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06/10/2010 10:10 CEST - Profili

Garcia Lopez: sempre e comunque Spagna

Il vincitore di Bangkok è l'ottavo spagnolo ad aggiudicarsi un titolo atp in questa stagione. Un movimento che la fa da padrone e che non si può ridurre al solo Nadal. Questa settimana sono in sette(!!!) gli spagnoli fra i primi 40 giocatori del mondo Roberto Paterlini

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Dici sport, e ultimamente pare che risulti automatico pensare alla Spagna. Sommi Spagna e sport, e l’idea si frammenta: ti vengono in mente il calcio, la formula 1, le moto, il ciclismo, il golf, il basket… e non per ultimo il tennis. Ma se metti assieme Spagna e tennis, l’immagine torna però unica e dalla tua bocca non potrà che uscire il nome di Rafa Nadal. La metafora più calzante sarebbe quella del buco nero - che attira a sé le stelle e i pianeti circostanti e li ingloba in un tutt’uno - ma lascerebbe spazio ad interpretazioni catastrofistiche che sembrerebbero strizzare l’occhio ad alcuni tifosi e mettere un dito in quello degli altri. Il concetto è che, accanto a Nadal, gli altri tennisti spagnoli scompaiono, un po’ come un branco di elefanti che, pur voluminosi e pesanti come è proprio di tali mammiferi, diventano trascurabili di fianco ad una balena azzurra... Ok, le figure retoriche non sono mai state il mio forte, ormai non serve più ammetterlo.

In questo articolo non parleremo di Rafa Nadal. Ci occuperemo invece degli altri 7 spagnoli - ed in particolare dell’ultimo - che quest’anno hanno vinto almeno un titolo sul circuito maggiore, e di cui nessuno solitamente si interessa: Feliciano Lopez (a Johannesburg, sul cemento); Fernando Verdasco (a San Josè, indor e sulla terra di Barcellona), Juan Carlos Ferrero (sulla terra di Costa do Sauipe, Buenos Aires e Umag) David Ferrer (Acapulco, sempre su terra), Albert Montanes (Estoril e Stoccarda, ancora su terra), Nicolas Almagro (Bastad e Gstaad, sempre rosso), and last but not least , o ultimo, ma non in ordine di importanza, Guillermo Garcia-Lopez, la scorsa domenica a Bangkok, di nuovo sul duro e al coperto. Sette giocatori, da questa settimana tutti compresi tra i Top-40, per un totale di 12 tornei, ai quali andrebbero aggiunte altre 6 finali (Buenos Aires, Acapulco, Monte-Carlo, Roma, Nizza ed Eastbourne, più quella di Andujar a Bucarest) e 19 semifinali, grazie anche ai comprimari Granollers, Robredo e Gimeno-Traver. Mica male come branco…

Verrebbe da dire che Garcia-Lopez è uno spagnolo atipico. Lo si ripete ogni volta che un iberico ottiene un buon risultato al di fuori della terra battuta, ma l’idea che vi sta dietro, pensandoci meglio, affonda le sue radici in un tempo nel quale gli spagnoli vincevano davvero solo sul rosso, ed erano, al di là dei gusti, genuinamente degli arrotini. Da quando però gli attaccanti puri non esistono più, le superfici pare si siano uniformate, e dopo almeno 13 anni durante i quali i sudditi di re Juan Carlos hanno vinto o si sono ben piazzati su tutti i campi - dalla finale di Moya all’Australian Open del 1997 alla semi di Verdasco nel 2009, passando attraverso un Master e tre finali, tre Masters Series, una finale a New York, più tante semifinali e quarti Slam che ormai non si contano più… sempre per non parlare di Nadal, - sembra fuori luogo sollevare la questione dell’atipicità solo perché un iberico ha vinto un torneo su una superficie rapida, giocando un tennis brillante ed offensivo.

Ciò che ha distinto la vittoria di Garcia-Lopez non sono stati infatti il campo o il torneo, ma - alla fine è inevitabile parlare sempre di lui - la partita di semifinale che l’ha visto superare il più illustre dei suoi connazionali, anche perché non avveniva dal 2007 - Mahut al Queen’s - che Rafa perdesse contro un giocatore fuori dai primi 50, e sappiamo benissimo quale sia il record del maiorchino nei confronti dei suoi compatrioti (era 3-0 anche con Garcia-Lopez, prima di sabato). Ancor più significativo, memorabile o incredibile è stato poi il modo in cui questa vittoria è maturata: dopo che il giocatore di La Roda aveva perso nettamente il primo set, salvando 24 palle break (su 26), trasformando la sua unica occasione per strappare il servizio all’avversario e restando aggrappato a quel piccolo vantaggio sino alla fine, apparentemente senza tremare; tanto che persino il numero uno del mondo nel dopo partita ha dovuto ammettere: “È una sconfitta difficile da digerire; un match così lo si perde una volta ogni due anni.”

Nato nel 1983 e professionista dal 2002, Garcia Lopez ha iniziato a farsi notare sul circuito maggiore a partire dal 2004, quando raggiunse la sua prima semifinale al torneo di Umag. Bissato quel piazzamento l’anno successivo a Chennai, sconfisse Carlos Moya (allora n° 5) all’Australian Open e fece il suo primo ingresso nei Top-100. Nel 2006 riuscì a prendersi lo scalpo di Andrè Agassi - vecchietto, allora, ma pur sempre Agassi - ma non ad ottenere sufficiente continuità di risultati sino al 2008, anno in cui raggiunse i suoi migliori piazzamenti nei tornei del Grande Slam: il 3° turno all’Australian Open e poi anche a Wimbledon. Nel 2009, dopo aver vinto il suo primo torneo ATP sulla terra di Kitzbuhel (battendo Phau, Vassallo Arguello, Hanescu, Youzhny e Benneteau), fece il suo ingresso per la prima volta tra i Top-50 del ranking, chiudendo la stagione al 41° posto.

Il suo 2010 è iniziato all’insegna del disastro: 5 sconfitte in altrettanti primi turni, sino ad Indian Wells, dove finalmente il catalano è riuscito a vincere 3 partite di fila (tra le quali contro Cilic, al tempo numero 9, e Bellucci, 32) e sull’onda di quelle a costruire una stagione senza infamia e senza lode, fatta di sconfitte (quasi tutte) contro giocatori più forti di lui e nessun’altra vittoria davvero significativa. A Giugno ha raggiunto una bella finale sull’erba di Eastbourne, dove a batterlo è stato quel genio incompreso (o forse solo incompiuto) di Llodra, ma a Wimbledon ha perso al primo turno, e un guaio alla caviglia l’ha successivamente tenuto fuori dal circuito praticamente per tutta l’estate, sino al rientro a Flushing Meadows e alla fortunata trasferta di Bangkok.

In Thailandia, dopo quella che lui stesso ha giustamente, e prevedibilmente, definito “la più grande vittoria della sua carriera”, Guillermo è stato in grado, solo il giorno dopo, di affrontare vittoriosamente la cosiddetta prova del nove, contro il finlandese Nieminen, e portare a casa il secondo titolo della sua carriera, dopo che nei turni precedenti aveva già sconfitto la testa di serie n°4, Gulbis, e la n° 8, Berrer. “È stata una settimana incredibile, dal primo turno alla finale,” ha dichiarato dopo aver sollevato il trofeo della capitala asiatica. “Ogni incontro è stato diverso, penso di aver giocato in un modo rilassato, mi sono divertito e tutto è stato perfetto. È difficile riuscire ad esprimere come mi sento.”

Quale sarà il futuro di Garcia-Lopez?

Pur senza la palla di cristallo, a 27 anni e dopo 8 stagioni di buon professionismo, sembra difficile che lo spagnolo possa trasformarsi all’improvviso in un batti-Nadal-a-tempo-pieno, o un protagonista da Slam, ma pare che nel suo braccio e nella sua testa vi sia la capacità di grandi exploit. La vittoria contro il numero uno va ridimensionata a fronte dell’importanza del torneo in cui è avvenuta - un ATP 250 - per non parlare delle circostanze e dell’insolita dinamica del match, ma non di meno saper restare in scia ad un campione per poi superarlo e batterlo rivela delle qualità, e potrebbe dare a Garcia-Lopez la sicurezza sufficiente ad entrare presto tra i primi 20 giocatori del mondo. Staremo a vedere…
 

Roberto Paterlini

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker