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19/07/2010 14:40 CEST - ATP BASTAD

Verdasco: un salto a metà

La sconfitta di Bastad si somma a quelle ben più gravi rimediate tra Parigi, Wimbledon e Coppa Davis. Un aspirante top-5 con limiti ancora importanti, che potrebbero comprometterne un’ulteriore crescita. Riuscirà a superarli? Mauro Cappiello

 

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Fernando Verdasco
Fernando Verdasco

Che fine ha fatto il “nuovo Fernando Verdasco”? Dov’è finito quel giocatore che all’inizio dell’anno scorso, sulle ali dell’entusiasmo per il successo in Davis, raggiungeva le semifinali dell’Australian Open superando Murray e Tsonga e perdeva solo da Nadal al quinto set in una delle più belle partite della stagione? Proprio all’indomani di quella prestazione tanto dirompente quanto inattesa, la stampa e le tv celebravano la definitiva uscita del tennista di Madrid dal rango dei comprimari e il suo avvicinamento alla categoria dei più forti. E in effetti i risultati sono arrivati: l’ingresso tra i primi 10, la qualificazione al Masters del 2009 e la finale al 1000 di Montecarlo quest’anno.

Ma chi si aspettava di vedere spesso e volentieri un Verdasco stile Australian Open è forse rimasto deluso. La classifica, infatti, non mente e se lo spagnolo è tra i top-10 vi è certamente con merito. A vederlo in campo oggi contro Robredo a Bastad ed esaminando l’ultima serie di prestazioni deludenti (tre sconfitte nelle ultime tre uscite in singolare, prima di questa settimana, tra Roland Garros, Wimbledon e Coppa Davis), si possono tuttavia fare diverse considerazioni che confermano come i suoi progressi, pur evidenti, non siano bastati per trasformarlo, se non in un campione, almeno in un giocatore vincente.

I progressi col guru di Andre Agassi
L’ascesa di Verdasco inizia a metà 2008, quando il madrileno, all’interno del team adidas, entra in contatto con Gil Reyes, l’amico ed ex preparatore atletico di Andre Agassi, idolo di infanzia di Fernando. Saranno innanzitutto le sessioni di fitness con Reyes a determinare un forte miglioramento della sua preparazione fisica e, conseguentemente, del suo gioco. Dal punto di vista atletico, Fernando parte già da un’ottima base, ma Reyes vuole che lui sia in grado di «reggere per quei quattro, sei, dieci colpi in più. Questa generazione ha innalzato gli standard e la copertura del campo ha raggiunto livelli surreali. Si sprinta, si schiaccia sui freni, si sprinta di nuovo, partendo e fermandosi in maniera violenta. E mentre gambe deboli comandano, gambe forti obbediscono». Questo è il credo di Reyes che in breve tempo porta Verdasco a un livello di resistenza e di continuità mai espresso prima, al punto da far dire al guru di Las Vegas che «sebbene non sia un ragazzino, la sua fame di vittorie e la sua prontezza mi ricordano quelle di un certo teenager che frequentava la mia palestra una ventina d’anni fa. Ha esattamente lo stesso sguardo negli occhi».

Sul piano del gioco, il dritto di Verdasco faceva già i buchi. È la persistenza con la quale lo tira vicino alle righe l’elemento nuovo. Per il resto meno errori, un rovescio che «per lui non è più uno svantaggio» (parola di Novak Djokovic), anche perché ora è supportato da una migliore posizione dei piedi, e un servizio più solido. D’altra parte, i problemi di Verdasco, fino al 2008, non erano tanto nel gioco quanto nella testa. Secondo Emilio Sanchez «in passato bastava un niente per buttarlo giù e fargli concedere tre, quattro o cinque punti, a volte anche di più, scivolando via dal match prima di riprendere il giusto atteggiamento». I primi mesi del 2009 ci hanno proposto un Verdasco più attento, ma la stagione in corso ha dimostrato che sotto questo aspetto il lavoro da fare è ancora tanto.

Ancora cali di concentrazione
«Sa giocare molto bene. Se è concentrato, i suoi colpi sono incredibili. Riesce a esprimersi a un livello molto alto». Questo diceva di Verdasco Rafa Nadal, il giorno prima di lasciargli solo un game nella finale del torneo di Montecarlo. Ed è quel «se è concentrato» il punto chiave delle sue parole. Il black out, il venir meno nei momenti clou, una volta il difetto principale di Fernando che sembrava superato a inizio dell’anno scorso, rimane una caratteristica che di tanto in tanto ancora riaffiora.

In Coppa Davis, ad esempio, ogni qual volta è mancato Nadal, Fernando ha patito più del dovuto il ruolo di numero 1 spagnolo. La vittoria in cinque set contro Acasuso nella finale del 2008 non ha evidentemente allontanato il timore che comporta la responsabilità di indossare da leader la maglia delle Furie rosse. Solo una vittoria al quinto l’anno scorso nei quarti di finale in casa con la Germania, contro il modesto Andreas Beck, dopo essersi trovato addirittura sotto due set a uno. Contro Philipp Kohlschreiber finì invece battuto alla distanza. La settimana scorsa con la Francia, ancora nei quarti di finale, ci si è messa anche la superficie particolarmente veloce di Clermont Ferrand, ma le sue prestazioni sono parse davvero titubanti. Dopo due set svagati, nel match in coppia con Lopez che lo vedeva opposto a Benneteau-Llodra, proprio un suo doppio fallo nel tie-break del quarto ha fatto sfumare il tentativo di rimonta della Spagna e ha consegnato la sfida ai transalpini.

Sudditanza verso i top player
Verdasco dice che il vero passo in avanti lo ha fatto dal punto di vista dell’autostima. «Il mio livello di fiducia è più importante di qualsiasi miglioramento tecnico». Perché allora contro i migliori finisce il più delle volte sconfitto, dopo essere arrivato a un passo dalla vittoria? Forse è un segno che non ci crede davvero fino in fondo.

A Montecarlo ha giocato la sua prima finale in un 1000. Proprio in quello che, tra i nove grandi tornei, è il più negletto dai giocatori di vertice, e probabilmente non è un caso. Quando ci sono i top-player, raramente Fernando riesce a causare la sorpresa. L’anno scorso, nei Masters 1000, per sei volte su nove ha incontrato un giocatore compreso nei primi 10, senza mai riuscire a vincere. Alle ATP World Tour Finals 2009 a Londra ci è andato vicinissimo: tre match molto lottati contro Federer, Del Potro e Murray, tre sconfitte. Con nessuno degli attuali primi dieci al mondo il mancino di Madrid ha un record positivo. I bilanci contro Nadal (0-10), Roddick (3-9) e Davydenko (1-7) sono poi decisamente in perdita.

Limiti di programmazione
Nizza 2010. Verdasco gioca (e perde) contro Gasquet la finale del torneo 250, sprecando le energie residue dopo una dispendiosa stagione sul rosso e compromettendo così le sue chance di fare bella figura al Roland Garros. Reduce da una vittoria, una finale e una semifinale sulla terra battuta, nonché da un leggero infortunio che aveva condizionato la sua prova nel torneo di casa a Madrid contro Melzer, avrebbe potuto sacrificare la settimana in Costa Azzurra, in vista di obiettivi più significativi. Invece ha preferito sfiancarsi, mandando all’aria il Roland Garros (contro Almagro negli ottavi non stava in piedi). È arrivato poi a Wimbledon, torneo al quale per sua stessa ammissionetiene ancor più che a Parigi, senza aver giocato nemmeno un match su erba e nel primo turno contro Fognini aveva ancora le vesciche ai piedi.

Sulla terra, quest’anno, il madrileno ha giocato, prima della settimana in corso, ben 27 incontri, rispetto ai 22 di Nadal. Il numero 1 del mondo, dopo i guai dell’anno scorso, ha capito di dover limitare la sua ingordigia sul rosso, Verdasco ancora non lo ha fatto. Questa settimana, infatti, lo abbiamo ritrovato a Bastad per giocare un torneo che, tra i big, dovrebbe interessare solo a Soderling, padrone di casa in Svezia, mentre avrebbe fatto meglio a ricaricare le batterie in vista della stagione sul cemento. Una programmazione troppo “spagnoleggiante”, ovvero con abbuffata di match sulla terra per poi crollare quando più conta, rappresenta un forte limite di gestione per un giocatore che mira a traguardi ambiziosi.

Mancata conferma
Come afferma questo articolo su Bleacher Report, «Verdasco dal giocatore che arriva sempre al quarto turno sembra essersi trasformato in un solido quartofinalista». Quello che però molti considerano uno «huge improvement» (un «enorme miglioramento»), potrebbe non essere abbastanza per chi si aspettava di avere un nuovo potenziale aspirante ai top-5. E anche per lo stesso Verdasco, che considera l’ingresso nel quintetto di testa un obiettivo stagionale. La grande prestazione australiana, però, più che segnare la nascita di una stella, sembra essere stata una sorpresa isolata. Il vero colpaccio non è più arrivato, a meno che non si consideri tale l’aver battuto due volte in tre settimane il Djokovic falloso e incerto ammirato quest’anno sulla terra battuta.

Con i suoi cinque titoli, Verdasco è il giocatore che ha sollevato il minor numero di trofei tra i primi dieci, insieme a Soderling e Berdych, entrambi però più giovani di lui e in piena ascesa. È vero che nell’ultimo scorcio di carriera Fernando ha vinto più tornei che negli otto anni precedenti. È però anche vero che il solo successo di un certo peso è arrivato quest’anno a Barcellona, contro Soderling. Nelle prove dello Slam le sue prestazioni sono andate in calando. Piuttosto bene l’anno scorso a Wimbledon e US Open, benino quest’anno in Australia, decisamente male a Parigi e Wimbledon 2010.

Ma il cemento è alle porte. Proprio su questa superficie, l’anno scorso Verdasco dimostrò di poter essere un giocatore diverso, lui che è un terraiolo atipico, essendo cresciuto a Madrid, dove l’altitudine fa viaggiare le palle più velocemente. Chissà che Verdasco non riesca a recuperare condizione e convinzione per mettere di nuovo a segno il grande risultato.
 

Mauro Cappiello

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker