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22/07/2010 14:31 CEST - Rassegna Stampa del 22 Luglio 2010

La Federtennis al verde obbliga agli straordinari perfino i ragazzini (Rossi), La battaglia del “c’moon!” (Bisti)

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Rubrica a cura di Daniele Flavi

La Federtennis al verde obbliga agli straordinari perfino i ragazzini

Massimo Rossi, libero del 22.07.10

Ha creato subbuglio nel movimento tennistico giovanile nazionale, la notizia di una delibera federale dei giorni scorsi secondo la quale dal 2011 nessun ragazzino dai 10 ai 13 anni potrà essere convocato per i campionati a squadre - rispettivamente la Coppa delle Province per i più piccoli e la Coppa Belardinelli per i più grandicelli - se non sarà stato ospite (pagante) di un centro estivo federale nell'anno precedente per almeno una settimana: costo circa 500 euro. In poche parole, considerato che i centri federali estivi stanno per chiudere, tutti i ragazzini in odore di convocazione da parte delle loro province o regioni per le rispettive rappresentative - e sono tanti - dovranno precipitarsi a cercare un posto in uno dei centri federali, per non perdere la chance di essere convocati e mettersi in mostra a livello locale per essere poi selezionati per rappresentative superiori, magari chissà, fino alla Davis. Parimenti i genitori di questi giovanissimi dovranno cambiare i programmi delle vacanze e trovare le energie e i fondi necessari. Sia chiaro, il problema non sta solo nell'intempestività, per questo primo anno, della decisione. Appare infatti grave che la nostra Federazione abdichi al diritto-dovere di selezionare i propri atleti più giovani secondo il loro livello tecnico e agonistico, in favore di un criterio meramente commerciale, utile solo a rinsanguare le casse federali, probabilmente messe in crisi da altre iniziative costose ma poco redditizie come - ma non solo - il canale televisivo satellitare. Non è certamente così che si favorisce la leva di nuovi giocatori e di futuri campioni, ed è anche attraverso queste scelte che ci si assume la responsabilità di una situazione del nostro tennis di vertice che sta diventando drammatica. Per il buon funzionamento di una federazione è importante che i conti siano a posto, ma ancor più importante è scegliere come incassare denaro e come spenderlo. Il magazine Tennis Italiano ha dato notizia di una voce (mi auguro infondata) secondo cui Giudici Arbitri dei tornei minori sarebbero stati sollecitati da certi comitati regionali a sanzionare di più i partecipanti per incassare i soldi delle ammende, e in effetti si registrano pene anche di 450 euro ciascuno a giocatori colpevoli di reciproche offese e mancata stretta di mano a fine match. Questo non sarebbe un bel modo di far fare soldi alla federazione, ma anche spendere male è sbagliato, come - ma non solo - l'esagerato premio elargito alla Schiavone per la prima e unica vittoria in uno Slam.

La battaglia del “c’moon!”

Riccardo Bisti,
www.tennisbest.com dl 21.07.10


Durante l’Australian Open 2005, Antonio Costanzo (ex commentatore di Eurosport) si mise persino a contarli, uno per uno. Loro erano i vigorosi “Come On!” di Lleyton Hewitt, meglio definibili come “C’mooooon!!!”. Urlandone oltre 100, l’australiano giunse in finale (non senza qualche polemica: Juan Ignacio Chela arrivò addirittura a sputargli addosso!) prima di perdere da Marat Safin. Fu allora che nacque il mito del “C’moooon!!!”, l’urlo animalesco di Isterix, Canguro Mannaro e chi più ne ha più ne metta. Si è talmente immedesimato nel ruolo da pensare di registrare il marchio e lucrarci sopra. In fondo gli era andata bene qualche anno fa, quando era riuscito ad appropriarsi del “Vicht”, altro gesto d’esultanza (lo si effettua puntandosi la mano aperta in direzione del viso, una specie di "becco d'anatra"). Il fatto è che il marchio apparteneva a un paio di giocatori svedesi di qualche anno fa: Mats Wilander, ma soprattutto Nicolas Kroon, che ne era stato l’inventore ma si era “tragicamente” dimenticato di rinnovarne la proprietà. E così Lleyton se ne è impossessato.

