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01/11/2010 14:03 CEST - Rassegna stampa del 1-11-2010

Pennetta storica, doppio da regina (Crivelli). Maestra Pennetta riunisce il gineceo (Piccardi). Intervista alla Ceccarelli, supervisor Wta: "Tecnologia: Blatter, imitaci!" (Valesio)

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Rubrica a cura di Alberto Giorni

Pennetta storica, doppio da regina (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport del 1-11-2010)

La rivincita di Flavia Pennetta si chiama doppio. Disarcionata, in singolare, dall’incredibile Roland Garros di Francesca Schiavone e quindi dalla promozione al numero 6 del mondo della milanese, Flavia la simpatica tira fuori gli artigli per conquistare il Masters di doppio insieme all’amica argentina, Gisela Dulko, con cui chiude in coppia anche la stagione da numero 1 del mondo. E così scrive anche lei ben due pagine storiche del tennis azzurro. Che, fra una settimana gioca la quarta finale di Fed Cup nelle ultime 5 stagioni. Con ottime possibilità, sul cemento di San Diego — senza le sorellone Williams —, di guadagnarsi il terzo, straordinario, titolo di Fed Cup. Perché nessun azzurro mai aveva vinto un Masters e nessuno aveva chiuso l’anno da numero 1 del mondo. Il 7-5 6-4 con cui trionfa a Doha in un’ora e 43minuti sul binomio Kveta Peschke-Katarina Srebotnik è un punteggio che fotografa il grande equilibrio. Nel quale spicca il gran game giocato da Flavia sul 4-5 del primo set, quando salva un set point con la prima di servizio, e poi infila 8 punti consecutivi, dando la svolta decisiva al match. Lo sfogo a caldo è appassionato come l’abbraccio alla compagna: «Non ci saremmo mai aspettate di essere qui. E’ un'emozione incredibile, anche perché ad inizio anno ero senza partner e non sapevo neppure se avrei giocato il doppio. Per fortuna è arrivata Gisela. E quindi ora vivere tutto ciò con lei accanto è incredibile » . La 28enne di Brindisi è euforica: «E’ stato un anno meraviglioso, vincere il Masters e chiudere al numero uno sono cose che restano nella storia, rimangono tutta la vita. Lo dedico alla mia famiglia, a quella di Gisela, ai nostri allenatori: è bello condividere un momento come questo con una vera amica. Il nostro segreto è che ridiamo molto insieme». Il tennis non concede pause: Flavia non può assaporare pienamente il successo, il pensiero è già alla Fed del prossimo week-end, al trasferimento Qatar-Stati Uniti, alle compagne in azzurro, alle giovani avversarie, alla bandiera: «Sulla Fed Cup vedo troppo entusiasmo, sarà meglio tenere i piedi ben saldi per terra e stare concentrate. Loro, del resto, non hanno nulla da perdere » Ma affermazioni come quella di Doha sono l’unguento ideale anche per la stanchezza: «Sono convinta di poter tornare al Masters, non solo in doppio ma anche in singolare, non pongo limiti alle mie possibilità. Siamo le più forti, l’abbiamo dimostrato: il 2011 sará l’anno della caccia a uno Slam, qualunque sia» (…)


Maestra Pennetta riunisce il gineceo (Gaia Piccardi, Il Corriere della Sera del 1-11-2010)

Ci aspettavamo Francesca almeno in semifinale in singolare e invece è arrivata la vittoria di Flavia in doppio, maestra a Doha (7-5, 6-4 a Peschke-Srebotnik) insieme all’argentina Dulko («Una coppia nata per caso che ha subito funzionato bene, sarò sincera: non ci aspettavamo affatto di vincere tanto... Gisela ha accettato di tingersi i capelli di blu quando ci siamo qualificate per il Master ma mi ha mandato a quel paese quando le ho proposto di raparci a zero in caso di vittoria!»), la prima numero uno del mondo italiana in doppio nella storia del nostro tennis e questa, in fondo, non è una novità perché questa magnifica generazione di donne non si stanca mai di prendere i tabù a pallate. Francesca Schiavone e Flavia Pennetta oggi volano dal Qatar alla California, Doha-San Diego portandosi nella valigia i ricordi di una stagione indimenticabile: la Franci ci ha dimostrato che nulla è impossibile rotolandosi sulla terra rossa del Roland Garros e issandosi al numero 6 del ranking mondiale e la Fla, prima azzurra a sfondare il muro delle top-10 nell’anno di grazia 2009, si è presa le sue soddisfazioni in doppio, giocando moltissimo («Sono number one anche tra quelle che quest’anno hanno sgobbato di più, non l’avevo programmato però a un certo punto ho deciso che valeva la pena di darci dentro») tanto da procurarsi un’infezione all’occhio («Troppo sole e vento: è una specie di piccolo malanno professionale, nulla di grave») per la quale verrà operata la settimana prossima. In riva al Pacifico, domani, si riunisce la squadra di Federation Cup, Roberta Vinci e Sara Errani sono partite ieri da Roma, contro gli Usa, sabato e domenica, sarà la quarta finale dell’Italia in cinque anni. Per i detrattori la Fed Cup non è la Coppa Davis, per noi è un risultato di squadra che merita di essere sottolineato perché esprime la qualità, e la quantità, di un settore straordinariamente capace di rigenerarsi attraverso le ere geologiche del tennis. Alla San Diego Sports Arena (8850 spettatori, veloce indoor), l’Italia difende la coppa vinta l’anno scorso a Reggio Calabria proprio contro gli Usa, la seconda dopo quella, storica, conquistata nel 2006 a Charleroi contro il Belgio (…)


Intervista alla Ceccarelli, supervisor Wta: "Tecnologia: Blatter, imitaci!" (Piero Valesio, Tuttosport del 1-11-2010)

Dentro o fuori, mica è poco. Ci si gioca tutto. Anche se si tratta di una sola semplice pallina che forse ha colpito una riga o forse no. Chi è appassionato di tennis da qualche annetto non farà fatica alcuna a ricordare litigate mostruose dovute a questi motivi o magari ad arbitraggi (Panatta a Praga...) giudicati incongrui. Tanto per restare in ambito Master passò alla storia il furibondo litigio a tre arbitro-Lendl-McEnroe in un Wct a Dallas. Ma di esempi se ne potrebbero portare a centinaia. Il fatto è, però, che quell'epoca è sostanzialmente lontana per il tennis. La stagione sulla terra, dove i segni lasciati dalle palline vicino alle righe, sono più evidenti ma anche soggetti (non da regolamento) a maggiori interpretazioni, è ormai ridotta ad un'enclave nel cuore di una stagione in cui si gioca sulle superfici veloci. E per il resto siamo in piena epoca Hawk eye, che tradotto vuol dire occhio di falco. II sistema rilevazione al computer che permette di stabilire con certezza se una pallina è dentro o fuori. Chiariti i dubbi, sparite le polemiche. O quasi. Il tutto mentre lo sport planetario per eccellenza, il calcio, pare incapace di posizionare, se non proprio degli occhi di falco, almeno degli occhietti di aquilotto appena nato giusto sulle linee di porta per stabilire se un gol è tale oppure no. Laura Ceccarelli, dopo anni trascorsi a fare la giudice di linea e poi di sedia, è oggi la supervisor dell'Associazione giocatrici, la Wta. A lei è giusto porre una domanda essenziale: ma gli arbitri del tennis, che di palle dentro e fuori devono giudicarne a bizzeffe nell'arco di una sola partita, si sono sentiti sminuiti e demansionati dal fatto di poter disporre dell'occhio elettronico? «Assolutamente no. Ne hanno guadagnato sul piano del sonno, del riposo notturno. Sa quante volte, quando ero sulla sedia, ho trascorso le ore, tante ore, dopo una certa partita a tormentarmi chiedendomi: ma era proprio fuori quella palla? Era dentro? Ora tutto questo non esiste più. Gli arbitri sanno di avere a loro disposizione questo strumento prezioso e i giocatori sono tranquilli perché hanno la certezza che il sistema funziona perfettamente e che dunque la valutazione di un colpo dubbio sarà oggettiva. Punto. Francamente non so perché Blatter sia restio a introdurre un'innovazione di questo genere». In effetti sarebbe interessante scoprirlo, al di là delle annunciate aperture sul tema. Ma davvero il sistema non sbaglia mai? Non è davvero mai successo che l'occhio di falco avesse visto male e che solo a posteriori ci si sia accorti dell'errore? «C'è stato un solo episodio anni fa a New Haven. Si erano verificati delle situazioni particolari che avevano indotto il si- sterna a sbagliare. Ma lo stesso sistema imparò da se stesso in quel frangente e dal giorno dopo tutto è andato a posto». Del resto non è facile installare le telecamere che rendono possibile all'Hawk eye di lavorare. «Se ne occupano quattro persone a ritmo continuo e si inizia con i test molti giorni prima dell'inizio del torneo. In modo che nulla possa andare storto. Il sistema è cresciuto nel corso del tempo e presumibilmente crescerà ancora. Nulla ci impedisce di pensare che nel prossimo futuro si evolverà ulteriormente magari con altri progetti che ancora ci devono essere presentati». Il problema dell'occhio di falco, se di problema si può parlare, è che costa. Tanto. A partire da 70.000 euro a settimana per campo di gioco. Il che spiega le ragioni per cui si è ingenerata nel corso degli anni una "protesta" delle giocatrici di secondo livello e inferiori: le quali (così come i loro colleghi maschietti) non riuscendo mai o quasi mai (a meno che non incontrino una top ten o zone limitrofe) ad accedere al campo principale dei maggiori tornei dell'occhio di falco devono fare a meno. «L’installazione del sistema è responsabilità degli organizzatori di ogni torneo. Sono loro che decidono quanti "occhi" posizionare e su quali campi. Ma mi risulta che sempre più campi, soprattutto nei tornei dello Slam, saranno coperti da questa tecnologia» (…)

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