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09/07/2010 15:56 CEST - Intervista ad Adriano

Buon Compleanno Panatta

In occasione del suo compleanno, pubblichiamo nuovamente l'intervista fatta ad Adriano prima di Natale. Auguri da tutta la redazione. "Ci sono giocatori fortissimi ma che non sanno giocare a tennis". Panatta: l'antipatia con Lendl, l'amicizia con Borg, giornalisti, Volandri, Bolelli Agassi e molto altro ancora. Comuniello e Maglieri

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Adriano Panatta
Adriano Panatta

Un’intervista ad Adriano Panatta, il tennista probabilmente più forte della storia tricolore. La cosa fa già emozione di per sé, il pensiero di poter scambiare due parole con l’uomo capace tra le altre cose di vincere il Roland Garros e la Coppa Davis è un privilegio che non capita tutti i giorni. L’idea ci è nata sulla scia della pubblicazione del suo libro, “Più dritti che rovesci”: un racconto in chiave spensierata, in cui emergono tanti lati gustosi del Panatta giocatore ma soprattutto del Panatta uomo. Gli esordi al circolo Parioli, le tante avventure amorose, i numerosi successi (a partire dalla ormai celebre vittoria del 1970 ai Campionati Italiani, su Nicola Pietrangeli), l’amicizia con Bjorn Borg, le gioie e le liti con la Federtennis.
In un nuvoloso pomeriggio romano Adriano ci ha ricevuti per concederci questa intervista: una scaletta c’era, all’inizio, ma Panatta ha preso facilmente in mano il pallino del gioco e gli schemi sono saltati. Poco male: l’intervista è diventatata un’ora e mezza di puro Panatta a tutto campo.
Il primo quindici ce lo siamo giocati su uno dei passaggi che su Ubitennis è stato più chiacchierato, quello in cui Adriano parla apertamente della sua antipatia per Ivan Lendl: in un capitolo Panatta elenca la top ten dei tennisti che secondo lui hanno contribuito maggiormente a cambiare la storia di questo sport. Nella lista manca appunto il nome di Lendl, mentre compare ad esempio Arthur Ashe, tennista dal palmares meno ricco.
“Questa scelta non è stata fatta sulla base di un mio presunto astio per Lendl – ci ha spiegato -, so bene quanto Ivan sia stato forte e vincente. Credo però che Arthur abbia rivoluzionato il tennis internazionale: è stato il primo giocatore nero a vincere, dando una radicale svolta. Mi è stato raccontato di alcuni circoli in cui i giocatori di colore non potevano nemmeno entrare, Ashe in questo senso è stato molto importante. Tanto per chiarire su Ivan, invece: non è vero che stava antipatico a tutti. Mio fratello Claudio per esempio è molto amico di Lendl. Ogni volta che ci incontriamo scherziamo su questa cosa: -Ma Claudio come fai a essere amico di quello li?- E lui, ogni volta - Ma no Adriano, tu non capisci, Ivan è una brava persona-. Lo so anch’io che è una brava persona, ma non era certo la mia persona preferita”.
Nel libro si parla di un episodio particolare tra Adriano e Ivan il terribile.
“Ricordo che eravamo a Palm Desert per un torneo, dove oggi si gioca Indian Wells” ci ha detto “io stavo parlando con Ashe e Charlie Pasarell quando ad un certo punto arrivò Lendl, che mi domandò - Panatta, settimana prossima hai la classifica per giocare a Los Angeles? - Era chiaramente una frase provocatoria, in quanto io ero già affermato tra i migliori. Prima ancora che io potessi rispondere, Ashe intervenne dicendo - Caro Lendl, non ti permettere: sarai anche numero uno al mondo ma ancora non fai parte del club di vincitori dei tornei del Grande Slam. Per cui ogni volta che ti rivolgi a noi membri del club devi dire Mister: Mister Panatta, Mister Ashe..chiaro?-.
Lendl era un giocatore fortissimo, uno dei più forti della sua epoca, ma non era bravo a giocare a tennis”.
Questa gli abbiamo chiesto di spiegarla: che vuol dire che era fortissimo ma non era bravo a giocare a tennis?
“Che era quasi imbattibile, al suo apice, ma aveva evidenti limiti tecnici: a rete ad esempio non ne azzeccava una. Di giocatori fortissimi ma tecnicamente limitati ce ne sono stati molti, pensate a Guillermo Vilas: era fortissimo, ma non sapeva fare granchè. Il servizio ed i colpi a rimbalzo erano mediocri, la palla corta non era in grado di farla. Vilas era un tennista capace di avere un grandissimo rendimento, per molti mesi, sapeva stare in campo: correva e giocava lungo, arrotato, nulla di più. Con i tennisti come lui, Solomon, Dibbs, Borg io andavo a nozze: al contrario soffrivo gli attaccanti puri”.
Ma quali sono stati per Panatta i posti più ideali e quelli più “fetenti” per giocare a tennis?
“In Australia era molto complicato ai nostri tempi, non è come ora… ricordo che nel 1969, quando andammo, c’era moltissimo vento, inoltre ci fu l’invasione delle mosche. Mi viene poi in mente che era difficilissimo giocare nei paesi dell’Est, soprattutto in Coppa Davis: il tifo era molto ostile e non facevano niente per facilitare la squadra ospite anche fuori dal campo. Amavo invece giocare al Roland Garros: il pubblico è passionale, mi trovavo davvero bene. A Flushing Meadows c’era troppo rumore, anche più di oggi, mentre di Wimbledon apprezzavo l’educazione del pubblico”.
La chiacchierata è poi proseguita affrontando il capitolo Coppa Davis, partendo dai rapporti attuali con gli altri componenti della squadra azzurra vincente nel 1976:
“Paolo Bertolucci per me è come un fratello, mentre con Tonino Zugarelli spesso andiamo a giocare a golf. Per quanto riguarda Corrado Barazzutti, non lo sento da tempo. La Coppa Davis ai miei tempi era molto più sentita, i giocatori ci tenevano a disputarla. Purtroppo negli ultimi anni l’evento ha sofferto la lotta tra ATP e ITF: io credo che le colpe di questo disinteresse verso la manifestazione siano da attribuire alla cattiva gestione dell’ATP. La Davis, per alcune nazioni, rappresenta ancora un veicolo importantissimo, purtroppo l’ultima generazione di tennisti si è “attiperata”.
Attiperata? Cos’è, un tributo non richiesto a “Striscia la Notizia”?
“No… attiperata nel senso di dimensionata sull’ATP e basta. I giocatori pensano alla loro carriera individuale, le federazioni non contano. Si trasferiscono da piccoli in altri stati per crescere, in particolare le donne. Secondo voi Maria Sharapova è siberiana o americana? Dipende da quel che le conviene nel momento in cui glielo si chiede”.
Parlando di ATP, è stato naturale discutere di come è attualmente guidata.
“Secondo me dovrebbero mettere a capo dell’ATP un ex giocatore, che certamente capisce molto meglio il tennis. Ci vorrebbe un nuovo Jack Kramer, ovvero una persona capace: Arthur Ashe sarebbe stato ideale. Il problema è che ai giocatori più forti delle questioni importanti non interessa nulla, a loro importa allenarsi e vincere. Uno come Adam Elphant (il nuovo capo del tennis maschile, dopo Etienne de Villiers) è certamente un bravo manager ma io credo che un ex tennista sia più adatto. E’ difficile pensare ad un nome, potrei dire Ove Bengtson, Pete Sampras, Neale Fraser. Solamente in Francia gli ex atleti si occupano di management sportivo, pensate a Michel Platini che è diventato il capo del calcio in Europa”.
Sempre a proposito di Coppa Davis, abbiamo chiesto ad Adriano il suo pensiero in merito all’attuale stato del tennis azzurro, certamente non brillante.
“Il problema sta alla base… i nostri tennisti sono molto bravi ma giocano sempre uguale, non riescono a migliorare. Simone Bolelli poteva essere forte. Riprendendo il discorso di prima, Simone è uno che saprebbe giocare a tennis. Ricordo quando lo vidi la prima volta in azione. Mi venne voglia di scendere in campo a palleggiare contro di lui, con tutto che ero in giacca e cravatta.”
E gli altri?
“Seppi non è affatto male, ma non vedo progressi. Andreas ha una buona classifica, è stato nei primi trenta, ma mi sembra si faccia troppo poco per crescere. In questi casi è il coach che deve sapersi imporre, per stimolare il giocatore. Perché arrivano dei momenti nella partita in cui devi saper fare qualcosa di diverso.
Mi viene in mente Fabrizio Fanucci, allenatore di Filippo Volandri. Sono molto amico di Fanucci, ricordo che si diceva da anni che Filippo serviva come una donna, quanto a velocità di palla. Ebbene, non ci sono mai stati passi in avanti per migliorare quel suo difetto. Nessuno lo ha preso e gli ha detto: ora per un mese ti concentri a risolvere questo problema. Questo vale anche per altri: nel tennis si progredisce solamente giocando ed allenandosi duramente, i tennisti hanno spesso la tendenza ad allenarsi solo sulle cose che già sanno fare. Ma non serve a niente allenare il colpo già forte. Inoltre il giocatore deve avere la capacità di credere nel coach e di lavorare sodo. Andy Roddick, che è stato numero uno al mondo e ha vinto uno Slam, si è affidato a Larry Stefanki e si è rimesso sotto a lavorare, ripartendo da zero, con umiltà: i risultati, in questo 2009 si sono visti. Ricordo che un mio vecchio coach, grandissimo motivatore, era riuscito a convincermi ad allenarmi duro, alle sette del mattino mi portava a correre: a me, che non sono mai stato un atleta eccelso”.