LHM perde ma promette battaglia
Chi la fa l’aspetti. Hewitt pensava di fare altrettanto con il suo “C’mooonnn!”, invece qualcosa gli è andato storto. Josh Shiels, piccolo imprenditore di Brisbane nato in Irlanda, ha alzato il ditino e ha detto: “Eh no, caro Lleyton. Quei diritti li ho io”, e il tribunale gli ha dato ragione. Qualche giorno fa, l’Intellettual Property australiana (una specie di SIAE) si è pronunciata contro la società di marketing di Hewitt, la quale sosteneva che Shiels stava cercando di rovinare la reputazione del tennista. I legali di Hewitt sostenevano che il comportamento di Shiels andava ben oltre gli standard di un accettabile comportamento in regime di concorrenza, e che comunque il "C'mooon!" riconduce immediatamente a Hewitt. Il giudice Claudia Murray ha rigettato l’istanza sostenendo che Shiels ha “chiaramente dimostrato” che dal 2004 fa un “genuino uso commerciale del logo”. Ha inoltre imposto al LHM (Lleyton Hewitt Marketing) di pagare le spese processuali. La decisione non è stata serenamente accolta dal clan Hewitt, che ha promesso una viva battaglia legale. “Temiamo che questa battaglia sarà molto più lunga di Isner-Mahut a Wimbledon” ha detto Shiels dopo aver parlato con i suoi legali “La mia famiglia è stata trascinata da un tribunale all’altro negli ultimi anni. E’ dura sia mentalmente che finanziariamente, specie quando si ha alle spalle una piccola impresa”. Va detto che Shiels ha versato parecchie migliaia di dollari in spese legali. Per un campione miliardario come Hewitt sono noccioline, ma per un semplice cittadino non è esattamente la stessa cosa.

Si ripete la storia del Vicht?
Shiels, insieme alle figlie Aisling e Aoife, ha un sogno: creare un grande brand sportivo australiano, così forte da poter fronteggiare i colossi Nike e Adidas, ma la battaglia legale con il clan Hewitt lo ha fatto piombare in un incubo. La piccola ditta di Shiels ha creato un logo stilizzato intorno alle parole “Come On”. L’idea è nata prendendo spunto da un vecchio slogan degli sportivi australiani, che durante le World Series di cricket nel 1978 erano soliti cantare “C’mon Aussies C’mon”. Dopo essersi assicurati i diritti del marchio, hanno creato una serie di t-shirt di vari colori, ciascuna in rappresentanza di una nazione. Hanno aperto una bancarella al South Bank Market di Brisbane, con la speranza di diffondere un marchio di cui tutti gli australiani potessero essere orgogliosi. Qualche mese dopo andarono a Melbourne durante l’Australian Open per vendere e regalare magliette, cappellini ed altri gadget. Il successo non è stato travolgente, ma nel frattempo hanno registrato il logo in Australia, Giappone, Stati Uniti e 26 paesi in giro per l’Europa. Tra i più accaniti sostenitori di Shiels c’è Mats Wilander: il campione svedese, vincitore di sette Slam negli anni 80, non ha ancora digerito lo “scippo” del “vicht”. Lui e Kroon avevano registrato il marchio nel 1988, ma qualche anno fa dimenticarono di rinnovarne la proprietà. La "Lleyton Hewitt Marketing” era lì, dietro l’angolo, e ne ha immediatamente approfittato. Un gesto poco elegante ma esemplare, almeno sul piano legale.

Disgustoso cinismo
Non comprendiamo, al contrario, è la veemenza con cui stanno cercando di appropriarsi di un marchio già registrato, rovinando la serenità di una famiglia che, come stabilito dal tribunale, sta facendo un “genuino uso commerciale” del “C’mooon!” dal 2004. Possibile che Hewitt non possa fare a meno di questo “copyright”? In 13 anni di carriera, il campione australiano ha guadagnato quasi 19 milioni di dollari di soli premi ufficiali, cifra che si può tranquillamente triplicare (se non di più) con tutte le sponsorizzazioni. Hewitt è testimonial Yonex sia per l’abbigliamento che per le racchette, tanto che la casa giapponese ha messo in commercio una t-shirt con scritto “Come On” in un logo che riporta anche il gesto del “vicht”. Tra gli sponsor principali di Hewitt c’è anche “Eswap”, una specie di E-Bay australiana, e “Phiten”, ditta che vende collari, cerotti e fasciature. Insomma, l’impressione è che il buon Lleyton (in questi giorni impegnato al torneo ATP di Atlanta) guadagni abbastanza per mantenere serenamente se stesso, la moglie Bec, i figli Mia Rebecca e Cruz e almeno un paio di generazioni. L’australiano non ci sembra neanche così stupido o crudele. Perché, allora, incaponirsi su una battaglia così orrendamente cinica?
 

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker