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17/06/2010 01:19 CEST - TENNIS E DOPING

Quando si ha la vittoria nel sangue

Non esistono solo farmaci e sostanze dopanti. Ci sono anche pratiche che possono dare “una marcia in più”. Ovviamente in modo illecito. La più nota è l’autoemotrasfusione. Proviamo a capire meglio di cosa si tratta. Claudio Gilardelli

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Terza parte dell’intervista realizzata al dott. Carlo Giammattei, medico sportivo presso il Dipartimento di Ortopedia Medicina e Traumatologia dello Sport dell’Az. USL 2 Lucca diretto dal prof. Enrico Castellacci, medico della Nazionale di calcio italiana. Abbiamo parlato di un argomento molto “caldo”: l’autoemotrasfusione.

In cosa consiste l’autoemotrasfusione?

 

Consiste nel prelevare una quantità del proprio sangue (autoemo-), spesso viene effettuata dopo un allenamento in altura che lo arricchisce di globuli rossi, per poi rimetterlo in circolo alla bisogna con una normale trasfusione. Tale pratica assicura all’atleta un numero maggiore di globuli rossi nel sangue che permettono un apporto di ossigeno nell’unità di tempo nelle zone periferiche del corpo superiore a quello che si avrebbe normalmente senza autoemotrasfusione.

È una pratica dopante che effettuata una volta dà poi benefici per i mesi successivi efficacemente?

 

L’autoemotrasfusione è una pratica che dà benefici a lungo termine: i vantaggi si possono prolungare per tre-quattro settimane. Necessita però di grosse strutture consenzienti che permettano di conservare il sangue prelevato fino al momento del suo utilizzo. In Italia (ma anche all’estero), il sangue è sottoposto a molti controlli e nessuna struttura, sia essa pubblica o privata, può accettare sangue di provenienza sconosciuta senza commettere gravi infrazioni della legge. È evidente allora che l’autoemotrasfuzione può essere fatta solo appoggiandosi a strutture illegali o che agiscono nell’illegalità. In Austria di recente è stato scoperto uno di questi laboratori “consenzienti”.

Davvero? Mi dica qualcosa di più, per favore.

 

Si tratta del laboratorio viennese Humanplasma, sotto inchiesta poiché secondo gli inquirenti vi si svolgevano pratiche ematiche dopanti. Infatti, come si ricava da quanto comparso sulla stampa, si sospetta che dal 2003 al 2006 Martin Kessler, ex coach dei canottieri austriaci, Waltr Mayer, ex allenatore di sci nordico, e Stefan Matschiner, manager del ciclista Bernhard Kohl, ora ritiratosi, avrebbero sottoposto circa 30 atleti a doping ematico in quel laboratorio. I giornali riferiscono che Kessler avrebbe parzialmente ammesso qualcosa, confessando che alcuni suoi atleti in passato depositarono sacche di sangue presso Humanplasma senza però sottoporsi alla successiva autoemotrasfusione. Le indagini sono tuttora in corso. In precedenza, un’inchiesta analoga fu quella riguardante il laboratorio del medico spagnolo Eufemiano Fuentes, considerato la figura cardine dell'Operacion Puerto. In entrambi i casi però non sono state trovate prove a carico di nessun tennista.

L'autoemotrasfusione di quanto può aumentare le prestazioni nell'ambito di una disciplina a prestazione prolungata e multiforme come il tennis?

 

Una maggior ossigenazione nell’unità di tempo nelle zone periferiche del corpo, protratta per un periodo che può durare tre-quattro settimane è sicuramente un indubbio vantaggio, ma non possono fare di un ottimo atleta un campione. Questo è un punto importante da sottolineare: con l’autoemotrasfusione non si possono creare campioni. Un atleta eccezionale lo è anche senza tale pratica e di sicuro non lo diventa col doping ematico se non lo era già in partenza. La mia opinione è che i risultati si possono ottenere lavorando duramente sulle proprie potenzialità cercando di superare i propri limiti in maniera naturale senza dover essere dipendenti, anche psicologicamente, da pericolose pratiche dopanti.

L’autoemotrasfusione è pericolosa? Quali effetti collaterali può avere?

 

Certamente che è una pratica pericolosa. I maggiori rischi sono legati ad una non idonea conservazione del sangue. Inoltre vi sono i rischi dovuti ad un sovraccarico di sangue per l’apparato cardiovascolare.

L’autoemotrasfusione porta a valori fisiologici del sangue alterati rilevabili? Se sì, con quali esami?

 

L’autoemotrasfusione porta ad avere un numero di globuli rossi maggiore rispetto alla norma. Tuttavia a oggi non è possibile distinguere con un test se essa sia dovuta a una pratica ematica dopante o, ad esempio, a un allenamento in altura del tutto lecito. Per ora è possibile solo scoprire se è stato trasfuso sangue compatibile – non appartenente cioè alla persona oggetto della trasfusione ma a un altro donatore – attraverso l’analisi con marcatori che risultano diversi da individuo a individuo. Un test che dovrebbe riuscire anche a smascherare casi di autoemotrasfusione è però allo studio. Si tratta di una metodica in grado di individuare in una popolazione di globuli rossi quelli più vecchi (emotrasfusi) e/o fragili (stato dovuto alla conservazione che indebolisce notevolmente le cellule ematiche). Tuttavia questo test non è ancora a disposizione.

Farmaci noti, invece, come ad esempio l’Epo o gli steroidi, sono facilmente rilevabili ai test antidoping e quindi è molto difficile per professionisti di un certo livello farne uso senza essere scoperti, mentre è più semplice per gli amatori e dilettanti dove i controlli sono molto scarsi.

In attesa di test diretti, non è stato escogitato nulla per poter individuare i disonesti?

 

Sì certo, qualcosa si sta facendo. Ad esempio, per i ciclisti è stato istituito il passaporto biologico: è un profilo ematologico ed in futuro anche ormonale steroideo dell’atleta ottenuto dalla comparazione di parametri ottenuti da una serie di esami del sangue e delle urine condotti un in determinato periodo di tempo. Questo profilo è assolutamente personale, fotografa le condizioni “normali” dell’atleta e serve da parametro di confronto per valutare i valori ottenuti nei test di controllo eseguiti sull’atleta in gara o in allenamento. È chiaro che in questo modo l’uso di un qualsiasi farmaco non noto o fuori commercio che non sia reperibile ai test può essere ipotizzato da una alterazione significativa dei valori del profilo “standard” dell’atleta. Ovviamente, è importantissimo che il profilo sia il più accurato possibile così da fissare le caratteristiche di ciascun atleta in modo molto preciso e evidenziare agevolmente qualsiasi variazione sospetta, anche minima. Per i tennisti però non è stato pensato a nulla del genere, almeno per ora.

Il tennis è uno sport in cui si ritorna alla "base" pochissimo durante l'anno. Si può dire che questa caratteristica è importante per affermare che nel tennis l’autoemotrasfusione non esiste come pratica in quanto è più difficile da eseguire rispetto ad altri sport?

 

Direi di no. A mio avviso potrebbe essere molto complicato praticarla quando l’atleta è in viaggio ma non impossibile. Nel caso un tennista voglia effettuare un’autoemotrasfusione sarebbe indispensabile avere un centro di appoggio nelle città in cui giocherà o nelle sue vicinanze, se vuole sfruttare l’effetto nelle settimane successive. Facciamo un esempio. Se devo giocare Wimbledon dal prossimo 21 giugno e volessi, per questo torneo importantissimo, “avvantaggiarmi” sui miei contendenti in modo disonesto con pratiche ematiche dopanti, potrei appoggiarmi a un laboratorio specializzato a Londra in cui ho depositato preventivamente una o più sacche di sangue. In alternativa, la struttura consenziente potrebbe essere in una delle città in cui ho disputato un torneo nelle tre settimane precedenti a Wimbledon (Roland Garros a fine maggio, Halle o Londra dal 7 giugno, 's-Hertogenbosch o Eastbourne dal 13 giugno, ndr). In questo caso, però, devo avere la certezza che sarò sicuramente a giocare quel torneo in quella città in modo da depositare per tempo le sacche di sangue presso il laboratorio che mi sta aiutando. È chiaro che qualunque contrattempo che non mi permetta di essere presente nel luogo dove mi sono attrezzato per l’autoemotrasfusione manderebbe in fumo tutti questi sforzi. Infatti sarebbe difficile trasportare in tempi utili una sacca dal centro di appoggio prescelto in un altro centro situato in un'altra città o nazione e che sia anch’esso consenziente. Insomma, se un tennista in giro per il mondo per quasi tutto l’anno volesse praticare l’autoemotrasfusione dovrebbe organizzarsi scrupolosamente e nei dettagli, valutando attentamente anche gli imprevisti che spesso possono colpire chi è in viaggio. Comunque mi sembra una possibilità piuttosto remota visto le severe leggi che in ogni nazione regolano i depositi di sangue. Non riesco ad immaginare un laboratorio in Inghilterra, in Francia o in altri paesi europei che si possa prestare a queste pratiche.

