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Rassegna stampa del 19-3-2010

La scomparsa di Roberto Lombardi (Azzolini, Clerici, Perrone, Semeraro)

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Rubrica a cura di Alberto Giorni

Il tennis ha perso Lombardi, indimenticabile professore (Daniele Azzolini, Tuttosport del 19-3-2010)

Roberto Lombardi ha combattuto la sua terribile nemica in molti modi, che ora scopriamo essere stati vani, e ne siamo affranti, ma non per questo eviteranno di lasciare una traccia importante in tutti coloro che lo hanno conosciuto. Ha combattuto lavorando, e lo ha fatto finché ha potuto, inarrestabile seppure costretto da mesi e mesi su una sedia a rotelle. Ha combattuto con l'amore per la sua compagna, Caterina, che ha sposato pochi giorni prima di andarsene. Ha combattuto come l'avevamo visto fare all'ultimo torneo di Wimbledon, mantenendo viva quella sua trascinante verve, che veniva da un misto di arguzia, di spirito di osservazione, di curiosità innata. Parlare con Roberto non era mai banale, come non lo erano le sue telecronache su Sky, i suoi articoli prima su Matchball, quand'era un ex tennista e un giovane tecnico, poi su II Corriere della Sera. Lo andavamo a incontrare sulla terrazza dei Championships, che congiunge la sala stampa al centro tivù, e lo circondavamo d'affetto, nell'intento di sentirlo ancora in quel suo ribollire di parole e di pensieri, per confortarci di questo e pensare che l'addio non sarebbe mai arrivato. Ma lui era più lucido di noi, sapeva con che cosa si stava confrontando, la SLA, la terribile nemica, la Sclerosi laterale amiotrofica. Un giorno fu spietato. Aveva avuto una crisi, durante una telecronaca, ed era dispiaciuto più per gli spettatori di Sky che per se stesso. Lo disse chiaro: se questo deve essere il finale, non ci sto, me ne vado prima...
Laureato in matematica e fisica, Roberto Lombardi aveva avuto in dote un'intelligenza rapida, fresca, essenziale, quasi spregiudicata per certi aspetti, che lo portava a continue riflessioni, su di sé, sulla vita, e certo, anche sul tennis, che è stato un grande amore non sempre corrisposto. Un uomo particolare, quasi pirotecnico. E ha continuato a esserlo anche quando la malattia lo ha colpito. Tennista negli anni Settanta, numero sei d'Italia, se non ci fossero stati Panatta, Bertolucci, Barazzutti e Zugarelli, diceva, una volta in Davis ci sarebbe andato anche lui, ma certo non ha mai pensato che sarebbe stato meglio così. Con Barazzutti aveva cominciato, ad Alessandria, la sua città. Tiravano giù un campo con il gesso e palleggiavano nel cortile. Li vide Corvara, il primo maestro di Gianni Rivera, e li consegnò a un campo da tennis, in un circolo vero. A fine carriera, onorevolissima, Panatta lo portò a Riano, il nuovo centro tecnico che sorse nel 1984, e anche Marina, la prima moglie, lavorava lì.
Roberto si trovò a insegnare, era una delle cose che gli venivano spontanee: un professore di scienze applicate al tennis. Seguì Cane, all'inizio, poi Pescosolido, Nargiso, e gli altri, via via. Finita quell'esperienza rimase nel tennis come giornalista, e continuò anche quando lo chiamarono come direttore del-la Scuola Nazionale Maestri. Roberto se n'è andato a 59 anni, prima del torneo di Wimbledon cui teneva così tanto. Ha lasciato troppo presto il tennis, troppo presto gli amici, troppo presto Caterina. L'ingiustizia è palese, e dura da accettare.

