Rafa 14, la leggenda (Crivelli, Bertolucci, Azzolini, Giammò, Rossi)

Rassegna stampa

Rafa 14, la leggenda (Crivelli, Bertolucci, Azzolini, Giammò, Rossi)

La rassegna stampa di lunedì 6 giugno 2022

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Real Nadal (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Rosso è il colore del fuoco inestinguibile che ne alimenta il furore da guerriero, lo spirito da battaglia del più grande agonista mai ammirato su un campo da tennis. Rosso è il colore della passione, quell’afflato inesauribile di amore e di rispetto per il proprio sport così forte da spingerlo oltre mille cicatrici, oltre il baratro di mille dubbi, per restituirlo più forte dopo ogni caduta. Rosso è il colore della terra di Parigi su cui Rafael Nadal costruisce un altro pilastro di una leggenda senza confini, il 14° trionfo al Roland Garros, un’impresa titanica che scavalca il mito per farsi eternità immortale. Soprattutto perché matura in coda alle tre settimane più tormentate della carriera, con il piede sinistro anestetizzato da almeno due iniezioni al giorno per lenire l’infiammazione cronica allo scafoide con cui il gigante di Maiorca convive da 15 anni e che, alle persone normali, impedirebbe perfino di camminare. Per questo, dopo le 2 ore e 18′ di una finale senza storia, l’esecuzione sportiva del compagno di allenamenti Ruud, i 14.500 dello Chatrier non palpitano per la consegna della Coppa dei Moschettieri, perché in fondo nessuno credeva che il norvegese potesse diventare l’esecutore di un miracolo, bensì per le parole che dirà Rafa. E quando le pronuncia, il cuore di tutti si apre al sollievo: «Non so cosa mi riserverà il futuro, ma combatterò per andare avanti». Il leone non si arrende, e con il sorriso sulle labbra e gli occhi umidi per l’emozione allontana tutte le voci che si rincorrevano fin dal mattino, di un clamoroso, possibile annuncio del ritiro subito dopo l’ultimo punto della partita. Una radio si era addirittura spinta a ipotizzare che Nadal avrebbe organizzato un’altra conferenza stampa dopo quella ufficiale per spiegare chissà cosa e soprattutto che tra gli spettatori della partita ci sarebbe stato anche Federer, invitato appositamente dal grande amico-rivale nel giorno della scelta più dolorosa. E invece di Roger non si vede neppure l’ombra. Al povero Ruud Rafa concede appena sei game, disinnescandone con il peso del dritto e la profondità del rovescio incrociato l’unica arma a disposizione, cioè la possibilità di manovrare con il dritto dopo aver girato intorno alla palla: «Sicuramente all’inizio del torneo non ero il favorito, ma vincere partite dure mi ha aiutato. Stavolta stranamente ero un po’ nervoso all’inizio – ammetterà lo spagnolo – e in generale il mio servizio non ha funzionato bene come gli altri giorni e ho dovuto gestirlo. Però sono stato bravo a prendere campo e soprattutto a correre bene contro il suo dritto. Questa è stata una delle mie finali migliori in un posto che è sempre magico. Ma anche uno dei successi che porterò di più nel cuore, perché a Roma la situazione del piede era ingestibile. Ringrazio la mia famiglia che mi è stata vicina nei momenti più difficili, senza di loro sarebbe stata durissima. Ma io vivo di ambizioni, e anche di Illusioni, ho lottato per provare a mettermi nella condizione di giocare al Roland Garros nel miglior modo possibile. Qui c’era il mio dottore, non vi dico quante infiltrazioni ho fatto sul nervo per addormentare il piede e non sentire dolore, insieme alle punture di antiinfiammatorio. Ma volevo darmi una chance e l’ho sfruttata, ho battuto quattro top ten in un torneo qualitativamente molto alto». Per la prima volta in carriera Rafa vince I primi due Major dell’anno, arriva a 22 staccando ulteriormente Djokovic e Federer fermi a 20 e può perfino coltivare il sogno del Grande Slam: «Sarei un arrogante se non vi dicessi che sono sorpreso di aver vinto così tanto: Federer, Djokovic ed io abbiamo inseguito i nostri sogni e abbiamo costruito qualcosa di grande per il nostro sport, ma lo non vivo per i record, per essere il migliore: a me piace quello che faccio e adoro la competizione. È ciò che mi spinge […] Prima di Wimbledon mi sottoporrò a un nuovo trattamento, in pratica curerò il piede con le radiofrequenze sperando di ottenere lo stesso effetto delle infiltrazioni, ovviamente prolungato nel tempo. Niente operazione, mi costerebbe mesi di stop e i risultati non sarebbero garantiti. Se funzionerà, andrò avanti il più possibile, se invece il piede non dovesse migliorare, prenderò la decisione più adeguata per la mia vita di uomo. Però per natura sono ottimista, mi aspetto che le cose vadano per il meglio».

Nell’immensità (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport)

Sul fatto che Rafa Nadal sia il più forte tennista di sempre sulla terra rossa non c’è da tempo il minimo dubbio. Il numero dei trofei conquistati nel corso della sua gloriosa carriera sono lì a testimoniarlo. Ma questo a Rafa non era sufficiente, voleva stupire e fin da piccolo aveva deciso di volere essere ricordato anche per la lealtà e la correttezza. Personalmente non ho mai visto sui campi da tennis un fighter, un lottatore come lui. Anche nelle battaglie più aspre, nei momenti complicati alle prese con avversari irriducibili, il suo personale galateo tennistico non prevede lamenti o meno che mai gesti inappropriati. Come giustificazione Rafa ha sempre ammesso di non essere così bravo da non accettare l’errore. Lui non ha paura a confrontarsi coi migliori, glielo hanno insegnato fin da piccolo, gli hanno fatto capire che se ti alleni, ti impegni e hai la coscienza pulita puoi migliorare giorno dopo giorno e magari arrivare anche a giocare i grandi tornei. Ben presto il suo allenatore zio Toni è stato costretto a modificare il verbo giocare con vincere. Nadal aveva compreso che la sconfitta faceva parte del gioco, ti aiuta anche a capire chi sei, dove devi migliorare e quanto ti manca per centrare l’obiettivo. Fin dal suo esordio, si era capito che il suo tennis percentuale, ovvero la sua capacità di contenere al minimo gli errori non provocati dall’avversario, aveva qualcosa di speciale e ad ogni uscita è sempre stato capace di esibire sul campo qualcosa di nuovo, di inatteso e proprio per questo molto efficace. Negli allenamenti ha sempre lavorato più degli altri per crearsi un fisico potente ma allo stesso tempo elastico. Il braccio capace di proporre traiettorie ellittiche con il gancio mancino ha anestetizzato gli avversari e preparato la strada verso successi anche imprevedibili su altre superfici. Da semplice gladiatore attendista, nel corso degli anni ha alzato il volume del suo gioco aggredendo e togliendo il respiro anche agli avversari più attrezzati. Approfittando dell’innata capacità di adattamento alle condizioni climatiche, ambientali e di superfici, ha trionfato sotto ogni latitudine attingendo in caso di necessità al cuore e alla grinta. Con la sua voracità agonistica ha portato il tennis verso una spesa fisica e mentale in precedenza sconosciuta. Sotto l’aspetto della tenuta è un incassatore formidabile e se gli permetti di rialzarsi da un momento negativo della partita stai certo che sarà lui a metterti al tappeto in maniera definitiva. Rafa non ti concederà una seconda chance, se non lo metti ko sarà lui a prevalere perché tratta tutti i rivali alla stessa maniera: dal primo turno alla finale non fa sconti a nessuno. Quando il gioco si fa duro, quando il punto da giocare vuole dire trionfo o disastro, e il margine di errore si assottiglia, lui sa sempre cosa fare. E se talvolta le cose non vanno per il verso giusto, la soluzione è tornare ad allenarsi più forte per essere il più forte.

Nadal XIV, la leggenda (Daniele Azzolini, Tuttosport)

C’è qualcosa di poetico nella quattordicesima di Nadal, di oscuro e di rigenerante al tempo stesso, quasi un percorso attraverso il momento più buio della sua persona, per sortire a riveder le stelle al compimento del tragitto. L’interpretazione personale di una commedia divina in chiave sportiva. Si va con Rafa oltre la soglia del dolore, aprendo porte che pochi hanno avuto il coraggio di spalancare, non sapendo che cosa vi avrebbero trovato dietro. Lo si ammira per quello che fa, chiedendosi per quanto ancora potrà farlo. Stiamo assistendo alla sua ultima volta? Vincerà e dirà basta? L’obiettivo si concentra su di lui, il resto non c’è. E’ un miracolo, il sua l’ennesimo di una carriera che si è arrampicata più in alto di tutte, mostrando al pubblico, agli appassionati, a chiunque abbia pensato che la sua vicenda meritasse una lettura più approfondita di quella che possono garantire i risultati, che per sfidare la Storia non basta essere soltanto forti. Nel corso degli anni Nadal ci ha detto che non esiste vittoria senza forza di volontà, senza un fisico adeguato, senza l’umiltà, senza mettersi alla prova, senza una tecnica che va migliorata giorno per giorno. Oggi, Rafa aggiunge l’ultimo tassello al suo cantico dei campioni, per dirci che non c’è vittoria senza dolore. E tra tutti, è il messaggio più vero e terribile. Casper Ruud è un bravo figlio, non un estroso intrattenitore, ma un ragazzo con la testa a posto, che ha voglia di lavorare e di fare le cose per bene. Eppure, viene spontaneo chiedersi se abbia davvero compreso il messaggio che Rafa gli ha inviato. Quella voglia di andare oltre, sempre, senza pensare mai che esista un traguardo finale, ma solo una strada che procede tra sacrifici e lavoro, lungo la quale si può scoprire necessario cambiare se stessi. Ci vuole coraggio e determinazione. Non conta la finale. Non c’è stata. Ruud si è defilato nel primo set, e sul vantaggio di 3-1 del secondo è finito dentro la centrifuga azionata da Nadal. Undici game, l’uno via l’altro, fino a mollare per asfissia. Quattordici finali e 14 vittorie, sono cifre ai confini della realtà. Un’epopea tennistica lunga 112 match vinti, con tre sole sconfitte in 17 partecipazioni. Fantascienza. Rafa giunge a 22 Slam, e se non fosse nelle condizioni in cui si trova, mille volte descritte in queste ultime giornate («Gioco senza sapere se ho ancora un futuro»), ora punterebbe al Grande Slam. […]

Nadal in trionfo: «Continuo a lottare» (Ronald Giammò, Corriere dello Sport)

Dopo 14 successi al Roland Garros, trovare aggettivi nuovi che descrivano la portata dell’impresa compiuta da Rafa Nadal è davvero difficile. Molti ne erano già stati utilizzati nel corso di quest’ultimo torneo, in cui il successo dello spagnolo, così come come il suo futuro, sembravano appesi al filo sempre più sottile della speranza. Più facile senza dubbio è aggiornare i suoi numeri, le statistiche, che con la vittoria di oggi portano il suo bilancio nello Slam parigino a 112 vittore e 3 sole sconfitte. «Ciò che sta accadendo quest’anno è straordinario. Senza i miei affetti e senza il mio team mi sarei già ritirato da tempo. Descrivere le sensazioni che provo adesso è impossibile. Mai avrei pensato di essere competitivo a 36 anni», ha dichiarato visibilmente emozionato Rafa a partita conclusa. Un’emozione che nonne vuol sapere di usurarsi e che continua invece a rinnovarsi nel tempo. Rafa non pensava certo di vivere un’altra primavera dopo l’inverno delle ultime settimane. Sincero e insicuro Rafa quando in questi giorni ha parlato del suo futuro, la sensazione che questa stagione e questo torneo avrebbero potuto essere gli ultimi. E un’attesa che tra gli aficionados, più che sull’esito della contesa, sembrava essere rivolta a quel che sarebbe accaduto quando Rafa avrebbe impugnato il microfono per i ringraziamenti del caso. Che silenzio in quel momento, e che boato ad accogliere le seguenti parole: «Non so cosa accadrà in futuro, ma continuerò a lottare per andare avanti». Rafa ci proverà. Lotterà come sempre. Ora tocca a voi, scienza e medicina, trovare il rimedio, l’unguento, la cura, la pozione miracolosa: tutto per ridare a Rafa la chance di tramontare come meglio crede. «Il momento peggiore l’ho passato dopo la partita contro Moutet – ha dichiarato il maiorchino a France Tv -. Non riuscivo nemmeno a camminare. Per fortuna cera il mio medico qui e ho potuto giocare con delle infiltrazioni. Ma non posso continuare così, giocando con delle iniezioni che mi addormentano il nervo. La prossima settimana parlerò con diversi specialisti, farò un trattamento che spero mi aiuterà». Oggi per lui resta tutto incerto, a partire da Wimbledon, Slam che prenderà il via a fine mese e sul quale lui stesso non ha ancora sciolto le riserve che nelle ultime ore avevano persino dato adito a un suo forfait. «Se il mio fisico me lo permetterà, Wimbledon è un torneo a cui tengo molto». […] «Non si tratta di essere il migliore della storia né di record. E’ che mi piace quello che faccio. Mi piace giocare a tennis, mi piace la competizione». La ricetta per la felicità è tutta in queste parole.