C’è stato un periodo in cui uno degli sport preferiti della stampa specializzata, in Italia, era impallinare il suo lavoro e quello del centro tecnico di Riano…
“Esatto. E guarda caso tutti i giocatori che sono usciti da quell’esperienza sono entrati nei primi 30, e anche più su. Quel gruppo ha fatto due semifinali ed una finale Davis. Hanno vinto tornei, cosa che oggi siamo ben lontani dal fare. Vinciamo le partite, ma non i tornei. Su Riano ne hanno scritte veramente di tutte, anche di una rivalità con Piatti che non c’è mai stata. Punti di vista differenti, talvolta, ma rivalità, questa poi… non avrebbe avuto senso. Riccardo se ne andò perché preferiva seguire, da solo, alcuni giocatori, concentrarsi su di essi ed il Centro aveva invece altre esigenze. Punto. Però è stato scritto altro e con un’acredine sospetta.… pazienza. Riano è stata a suo modo un'esperienza valida e importante, che ha dato frutti. Ne poteva dare di più? Forse. Non tutto ciò che si faceva andava nella giusta direzione? Può essere. Ma avevamo un ottimo gruppo di lavoro, che tirai su io, pedina per pedina. Era un'esperienza che meritava di continuare, di trasformarsi e migliorarsi, di crescere, di comprendere i propri errori e trovare nuove strade. E questo è un discorso che esula da me, dal mio impiego in questo progetto. Eravamo in vantaggio su altre nazioni. Aver voluto distruggere tutto ha rispedito il tennis italiano anni indietro, e ne scontiamo oggi le conseguenze. Ma bisognava dare addosso a Panatta, a tutti i costi, forse perché "faceva titolo". Sbagliarono i dirigenti, ma anche la stampa, sinceramente, non comprese in quell'occasione che il tennis italiano si stava giocando il futuro. Peccato”
Parliamo di Agassi e del suo libro. 
“Proprio non capisco, le sue confessioni sono inspiegabili. Andre ne è uscito malissimo, non so che dire: lo conosco bene, posso dire che un uomo bravo, gentile, molto disponibile. Certamente il fatto di essere nato a Las Vegas e di avere avuto quell’infanzia spiega molte cose: non è un ambiente da cui puoi renderti impermeabile. Mi ricordo che giocai contro di lui quando aveva 9 anni. Richard Pancho Gonzalez, marito della sorella di Agassi, un giorno venne da me dicendomi - Ti andrebbe di palleggiare un po’ con quel ragazzino?-. – Chi è?- gli chiesi. – E’ mio cognato-…
Bene, mi trovai a Las Vegas, su un campo da tennis, con davanti quel bimbetto di nove anni, con già i capelli lunghi e tutto il suo gioco che poi lo ha reso famoso. Solo a Las Vegas succedono certe cose. Comunque, fin dai primi scambi si vedeva che quel bambino era un potenziale fenomeno: tirava già molto forte, colpendo la pallina sempre in anticipo. Quando arrivò sul circuito era circondato da gente strana, capivi che erano personaggi un po’ borderline. Ma poi ha fatto una maturazione meravigliosa”
Delle incomprensioni di Panata con la Federtennis se ne sono scritte di tutti i tipi, ma Adriano vuole evitare ulteriori polemiche. Si limita agli aneddoti, e ce ne ha voluto regalare uno gustoso che riguarda uno match fra lui e il presidente Binaghi.
“Ricordo che stavamo giocando un torneo. Un giorno fui costretto a giocare appena dopo pranzo ed in campo stetti male, corsi velocemente in bagno a vomitare. La sera il programma prevedeva un match di doppio: da una parte io e Bertolucci, dall’altra Angelo Binaghi e Luca Bottazzi. Io stavo malissimo, cosi Bertolucci andò da Binaghi chiedendo di spostare l’incontro. Binaghi rispose che non era d’accordo e che voleva scendere in campo. Ne nacque una lite, io fui costretto ad alzarmi dal letto ed intervenire per calmare gli animi: alla fine, per non aggravare il clima, decisi di giocare comunque. Ebbene, io e Paolo vincemmo quel doppio in maniera netta…forse è per quello che non sono molto simpatico alla Federazione” chiude l’aneddoto ridendo.
Tra aneddoti, battute in romanesco, ricordi, è volata un’ora e mezza. L’ultimo scampolo di chiacchierata Panatta lo ha dedicato parlandoci del suo ritiro.
“Non mi è mai mancato nulla del tennis giocato. Quando ho capito che non potevo più essere competitivo, ho deciso di lasciare, senza rimpianti”.
Noi invece, rimpiangiamo molto Panata e il suo tennis fatto di creazione e divertimento.

 

Comuniello e Maglieri

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker