuori nel momento in cui il trono sembra vacillare; di urla che riecheggiano nell’animo affranto e costernato di avversari tornati di colpo bambini spaventati dall’uomo nero; di palline che hanno una relazione ormai non più platonica con la riga di fondo.

Il Novak Djokovic di fine gennaio 2016 guarda tutti dall’alto, e non solo del ranking mondiale. Lo fa incutendo una straordinaria sudditanza psicologica, la stessa che non ha consentito, non consente e forse non consentirà più a Federer di partire a briglie sciolte in uno scontro diretto. La mente non è serena. La mente non è Serena. Non lo consentirà a lui e, a maggior ragione, al resto del mondo. Se è vero che le partite si vincono conquistando i punti importanti, altrettanto può esserlo atterrire gli avversari mostrando un’impenetrabile corazza, psicologica prima che fisica. Nole indossa ogni volta l’elmo ma sotto, nella sua mente, ce ne sono almeno dieci. Questo, gli altri tennisti, lo sanno. E quando entrano in campo sanno di dovere risalire la china già dal primo punto, una sensazione stritolante dalla quale non c’è via d’uscita apparente, ma soltanto un delineato senso di ineluttabilità degli eventi. Il suo è un soffocare, un sotterrare, un “soggiogare”.
Del resto, interpretiamo alla lettera, «Ridurre e tenere in soggezione qualcuno, sottometterlo»: gli avversari. «Sottomettere un popolo»: il circuito ATP. «Tenere sotto controllo, dominare qualcuno o qualcosa»: la partita, specie quando conta (finali o semi). «Sottomettere i propri istinti»: la frustrazione, principale nemico del tennista, nei momenti in cui subentra una pur minima difficoltà. «Essere soggiogato dalla personalità di qualcuno, essergli sottomesso»: Sua maestà Federer, che già aveva palesato per anni questo inspiegabile deficit nei confronti di Rafa Nadal.

Novak Djokovic giocherà la finale per il sesto titolo a Melbourne e per l’undicesimo Slam in carriera. E nel dizionario, continuando di questo passo, aggiungerà un neologismo vicino alla parola sui cui abbiamo costruito questo pezzo: “soggiocare”. Leggiamo la definizione per voi: «Disputare un incontro, una partita, una sfida, incutendo all’avversario un profondo timore reverenziale / Partire con un vantaggio implicito in una competizione sportiva / Disporre dell’avversario in base al linguaggio del corpo e alle espressioni del viso / Semplicemente, chiamarsi Novak Djokovic».

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