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01/09/2010 17:21 CEST - Us Open

USTA: dove vanno
a finire i soldi?

Venti coach e tanti soldi non bastano a produrre un giocatore di livello. Harry Solomon, ex coach di Courier, Seles, Mary Joe Fernandez, Capriati e Kournikova dice: “Gli stranieri hanno fame, gli americani no”. Charles Bricker, trad. di Alessandro Mastroluca

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Ho avuto la sensazione che quella stracolma mucca da mungere che va sotto il nome di programma di sviluppo del tennis professionistico della USTA si sia decisamente ingrossato dalla sua implementazione ma...wow!

Stamattina, soprattutto dopo le incisive osservazioni di lunedì di Harold Solomn sull’incredibile spreco di denaro dell’USTA, ho provato a tracciare la tabella di marcia per il programma in continua espansione del General Manager Patrick McEnroe e ho pensato: “Ma c’è davvero la recessione in questo Paese?”

Quello che sotto l’impeto dell’ex dirigente dell’USTA Arlen Kantarian come un modesto programma con un pugno di coach, è diventato un mostro mangia-soldi.

Al vertice c’è McEnroe e su questo poche critiche: è stato un grande capitano di Davis e uno di quelli che ha davvero dato qualcosa al tennis americano.

Sotto di lui ci sono otto coach principali (Jose Higueras, Jay Berger, Ola Malmqvist, Leo Azevedo, Ricky Acuna, Jean Desdunes, Tom Gullikson and David Roditi) più altri cinque per gli uomini e altrettanti per le donne.

Fanno in tutto 20 coach e ci sentiamo più che mai in diritto di chiedere che cosa abbiano prodotto. Nel nostro Slam, gli Us Open, c’erano 35 americani, tra uomini e donne, nei due tornei di qualificazione, molti di loro naturalmente solo grazie a una wildcard. In tre sono riusciti a passare i tre turni e qualificarsi per il main draw: l’ex All American del Georgia Tech Irina Falconi, il giovane texano Ryan Harrison e il 30enne Robert Kendrick.

Nessuno di loro è stato sviluppato dall’USTA. Ora, si può obiettare che il programma iniziato solo da tre anni, ma per me è un tempo sufficiente per fare molto. Ma non sta succedendo e le prove sono evidenti. Il programma di sviluppo dell’USTA ha portato zero giocatori nell’Us Open.

Qualunque talento Irina Falconi abbia sviluppato, l’ha maturato in gran parte al Georgia Tech dove ha passato un paio di anni a maturare il suo tennis. Harrison è allenato dal padre, Pat, e dallo staff dell’IMG Academy di Bollettieri a Bradenton. Kendrick sarà 31enne il 15 novembre. Non esattamente il primo candidato per un qualsivoglia programma di sviluppo.

Qual è il problema per la USTA? Ascoltate Solomon, finalista al Roland Garros 1976 e a lungo tra i top-10 in carriera. “È un programma molto ambizioso, noi siamo una nazione molto grande. Ma quello che funziona in Francia e in Spagna non necessariamente funziona anche qui” ha detto Salomon. Il giocatore ha segnalato come l’USTA, che ha iniziato con un training camp a Boca Raton, ha aggiunto Carson, California, l’United States Tennis Center a Flushing, New York, dove si giocano gli Us Open, più una serie di centri satellite sparsi per la nazione. In aggiunta ai 20 coach e a varie segretarie e altro personale d’ufficio, ci sono altre 22 impiegati con compiti di supervisione e supporto per il programma.

Abbiamo davvero bisogno di spendere tutti questi soldi? Ne varrebbe anche la pena se producesse qualcosa, ma dove sono i risultati?

“Sono un po’ stupito che la gente non si stia lamentando” ha detto Solomon. “Dovrebbero tutti dire ‘State facendo bene il vostro lavoro? Se no, cosa dobbiamo fare e come possiamo migliorare?’”

Solomon ha la sua visione in materia e inizia puntualizzando che l’USTA non ha mai prodotto un top player. Andy Roddick? Ha speso la sua carriera da junior con un paio di coach privati. Mardy Fish? Era nello stesso gruppo di Roddick. Le sorelle Williams? Allenate da Rick Facci, in un’accademia privata in Florida, e dal padre Richard. John Isner? Quattro anni all’Università della Georgia. Sam Querrey? Coach privati in California.

“Tante accademie fanno un ottimo lavoro. La USTA dovrebbe solo certificare un’accademia basata su determinati criteri e permettere ai giovani tennisti di scegliere di andare dove vogliono, così la USTA non dovrebbe mettere su questa enorme burocrazia che sta diventando sempre più enorme. Esiste un modo molto meno costoso di fare le cose” ha detto Solomon.

C’è stato un tempo in cui la USTA, per una sorta di gelosia, proteggeva i ”suoi” giocatori minimizzando ogni tipo di contatti con le accademie private. Ma le cose sotto McEnroe sono cambiate. Un giocatore che ottiene il sostegno economico della USTA può andare da Bollettieri, da Nick Saviano a Sunrise o all’accademia di Solomon a Fort Lauderdale o da qualunque altra parte a patto che la USTA rimanga coinvolta.

Allo stesso tempo, la USTA mantiene la sua struttura a Boca Raton, all’Evert Tennis Academy, con tanto di dormitorio e caffetteria. Il problema, per come la vede Solomon, è semplice: è in gran parte uno spreco di soldi. Perché non lasciar fare alle accademie private quello che fanno meglio, cioè produrre giocatori?

“Questi ragazzi stranieri sono affamati, affamati, affamati” ha detto Solomon tracciando la differenza tra loro e gli americani. Non troppo tempo fa la USTA ha chiesto a Solomon di curare un camp di una settimana alla sua accademia per alcuni suoi prospetti.

“Ho cercato di guidarli attraverso quello che gli servirà per avere successo nel tennis professionistico, in quella settimana” ha spiegato. “E mi guardavano come se fossi matto. Davvero, non lo vogliamo fare, dicevano. Non erano abituati, non è nella loro cultura. Ed è questa cultura che dobbiamo cambiare nel tennis americano” ha detto Solomon.

Ha auspicato tornei nazionali junior con tabelloni più ridotti, riservati ai giocatori d’elite e non aperti a chiunque sappia tenere in mano una racchetta. Deve essere qualcosa di speciale, in cui arrivano solo i giocatori che si impegnano di più, che ci credono di più.

Quando Solomon è uscito dal college per diventare pro in una delle età dell’oro del tennis americano, se eri un top player negli Usa, eri un top-player mondiale. Eri temprato e molto impegnato. “Non voglio riferirmi a quel periodo come i bei tempi andati, ma se vincevi il primo set allora era altamente probabile che avresti portato a casa la partita. Eravamo mentalmente più forti dei nostri avversari da altre parti del mondo” ha detto.

Questa attitudine, ha concluso Solomon, è cambiata. “Scuoto la testa quando penso all’ultimo gruppo di americani. Avevamo sette ragazzi che avrebbero potuto entrare nei top-10 ma molti di loro non hanno avuto l’etica del lavoro necessaria a realizzare il loro potenziale”. Vengono fuori i nomi di Robby Ginepri, Taylor Dent e Mardy Fish.

Conosco Harold Solomon da anni. Non è il tipo anti-USTA che cerca di lanciare una battaglia contro qualcuno. È una delle menti più incisive e profonde nel mondo del tennis, un uomo che ha allenato Jim Courier, Monica Seles, Mary Joe Fernandez, Jennifer Capriati and Anna Kournikova.

La gente dovrebbe ascoltare quello che ha da dire. E non fermarsi all’ascolto, ma mettere in pratica i suoi consigli.
 

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker