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06/08/2010 14:33 CEST - Dibattiti

Il gioco di volo? Risorgerà!

Lo dice addirittura il re del serve and volley Stefan Edberg, in un’intervista uscita sul numero di agosto del mensile tedesco Tennismagazin. Il campione svedese però non rimpiange i suoi tempi: «Il tennis di oggi è meno vario, ma comunque migliore». Mauro Cappiello

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Stefan Edberg
Stefan Edberg

Il serve and volley è definitivamente morto? «Credo di no». Parola di Stefan Edberg, e forse se lo dice lui c’è veramente da fidarsi. 72 settimane al numero uno del mondo, nove titoli del Grande Slam (sei in singolare e tre in doppio) conquistati sempre all’attacco, il grande ex campione svedese è rimasto un modello inimitabile del gioco classico, basato sul tocco e sulla ricerca della soluzione a rete. Per questo il suo parere, che emerge da una lunga e bella intervista rilasciata a Tennismagazin e uscita sul numero di agosto della rivista specializzata tedesca, merita di essere seriamente preso in considerazione. Così come merita di essere letta l’intera intervista, molto diversa da quelle tipiche di Edberg.

Si può dire, infatti, che l’ex numero uno del mondo sia di solito tanto divertente e spumeggiante nel gioco, quanto scontato e formale nelle dichiarazioni. Del resto lo dice lui stesso: «Il mio motto è sempre stato: è meglio non dire niente che troppo». Troppo educate e improntate al politically correct le sue parole per “fare notizia”, specialmente se paragonate alle conferenze stampa sempre roboanti e fuori dal coro del suo eterno rivale Boris Becker. Questa volta invece no. Dalla sua chiacchierata con Tim Böseler si possono estrapolare alcuni pensieri molto interessanti sul gioco di oggi e del futuro e sulla situazione del tennis svedese. E alcuni spaccati di vita privata e famigliare che vengono fuori dall’intervista strappano un sorriso.

L’evoluzione del gioco
Con il suo tennis tutto proiettato a rete oggi Edberg avrebbe «un enorme vantaggio: i tennisti non sarebbero abituati al mio stile dal momento che nessuno gioca più serve and volley. Perciò questo li sorprenderebbe. Ma il gioco è totalmente cambiato. Oggi va tutto più veloce, anche se i campi hanno subìto un rallentamento. Per un giocatore d’attacco è un incubo. Ha bisogno di rimbalzi veloci sul servizio. Specialmente quando, come facevo io ai miei tempi, serve con molto kick. I giocatori di oggi sono molto più forti alla risposta di quelli dei miei tempi. I tennisti d’attacco non avrebbero via di scampo».

Contrariamente a quanto questa dichiarazione lascerebbe pensare, Edberg è però tutt’altro che catastrofico sulle sorti del suo amato stile di gioco. «In futuro i giocatori di potenza da fondocampo – continua il due volte vincitore di Wimbledon – che sapranno venire a rete coi tempi giusti dietro al servizio saranno i tennisti dominanti. Dal momento che nessuno usa davvero il serve and volley, oggi il gioco di risposta è diventato abbastanza prevedibile: mettere la palla in campo, preferibilmente profonda. Ma se il giocatore al servizio attaccherà più spesso, questo non sarà più sufficiente. Sarebbe facile colpire al volo la risposta. Ciò significherebbe un tipo di gioco del tutto nuovo».

Sarebbe un rilancio di un tennis più vario, mentre oggi «tutti giocano in maniera simile». Ma quando gli si chiede se ai suoi tempi si giocasse meglio di ora, Stefan non ha dubbi: «Il tennis come sport si è evoluto in maniera enorme negli ultimi anni, è diventato più atletico, più veloce, più preciso e quindi migliore. Ai miei tempi c’erano giocatori molto forti, ma in qualche modo tutti avevano un punto debole. Federer e anche Nadal non hanno più punti deboli».

Tuttavia, perché il gioco di volo ritorni in qualche modo in auge c’è bisogno di tempo e soprattutto di un cambio di mentalità dei coach: « Se improvvisamente provi a insegnare come usare il serve and volley a un giocatore di 20 anni, che ha giocato da fondo per tutta la sua vita tennistica, non funzionerà. Il gioco d’attacco è qualcosa di naturale, che ha bisogno di essere coltivato. Oggi gli allenatori non hanno tempo e pazienza per farlo». Rimane il dubbio se in futuro i maestri abbiano davvero la voglia di modificare un tipo di impostazione del tennis nei giovani che al momento si rivela il più redditizio.

Australian Open 2002: per la Svezia vittoria a impatto zero
Edberg, che abbandonò in gioventù la presa bimane del rovescio per diventare un giocatore d’attacco proprio in seguito al consiglio di un coach illuminato, Percy Rosberg, non parla per semplice nostalgia dei tempi andati, ma per esperienza diretta. Il suo punto di osservazione sul gioco di oggi è sicuramente privilegiato. Con la sua fondazione per il tennis svedese ha finora raccolto quasi 450mila euro, distribuiti negli anni ai giovani più promettenti della sua nazione attraverso borse di studio. L’ex numero uno del mondo vede i ragazzi allenarsi, gioca spesso contro di loro e quindi conosce perfettamente il modo in cui sviluppano il loro tennis.

Oggi, per i giovani svedesi, il nuovo idolo tennistico è Robin Söderling. Grazie a lui, i Vichinghi stanno tentando lentamente di risalire dal buio tennistico degli ultimi anni. Un giocatore tra i primi dieci e poi il vuoto per una nazione che nel 1987 annoverava ben tredici top-100. Un declino così forte che l’anno scorso, alla vigilia della sfida di Davis con Israele, si vociferò addirittura di una possibile convocazione dello stesso Edberg da parte del capitano Mats Wilander.

Söderling ha avuto il merito di rilanciare in Svezia l’interesse per il tennis, che con la crisi degli ultimi anni è stato distanziato in popolarità dal calcio e dall’hockey su ghiaccio.

Nell’ultima decade nessuno ha portato allo sport della racchetta nel Paese scandinavo la linfa vitale che gli ha dato il gigante di Tibro con le sue imprese degli ultimi due Roland Garros. «La vittoria di Thomas Johansson all’Australian Open (nel 2002, ndr) non ha interessato nessuno – sentenzia Edberg –. Il fatto che Söderling sia stato capace di battere il re della terra battuta Nadal a Parigi è stato di tutta un’altra dimensione. È stata la storia perfetta che ha interessato tutti. Gli svedesi improvvisamente guardavano il tennis nei bar e nei caffè per strada. Söderling non ha vinto ancora un torneo importante, ma i giornali sono pieni di articoli su di lui. Ai miei tempi avevamo un sacco di giocatori svedesi forti, ma i giornalisti sbadigliavano quando uno di noi entrava nei top-10».

«Lavo i piatti e faccio il bucato»
Nonostante dia una mano alla Federazione svedese con la sua fondazione e partecipi ad alcuni appuntamenti del Senior Tour (il prossimo il 1° ottobre a Parigi), Stefan Edberg oggi conduce una vita molto distante dal tennis. Si allena ancora tre volte a settimana, ma la sua giornata tipo prevede impegni diversi. Stefan possiede 40 ettari di foresta nella campagna di Vaxjo, città di origine nella moglie nella quale si è trasferito dopo aver vissuto a lungo a Londra, e vende legname all’industria della carta. In più, è proprietario, insieme ad altri soci, di una compagnia di investimenti, la CASE, che solo l’anno scorso ha riportato un profitto di quasi un milione e mezzo di euro. Per il resto «lavo i piatti e faccio il bucato. All’estero a volte gli uomini mi guardano in modo strano quando me lo sentono dire. Ma non mi dà fastidio. Non voglio fare l’uomo che porta soltanto i soldi a casa».

Nonostante abbia guadagnato più di 20 milioni di dollari in soli premi vinti Stefan è rimasto la persona timida e introversa che era da bambino: «A scuola sedevo sempre all’ultima fila, non alzavo mai la mano. Iniziavo a sudare ogni volta che un professore mi chiedeva di andare alla lavagna». Forse per questo i suoi fan, a distanza di quattordici anni dal suo ritiro, nutrono ancora per lui una stima immutata
 

Mauro Cappiello

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