London Calling, dottor Wawrinka e mister Stanimal

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London Calling, dottor Wawrinka e mister Stanimal

I profili degli otto qualificati, il n.3. Stan Wawrinka è reduce dalla stagione che gli ha consegnato il terzo Slam in carriera, ma anche sconfitte clamorose e sprazzi di nervosismo. Quale versione di lui vedremo alle Finals?

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Queste due frasi, in estrema sintesi, racchiudono il 2016 di Stan Wawrinka e, probabilmente, sono la cartina di tornasole della sua carriera. La prima in fondo denota tanta autostima e una certa dose di presunzione: a pensarci bene non l’ha mai pronunciata neppure Federer (sebbene Roger ne sia stato sempre  intimamente convinto, ricordate come voleva spaccare Nadal da fondo?), non si è mai sognato di proferirla Novak Djokovic nei giorni del dominio assoluto, e invece a Stan venne fuori dopo il match contro Chardy, nella campagna di riconferma al Roland Garros, in un torneo nel quale con un po’ di delusione il nostro eroe dovette arrendersi in semifinale.

Eppure già contro Rosol c’era mancato davvero poco che Stan vestisse i panni del primo campione in carica nella storia del Roland Garros ad uscire al primo turno. Il piacere del brivido insomma, o forse la necessità di doversi sentire sempre con le spalle al muro per poter tirare fuori il proprio meglio. Un po’ quello che è successo un paio di mesi fa a New York, su quel match point capitato sulle corde di Evans. Di lì in poi, la cavalcata verso il trionfo. Un successo quasi normale, neanche troppo sorprendente su Novak Djokovic, sballottato a destra e a manca per il campo con la serenità di un predestinato. E allora dovremmo parlare della stagione della maturità per Stanimal? La terza consecutiva con uno Slam in cascina – chi lo avrebbe mai sospettato tre anni fa – un servizio sempre più incisivo (75% di punti vinti con la prima, 57% di punti con la seconda, 68% di palle break salvate nel solo 2016), un diritto sempre più affidabile oltre al proverbiale rovescio del quale si parlerà ancora tra un secolo e sul quale spendere anche una sola ulteriore parola rischierebbe di svilirne la magnificenza.

L’uomo delle grandi occasioni, il “purosangue da gran premio” come lo ha definito il Direttore, quello che quando arriva in finale non perde (quasi) mai. Nella stagione che lo vede presentarsi al Masters da numero 3 del mondo, insomma, cosa vogliamo rimproverare a Stan? Eppure la seconda frase di cui sopra The Man l’ha dedicata qualche giorno fa ad uno dei suoi miglior amici del circuito, Benoit Paire. Ma in fondo Stan è come se l’avesse pronunciata un po’ allo specchio. Come si spiegano altrimenti certe giornate svogliate come contro Monaco a Roma, Mischa Zverev a Basilea, Kuznetsov a Miami o Struff qualche giorno fa a Bercy? Possibile che in nove Masters 1000 abbia portato a casa la miseria di una semifinale e un quarto di finale? Oppure: avreste mai immaginato che un uomo che combina un tale obbrobrio, nascondendosi giustamente sotto la maglietta, qualche giorno dopo possa essere capace di annichilire il numero uno del mondo in una finale Slam? E allora, magari scopriremo che la prima vera stagione segnata dall’assenza di Federer lo abbia responsabilizzato troppo: in fondo ci si deve sentire protetti a vivere all’ombra del Re, ad essere sempre “Svizzera 2”, a non essere quello al quale la gente chiede i miracoli. Tutte le ansie però svaniscono quando le luci diventano più accecanti, quando la palla diventa incandescente e i suoi occhioni sono pronti a centrarla e a sventrarla a furia di sbracciate di rovescio.

E allora quale versione di Stan vedremo a Londra? L’allievo di Magnus Norman viene da tre semifinali di fila, quella di mezzo con annessi match point e rissa verbale con Mirka, e tutto dipenderà da quanto peso darà a questo torneo: vale quasi uno Slam? Allora occhio a The Man. Se il tennis attuale, nell’attesa che sboccino i giovani, è Djokovic-Murray, Stanimal (con Delpo) rappresenta l’unico guizzo capace di far saltare il banco. In fondo lo sa anche Nole, che vinca o che perda dipende solo da lui, soprattutto ora che l’ombra di Federer va sbiadendosi all’orizzonte. Non chiedetegli però di essere costante, in fondo Benoit Paire è sempre il suo migliore amico…

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