Tennisti emergenti

Brown, il modello prestato al tennis

Un breve viaggio al di fuori dei confini abituali, nel tentativo di imparare ad apprezzare questo sport da angoli visuali che ci rimangono spesso ignoti. E una ricerca forse destinata a continuare. Andrea Ligi

Dimensione testo Testo molto piccolo Testo piccolo Testo normale Testo grande Testo molto grande

Capita nel tennis che anche gli spettatori arrivino al finale di stagione un po’ scarichi, come i giocatori. I tornei di fine anno, Master 1000 compresi, sono spesso caratterizzati da partite incerottate e motivazioni latitanti. Paiono buoni solamente per decretare la lista dei partenti per il Masters finale. Ci si trascina stancamente, anche tra gli appassionati, dibattendo su quanto valgano l’una o l’altra vittoria, attendendo e sperando – infortuni permettendo – che l’atto finale possa chiudere col botto la stagione.
Può capitare, dunque, di raccogliere segnalazioni che nel bel mezzo di una stagione passerebbero verosimilmente inosservate. Dustin Brown era una di queste, e qualcuno ha provato a raccoglierla.

ASCESA
Dustin fa da qualche tempo il modello - sì, modello nel senso di indossatore - ma mica solo quello. Il tennis - come dice lui - viene prima di tutto, da sempre. Pare però che finora abbia ricevuto più attenzioni grazie alla sua immagine che non per via del suo gioco. L’unico contratto monetario che ad oggi sia stato in grado di ottenere da parte di uno sponsor è quello stipulato con una casa d’abbigliamento, mentre gli sponsor tecnici gli forniscono solamente il materiale per giocare.
Il look depone effettivamente a suo favore, anche nel suscitare qualche interesse. Un jamaicano, lunghi capelli rasta ed espressione intensa, che sta scalando il ranking. Per giunta è anche un giocatore di rete, pare. Merce rara. Proprio mentre io ne sento parlare per la prima volta lui è impegnato nei quarti di finale del challenger di Aachen, in Germania: proviamo a dare un’occhiata.
La tenue curiosità rischia di svanire all’istante: finestra dello streaming grande come un pacchetto di sigarette, telecamera presa verosimilmente in prestito dal parcheggio di un supermercato lì vicino. Forte sensazione di filmato proveniente da Real Tv.
Ed invece la partita si lascia guardare. Brown sfida Simon Stadler, tedesco fuori dai 200 già conosciuto dai nostalgici del serve&volley quantomeno per una sua significativa apparizione a Wimbledon. Vogliamo immaginare che l’eleganza il bel Dustin la lasci per la passerella. Gioca di volo, sì, ma non ricorda di primo acchito Edberg. Avanti sulla prima, sulla seconda, e tendenzialmente anche su tutto il resto, di rado risponde in campo. Con il rovescio - forse il più solido dei due colpi da fondo – trova però qualche ribattuta fulminante. Ha nel dritto un’arma molto potente, ma non esattamente calibrata al millimetro. Non è raro vederlo giocare proprio con questo colpo qualche estemporaneo slice. Presa in un modo o nell’altro la rete, mostra qualche discreto tocco e si difende con il rovescio. La volée di dritto, che definiremo – in uno slancio di generosità - personale, risulta in verità di un’efficacia notevole. Ma il colpo migliore è senz’altro il servizio, ceduto sole quattro volte durante il torneo di Aachen, due nella prima partita. Bordate fortissime alla pallina seguite da quattro balzi verso la rete: poco spazio per le negoziazioni. E lui si fa prepotentemente strada: quattro finali e una vittoria, tutte in tornei challenger, gli hanno consentito una dirompente scalata della classifica negli ultimi sei mesi. Dallo stallo della cinquecentesima posizione mondiale a numero 157. L’ho seguito quasi con affetto fino alla finale di domenica, uscito sconfitto in tre tie-break contro Rajeev Ram, altro volleatore ma più talentuoso di lui, anch’egli - si fa per dire - alla ribalta.

JAMAICA
Si corre forte da quelle parti, più forte che in qualsiasi altro luogo del pianeta. Ma per far capire che ruolo rivesta il tennis in Jamaica non c’è bisogno di fare un paragone con l’atletica: persino il bob, come ben sappiamo, gode di una popolarità di gran lunga maggiore.
Il venticinquenne Dustin Brown nasce a Celle, in Germania, da madre tedesca e padre jamaicano. Dall’età di cinque anni inizia a giocare a tennis, perché in Germania si gioca, e proprio dietro casa sua c’è un circolo. Già più singolare che il maestro sia anch’egli jamaicano, ma le vie dello sport sono evidentemente infinite. Nel 1996, a dodici anni, si trasferisce in Jamaica, dove tutt’ora risiede, a Montego Bay.
L’amore per la sua terra di origine non smorza però l’acredine che Brown tutt’ora nutre nei confronti della federazione tennistica del suo Paese. In una Nazione nella quale il tennis professionistico sostanzialmente non esiste, Dustin non ha trovato alcun aiuto nella federazione, e si è dovuto costruire da solo la propria carriera. Una carriera presumibilmente non sempre in discesa, visto lo scarso prize money accumulato: circa centomila dollari, la metà dei quali guadagnati quest’anno. Preso atto del totale disinteresse riservatogli ha scelto di non giocare più la Coppa Davis, per privilegiare la sua carriera. Evidentemente darsi la zappa sui piedi è un vizio diffuso delle federazioni tennistiche.

PERSONAGGIO
Dustin Brown ha ricevuto in dote un mediocre talento tennistico, buono al più per costruirsi una onorevole carriera da mestierante della racchetta. Né si distingue, il nostro jamaicano, per il bello stile nel gioco di volo. E allora perché parlarne? Per due motivi, almeno: innanzi tutto, parrà difficile da credere, vederlo giocare è divertente. Scanzonato e sorridente, d’un tratto impetuoso con la chioma al vento, un attimo dopo di nuovo a zonzo per il campo. Un’andatura vagamente dinoccolata, che ad alcuni potrebbe ricordare quella del suo giocatore preferito, Marat Safin. E uno stile di gioco stravagante, con colpi inattesi ed anomali. Difficile sapere cosa aspettarsi dal punto successivo, se un passante sotto le gambe, o un errore seguito da un altro e poi da un altro ancora (vedasi finale di Aachen). Non sempre escon fuori ricami insomma, ma quando c’è di che applaudire è facile che allo spettatore venga naturale anche un sorriso.
L’altro motivo, infine: è bello, talvolta, ritrovarsi a seguire le gesta di un signor nessuno, magari tramite mezzi abbastanza impervi. E ricordarsi che non ci sono solo i grandi trionfi e le grandi sconfitte, i grandi campioni e i grandi appuntamenti. Andare alla scoperta di chi alla gloria forse non arriverà mai, ma può comunque regalare qualche emozione, o suscitare una certa ammirazione e simpatia.
C’è chi, mentre Djokovic in televisione vinceva l’ultimo Master 1000 della stagione, sorrideva divertito ad un palmo di naso dallo schermo di un computer, perché da più lontano non si vedeva proprio nulla.

Andrea Ligi

Cerca su Quotidiano.Net nel Web

Fotogallery

Fed Cup Italia - Russia
Castellaneta Marina
foto di Monique Filippella

LA FOTO DEL GIORNO

Rafael Nadal e Andy Roddick

Nadal e Roddick si riposano

Nadal e Roddick approfittano di ogni momento per riposarsi dalla stagione lunga e faticosa . Forse hanno ragione a protestare per le fatiche imposte dal tour