I farmaci invece sono più facili da trasportare se devo spostarmi spesso di nazione in nazione?

 

Io non saprei proprio come eludere i controlli doganali negli aeroporti (ad esempio) trasportando farmaci dopanti. Poi c’è chi riesce a trasportare chili di droga e a farla franca.

È possibile secondo lei che gli atleti più ricchi possano avere la possibilità se lo volessero di organizzare una 'struttura' che li aiuti in tal pratica ematica dopante senza così appoggiarsi a centri o laboratori consenzienti?

 

Una persona con grandi possibilità economiche potrebbe in teoria avere la possibilità di allestire uno spazio con la strumentazione adatta per la conservazione del sangue. Tuttavia, c’è bisogno per gestire un laboratorio del genere di personale qualificato esperto in medicina trasfusionale. Non è certo una cosa che si può fare in casa propria senza passare inosservati. La via più praticabile è appoggiarsi a qualche centro specializzato consenziente. Ma come ho detto prima per atleti che viaggiano molto e si spostano in località diverse ogni settimana come i tennisti è necessaria un’organizzazione così precisa e meticolosa da rendere improbabile il ricorso a una tale pratica durante la stagione.

Com’è la legge italiana in materia di doping?

 

La legge dello stato italiano contro il doping è molto severa ed è stata presa ad modello anche da numerosi altri stati. Ad esempio basti pensare che da noi è punita anche la detenzione di sostanze dopanti ed è addirittura considerato doping l’uso di camere ipobariche, mentre all’estero è prassi comune al posto dell’allenamento in altura.

In conclusione a questa intervista vuole aggiungere qualcosa? Lanciare un messaggio?

 

La mia preoccupazione è sempre l’eccessivo interesse e curiosità che questi argomenti suscitano soprattutto in chi pratica sport. Sarebbe importante invece si capisse che parlare di doping equivale a parlare di droga, di sostanze illegali, di qualcosa al di fuori della legge, di una cosa di cui vergognarsi.

Questo è il messaggio che i dirigenti e gli allenatori dovrebbero diffondere soprattutto a livello giovanile, dove il concetto di legalità e di rispetto delle regole dovrebbe il principio fondamentale da far acquisire nelle categorie giovanili.

A livello professionistico vanno invece fatti controlli sempre più frequenti e soprattutto a sorpresa, fuori dalle competizioni ed in caso di riscontro di positività le pene devono essere sempre più severe, devono prevedere il pagamento di grosse multe ma soprattutto periodi di squalifica sempre più lunghi.

Dato che questi controlli sono molto costosi si dovrebbe obbligare ciascun tennista professionista a destinare una percentuale dei propri guadagni alla lotta al doping.

Con controlli sempre più precisi e frequenti bisogna arrivare alla situazione in cui doparsi sia svantaggioso per l’atleta in quanto la possibilità di venir scoperto sia sempre più elevata e che porti a gravi danni economici ed alla fine della carriera agonistica.

Claudio Gilardelli

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Helena Sukova recupera uno svantaggio di 0-5 nel primo set prima di sconfiggere Martina Navratilova 7-6, 6-3 nella finale del torneo di Eastbourne, interrompendo la striscia record di 69 incontri vinti consecutivamente dala Navratilova sull’erba inglese.

 

Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker