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04/07/2010 13:59 CEST - Wimbledon

Zvonareva, una nuova maturità

A parte qualche manifestazione di isteria nella finale di doppio, Vera Zvonareva ha dimostrato di essersi messa alle spalle l'immagine di "bambina che piange", anche grazie allo studio e al nuovo coach Sergei Demekhin, suo ex partner di doppio che ha fatto anche il modello. Alessandro Mastroluca

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A Wimbledon 2010 Vera Zvonareva si è tolta, almeno fino alla finale di doppio, il peso del soprannome che le hanno dato i russi: “Verunchik”, “la bambina che piange”.

E le manifestazioni di isteria e frustrazione, comprensibile dopo la “doppietta negativa” che l'ha vista perdere in fila due finali a Wimbledon, non possono oscurare la crescente maturità della russa, arrivata più tardi di sue coetanee e connazionali, come Svetlana Kuznetsova, al pieno riconoscimento internazionale nei grandi tornei.

Figlia di sportivi (il padre Igor Zvonarev giocava nella Dynamo Mosca nel campionato nazionale di Bandy, una sorta di hockey russo, la madre Nataliya Bykova è stata bronzo olimpico a Mosca '80 nell'hockey prato), Vera inizia a giocare a tennis a sei anni allo Sports Club Chajka, a Mosca. Rimane più uno svago che uno sport per lei finché non viene chiamata a fare la raccattapalle alla Kremlin Cup a Mosca, dove incontra il suo idolo, Evgeny Kafelnikov.

Si rivela nel 2003, quando raggiunge i quarti al Roland Garros. L'entità del potenziale e del talento è innegabile, come l'efficacia del suo rovescio a due mani, il suo impegno ammirevole, ma per anni Vera si fa notare più per le sconfitte al terzo set e per gli scoppi di pianto improvviso che per il prestigio dei risultati.

Pur essendo entrata nelle top-50 nel 2002 ed essere stata per gran parte del tempo da allora una top-25 ed essere diventata una stabile top-10 negli ultimi due anni, ha dovuto aspettare Indian Wells 2009 per vincere il suo primo torneo Tier I, dopo aver conquistato 10 titoli in eventi minori. E solo al 30mo Slam, a Wimbledon (dove in sette apparizioni non era mai andata oltre gli ottavi) è arrivata la sua prima finale in un major: solo Zina Garrison (34), Francesca Schiavone (39) e Nathalie Tauziat (42) hanno impiegato più tempo di lei.

Sono quattro i fotogrammi che meglio di altri possono spiegare chi è “Verunchik” in campo. A San Diego, nel 2004, ha iniziato a sbattere la racchetta a terra, ancora e ancora, a tirare palline oltre la clubhouse e piangere senza contegno dopo che Anastasia Myskina aveva annullato nove match point e vinto un match incredibile 6-2 6-7(4) 7-6 (15). Un mese dopo, agli Us Open, Vera ha passato buona parte degli ultimi due set a piangere durante i cambi di campo.

I due più recenti sono anche più facili da ricordare: i pezzi di fasce e cerotti che si strappava istericamente dopo aver fallito i sei match point con Flavia Pennetta agli Us Open del 2009 e la racchetta trasformata in una ciambella, piegata in due e lanciata verso la panchina in finale contro Sam Stosur a Charleston sono ormai dei classici su YouTube.

“Il tennis è uno sport emotivo” ha detto in conferenza stampa, “se non hai emozioni non sarai mai capace di vincere. Le emozioni sono positive, dimostrano che ci sei, che prendi seriamente quello che fai, che stai dando il massimo. Non importa quello che mostri, conta quello che hai dentro, se credi in te stessa o no, se sai o no cosa dire a te stessa. Se spacco una racchetta non vuol dire che smetto di giocare”.

Vera è sempre riuscita, contrariamente ad altre (come Nicole Vaidisova), a mantenere attivo il lungo filo che passa tra la mente e la racchetta e a non lasciare mai del tutto che la sua indole facesse deragliare la sua carriera.

Nei suoi tempi di maturazione hanno avuto un ruolo non secondario gli infortuni, al polso nel 2006 e alla caviglia nel 2009, quando le è stato asportato del tessuto cicatriziale e durante la riabilitazione ha incontrato l'attaccante olandese dell'Arsenal Robin Van Persie.

26 anni il prossimo 7 settembre, Vera Zvonareva ha riempito i periodi vuoti fuori dal campo con lo studio. “Ho sempre bisogno di mantenere la testa impegnata ha detto” la russa, che Lindsay Davenport considera una delle giocatrici più riflessive del circuito.

Proprio dopo il primo stop il suo coach le suggerì di provare a studiare: Vera prese un diploma in educazione fisica. La curiosità le è rimasta e adesso sta prendendo una seconda laurea, in relazioni economiche internazionali in un'Accademia diplomatica del Ministero degli Affari Esteri russo.

“Non è un corso online, quando torno in Russia devo seguire i corsi e dare gli esami” ha spiegato Vera, che è stata nominata a fine 2009 “promotore dell'uguaglianza tra i sessi” (Promoter of Gender Equality) dall'UNESCO.

Nella nuova tranquillità e maturità di Vera conta anche il nuovo coach. Dopo aver assunto per un breve periodo il portoghese giramondo Antoni Van Grichen (ex coach dell'amica Vika Azarenka), ed essersi fatta aiutare a Charleston da Sam Sumyk, che adesso è all'angolo proprio della Azarenka, ora gira con l'amico Sergei Demekhin. Lui si è allenato in passato con Castellani ed è stato anche modello per la Abercrombie & Fitch, con cui ha vinto i campionati russi in doppio misto, che funge da coach e da sparring partner.

“Non mi interessa quello che la gente dice. Credo sempre in me stessa e so che se gioco al meglio posso battere chiunque”.

Contro Serena non le è riuscito. “Sono una perfezionista” ha detto in conferenza stampa, “voglio riuscire a fare tutto bene e subito. Per me aver perso in finale non è un risultato favoloso”. Ma risultati favolosi, anche per lei, sono all'orizzonte per Vera. Basterà solo non alzare ancora troppo il livello delle aspettative verso se stessa.

Alessandro Mastroluca

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker