Speciale Mauresmo

Il ritiro di Amelie Mauresmo potrebbe segnare la fine dei grandi artisti sul campo da tennis
Neil Harman, The Times

Traduzione a cura di Roberto Paterlini

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Nel 1999, a 20 anni, Amélie Mauresmo emerse dall’ombra verso una luce che bruciò intensamente su di lei per un certo periodo e poi si affievolì, permettendole di germogliare come essere umano e giocatrice di immenso stile e fascino. Ieri, all’età di 30 anni, avendo deciso che il suo gioco non era più abbastanza per difendersi contro l’utilitarismo del circuito femminile, ha detto “au revoir” al tennis professionistico. In una ricca decade, è divenuta numero 1 del mondo, posizione che ha mantenuto per 39 settimane, vinto due tornei del Grande Slam - Australian Open e Wimbledon, entrambi nel 2006 - rappresentato la Francia in molteplici incontri di Fed Cup e giocato in un modo che portava il profumo della sua nazionalità, esuberante e chic, per quanto spesso tradito da intimi timori. Ma è sempre rimasta totalmente fedele ai suoi principi, e nella miglior giornata era in grado di battere chiunque.
Avendo capito che allenarsi adeguatamente era diventato troppo dispendioso, Mauresmo ha deciso di dire basta. Probabilmente deve aver visto il recente WTA Championship di Doha, dove otto giocatrici senza un solo rovescio ad una mano, si sono sfinite ora su ora da fondo campo mostrando un tennis ben lontano dall’essere avvincente. C’è da sperare che Justine Henin trovi presto la sua forma migliore al ritorno il prossimo mese, o sarà sepolta sotto la valanga.

Sono davvero passati tutti questi anni da quando Mauresmo decise di fare un immenso passo e rivelare di essere lesbica? Era stata dura, con Sylvie Bourdon, la sua fidanzata di allora, prominente cheerleader e promotrice di se stessa (possedeva un night club, e di certo non lo teneva nascosto), e Amélie aveva deciso che l’unica cosa da fare fosse affrontare la situazione.

Una o due giocatrici, più notoriamente Martina Hingis, che la sconfisse nella finale all’Australian Open di quell’anno, non furono riguardose nei loro commenti. Anche se negò di aver usato queste precise parole, venne riportato che nella conferenza stampa in Svizzero-Tedesco Martina disse: “É qui con la sua fidanzata, è un mezzo uomo.” Persino Lindsay Davenport, solitamente incapace di parole maligne, aveva commentato il tennis aggressivo della Mauresmo come qualcosa che non ci si aspetterebbe da una donna. Non aveva mai sentito parlare di Martina Navratilova o Margaret Court?

Quell’Australian Open del ’99 divenne una caccia alle streghe non certo edificante: Mauresmo non era libera di andare da nessuna parte senza essere fotografata; il suo coach di allora, Christophe Fournerie, disse che quei commenti avevano caricato la sua giocatrice, ma di non essere affatto felice che fossero stati fatti. “Non è accettabile,” disse. “Sarebbe meglio se (Hingis) riflettesse un po’ prima di parlare. Forse è perché è ancora giovane, ma ha certe responsabilità visto il suo ruolo nel tennis.”

Davenport inviò un “sentito biglietto” in cui si disse triste che i suoi commenti fossero stati mal interpretati e, riportò Fournerie: “Amélie ne era stata felice.”

Il tour femminile - nonostante non fosse esattamente materia nuova da gestire - avrebbe preferito che Mauresmo non si fosse lasciata coinvolgere. I suoi sponsor e gli amici rimasero fedeli. Ricordo una conversazione con lei nella primavera di quell’anno. “É stata una buona cosa per me e per il mio tennis,” disse. “Posso giocare come voglio. Non sono pentita di nulla.” L’avevo resa più libera, avevo chiesto, perché ora non le facevano più domande a proposito? “Certo, non ho più domande a cui rispondere!” Le chiesi se il suo dichiararsi avesse danneggiato la sua popolarità. “Immagino che qualcuno non mi seguirà. Ma almeno posso vedere solo quelli buoni.”

I fortunati che avevano la possibilità di vederla settimana dopo settimana restavano stupiti dal suo gioco, con tutta la sua fragilità. Riusciva quasi a far piangere un inglese testimoniare con quanta difficoltà scendesse in campo al Roland Garros, come i suoi nervi fossero a brandelli, quanto il suo viso pietrificato di fronte ad un pubblico tutto francese.

Quest’anno era facile vedere la luce in fondo al tunnel avvicinarsi velocemente, e legittimo chiedersi quante altre giocatrici ad una mano avrebbero benedetto il tennis femminile. “Per una ragazzina giocare il rovescio in slice significa perdere,” diceva Amélie. “Sono stata capace di vincere perché ero forte fisicamente tra le Junior. Ho vinto il titolo mondiale quando avevo 17 anni. Ora le tenniste sono sul tour professionistico a 16. Gli allenatori hanno il compito di individuare quelle giocatrici che sarebbero in grado di fare la differenza con lo slice, altrimenti che le ragazzine vadano a scuola e facciano qualcosa di diverso.”
Grazie a Dio non è stato il caso di Amélie.

L'articolo originale (in inglese)
 

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