 

Addio maestro Lombardi: voce, testa e cuore del tennis (Gianni Clerici, la Repubblica del 19-3-2010)

Insieme a Roberto Lombardi, morto oggi di Sia in un ospedale milanese, non è ormai più tra noi il socio del Circolo Tennis Alessandria che, involontariamente, determinò il suo destino. L'ignoto socio vide, una sera, due ragazzini scalare la cinta del Club e, raggiunto un campo, iniziare a palleggiare con disinvoltura profetica. Erano Roberto Lombardi e Corrado Barazzutti, presto benvenuti a assistiti verso un futuro di campioni.
Meno prestante di Corrado, tanto da esser denominato Robertino, Lombardi non andò oltre il n. 6 della classifica nazionale, ma la sua visione del gioco lo aiutò a non accrescere le fila di volonterosi ex-muscolari trasformati in robot lancia-palle. Lavorò faticosamente per laurearsi a Bologna, sua città adottiva, in matematica, divenne il miglior tecnico della Scuola Federale di Riano, e via via, Direttore della Scuola Nazionale Maestri, e, insieme, tecnicissimo commentatore di Sky. Aveva studiato come pochi al mondo fisica applicata al gioco, e i suoi commenti affascinavano, o irritavano, ascoltatori che non immaginavano che il vai e vieni della palla ubbidisse a leggi tanto poco conosciute.
Si ammalò gravemente, ebbe la dignità di tenere celate le cause, e continuò come nulla fosse, adagiato su una carrozzina, commentando: «Se giocano i paraplegici, perché non io?». Progettava, di recente ammutolito dalla malattia, di continuare il suo lavoro servendosi di uno strumento vocale. Ha resistito, da coraggioso tennista, sino alla fine del quinto set.

 

Lombardi, ex numero 7 d’Italia sconfitto dalla Sla (Roberto Perrone, Il Corriere della Sera del 19-3-2010)

Era un gigante, Robertino. Forse dipendeva dal suo prendere la vita di petto: superava di slancio i centimetri con l’eclettismo e l’assenza di banalità. Se ha sofferto, più che per la malattia è stato di sicuro per le limitazioni che gli ha imposto. Era un uomo vitale, dannunziano, curioso di vita, conoscenze, donne (rigorosamente più alte di lui) e quindi ha resistito fino all’ultimo, lavorando, girando, affabulando.
Il mondo del tennis, giocato e raccontato, è in lutto. Se n’è andato Roberto Lombardi, 59 anni, ex numero 7 d’Italia e direttore della Scuola nazionale maestri. Era malato di Sla. Alessandrino («come Rivera» amava dire, quindi milanista doc), nato il 2 ottobre 1950, era cresciuto con la generazione dei Panatta, Barazzutti, Bertolucci. Giocatore di ottimo livello in un’indimenticabile stagione di campioni, perse la finale degli Assoluti 1976 da Corrado Barazzutti, amico di una vita, che portava sulla canna della sua bici quand’erano ragazzi. Era un portento: estemporaneo, aggressivo, generoso. Senza mezze misure. Con lui potevi affrontare incomprensibili teoremi algebrici (era laureato in matematica), discutere di vini di pregio, frequentare ristoranti di classe o bettole periferiche con lo stesso spirito goliardico. Giovane tennista, aveva esplorato l’America on the road, con un’auto e una racchetta, mantenendosi giocando tornei. Tutti hanno dovuto ascoltare il racconto di quando costrinse un giovane McEnroe al terzo set.
Negli ultimi vent’anni era stato giornalista e commentatore, aveva scritto per anni sul Corriere della Sera e si era dedicato alle telecronache per Sky e, ultimamente, per Super Tennis, la tv federale. Ha lottato contro la malattia fino a ieri, sostenuto da Caterina, donna altissima, in tutti i sensi. I funerali si svolgeranno domani alle ore 14.30 a Milano. Il suo ricordo si arrotolerà con nostalgia in tutti noi che l’abbiamo conosciuto.

 

 

Ciao, Roberto (Stefano Semeraro, lastampa.it del 19-3-2010)

Adesso che Roberto Lombardi se ne è andato, che si è tolto dall’angolo dove lo aveva messo quella cosa orribile che si chiama SLA, che lo tormentava e ingabbiava da anni, ma che non lo aveva mai abbattuto, adesso che rimane solo il rimpianto di di non avergli parlato di più, la nostalgia e la voglia di risentire ancora quella sua erre mandrogna e beffarda; adesso che dagli occhi bisogna scacciare le lacrime, mi viene in mente una storiella che raccontano ad Alessandria, dalle sue parti.
Ci sono due pescatori sul fiume, silenziosi, e un uomo che porta il suo cane sull’argine. Fissa i due con aria di sfida, poi lancia un bastone nel fiume. Il cane corre così veloce che vola sull’acqua, afferra il bastone e lo riporta indietro senza bagnarsi. Il padrone guarda con aria orgogliosa i due pescatori, che però lo ignorano. Allora lancia di nuovo il bastone, e poi ancora, e ancora. Alla quarta volta uno dei pescatori lentamente alza lo sguardo e domanda: “quanti anni ha il cane?”. E il padrone, tutto fiero: “Solo due!”. Il pescatore riabbassa la testa sulla canna: “Allora a nuotare non impara più”.
A Roberto questa storiella piaceva: perché gli assomigliava. Lui era il cane che vola sull’acqua, agile, svelto, e anche il pescatore che non si fa incantare dalle favole, il Bertoldo istruito e ironico, brillante, prendingiro, che conosce l’arte del controtempo. Da giocatore Robertino era stato uno vero, n.6 d'Italia negli anni '70, a un passo dalla Davis, giusto dietro Panatta, Bertolucci, Zugarelli e Corrado Barazzutti, il soldatino friulano che a tennis aveva imparato a giocare come lui ad Alessandria. Una finale ai campionati italiani indoor, un set strappato a McEnroe in merica, tanti avversari impazziti dietro le sue palle “ammalloppate” (la definizione è sua). Un ragazzino terribile, con i capelli biondi lunghi trattenuti da una fascia, alla Borg, con un sorriso alla Mickey Rooney, che si era trasformato poi in un tecnico sopraffino, coach di tanti talenti, da Canè a Pescosolido, riformatore della nostra Scuola Nazionale Maestri.
Laureato in matematica, studioso accanito di biomeccanica, lui che il tennis lo conosceva tutto, pratica e teoria, e che sapeva smontartelo e rimontartelo davanti, con passione infinita e infinito disincanto. Giornalista, a lungo columnist tennistico proprio per La Stampa, poi per il Corriere della Sera, e soprattutto voce e volto di Tele+ e di Sky, dai cui microfoni ha commentato per due decenni centinaia e centinaia di partite. Con la penna aveva imparato a cavarsela egregiamente, lui che aveva fatto studi scientifici, soprattutto grazie alla curiosità, alla voglia di migliorarsi, di imparare. Si era appassionato all’arte, amava paragonare i tennisti a pittori e scultori – lui che tutti avevamo iniziato a chiamare “il Professore” per il gusto, la competenza assoluta e la simpatia che metteva nelle sue dissertazioni tecniche. Mai aride, perché sempre arricchite da un guizzo, da uno scarto, da uno di quei lampi da Lucignolo che gli si accendevano negli occhietti azzurri, sotto il ciuffo biondo.
Era diventato anche il protagonista di un fumetto, “Bob Lombard”, e come certi personaggi da cartoon non c’era rischio di confonderlo con nessuno. Gusto della battuta, della polemica – a Londra gli autisti della trasportation ancora si ricordano i suoi sarcasmi sui percorsi scelti per tornare in città -, e tanta umanità. La vita non è stata tenera con lui. Aveva dovuto sopportare il lutto terribile della scomparsa della prima moglie, Marina, e di una lunga malattia sua. Quando sembrava aver ritrovato la serenità accanto alla incantevole Caterina, la sua nuova compagna, sposata pochi giorni fa in un estremo atto di amore e di sfida alla sfortuna, la SLA aveva iniziato a servirgli prime palle imprendibili, sempre più lontane. Roberto ha lottato fino alla fine, ha continuato a commentare, a informarsi a documentarsi. Poche settimane fa, dopo un’operazione che sembrava aver aperto nuove speranze, risvegliandosi dall’anestesia la sua prima domanda era stata: “Chi ha vinto gli Australian Open?”. Aveva sessant’anni, il ragazzino terribile. Troppi, per imparare ad arrendersi. Ciao, Roberto.

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Una divertente telecronaca di Roberto Lombardi insieme a Ubaldo