Rafa XIV (Paolo Rossi, La Repubblica)

La racchetta in terra e l’espressione incredula di un bambino che ha realizzato l’impossibile: quattordici Roland Garros. L’impero di Rafael Nadal resiste. È qualcosa che si fa fatica anche solo a immaginare: se non ci credete, ve lo racconta Casper Ruud il sentimento che si prova quando si entra in campo contro il re di Parigi. «Ci riscaldiamo, lo speaker ci introduce e snocciola tutte le volte che Rafa ha vinto il torneo: non si ferma mai, ci vuole mezzo minuto soltanto per scandire tutti gli anni…» […] «Ma non sono stato l’unica vittima, qui. Rafa è il giocatore che ho visto in tv negli ultimi 16, 17 anni. Quindi esserci io stesso e affrontarlo… Ecco, un giorno potrò dire ai miei nipoti che ho giocato contro Rafa sullo Chatrier in finale e loro probabilmente diranno “Wow, davvero nonno?”. E io dirò di sì e mi godrò quel momento per molto tempo». Profumo di Storia. Di leggenda. 22 Slam per Nadal, due in più di Djokovic e Federer, gli altri due mostri sacri che dividono con lui questo tempo. Rafa è il più accreditato a essere eletto “Goat”, il più grande di tutti i tempi, ma rifiuta questo ruolo di supereroe del tennis: «Non so come dirlo: non si tratta dei risultati, ma è l’amore e la passione per questo sport che ti spingono avanti. Il puro piacere di farlo. Non gioco solo per me. Mi piace molto quello che faccio, ma quando vedo tanta gente che fa il tifo per me e mi segue in giro per il mondo, è chiaro che in qualche modo io giochi anche per loro e alla fine avverta un senso di responsabilità. Ma non c’è dubbio che le grandi aspettative che metto su me stesso sono solitamente superiori a quelle che arrivano dall’esterno. E, visto che le mie sono molto, ma molto alte, quelle esterne non mi hanno mai generato pressioni o inquietudini ulteriori». Consapevole, a 36 anni compiuti tre giorni fa, di essere anche il più anziano vincitore di Parigi, seppur pieno di acciacchi. «Nel secondo turno, dopo il match contro Moutet, non riuscivo a camminare. Mi hanno dovuto anestetizzare il nervo. Ma si vive di emozioni, di aspettative e io volevo darmi una possibilità di competere a Parigi: quindi ho accettato due settimane di piede addormentato, e ringrazierò per sempre lo staff medico. Ma ora? Inizio un trattamento, un’iniezione a radiofrequenza sul nervo che cercherà di bruciarlo un po’. Se funziona, continuerò ad andare avanti. Se non funziona, sarà un’altra storia: mi chiederò se sono pronto a sottopormi che so, a un intervento chirurgico importante che mi garantisca di poter essere di nuovo competitivo. Sapendo che ci vorrà molto tempo per tornare. Io sono sempre positivo, per cui vediamo se sono in grado di andare avanti. Non so cosa c’è nel futuro, so solo che continuerò a lottare finché avrò forze».

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