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11/11/2010 12:26 CEST - Atp tour

“Murray è un cocco di mamma”

TENNIS – Per Boris Becker lo scozzese dovrebbe staccarsi un po’ dalla famiglia, e soprattutto dalla madre Judy cui è molto attaccato. «Non è ancora maturo abbastanza per vincere un major» ha detto il tedesco, che a Wimbledon 1985 diventò il più giovane vincitore di uno Slam.  «Ha grande talento, ma nelle grandi occasioni ancora non gioca come sappiamo potrebbe fare». Il paragone con l'Arsenal di Wenger, bello ma perdente. Alessandro Mastroluca

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Andy Murray è come l'Arsenal, gioca bene ma non vince trofei prestigiosi: parola di Boris Becker. Per il tedesco, che il mese scorso si è offerto, invano, di lavorare per la LTA, Murray non sarebbe abbastanza maturo per poter vincere uno Slam. Una riflessione che, detta da chi nel 1985 è diventato il più giovane vincitore di un major, dopo aver conquistato Wimbledon a 17 anni e 225 giorni (record che poi sarà battuto da Chang al Roland Garros 1989), non può essere semplicisticamente ridotta a provocazione o boutade.

«Io sono maturato giovane; Lendl non ha vinto uno Slam fino a 25 anni: non c'è una regola, dipende dalla tua personalità» ha detto Becker.«A 23 anni Murray non è vecchio: è solo che per molte ragioni sembra più giovane degli anni che ha».

Murray e la famiglia - «E' fidanzato con la stessa ragazza da tre o quattro anni» ha proseguito Becker, che ha attaccato lo scozzese anche per il suo profondo attaccamento alla famiglia. Un sentimento che Murray è tornato a mostrare dopo la vittoria a Valencia in doppio con il fratello Jamie. «Ci sono cose più importanti di una partita di tennis, e fare qualcosa di importante con mio fratello è una di queste» ha detto durante la premiazione che l'ha visto commosso fino alle lacrime come gli era capitato solo dopo la finale persa agli Australian Open. Per Becker, poi, Murray «è troppo attaccato a sua madre». Torna nelle sue parole una delle critiche più diffuse sul conto dello scozzese, il suo rapporto con Judy, che lo segue e lo accompagna fin dai primi passi sul circuito. Nell'autobiografia che ha scritto con la giornalista Sue Mott, “Hitting back”, Murray ha detto chiaramente che è grazie a sua madre se è diventato quello che è. Judy è una presenza fissa, i suoi consigli sono stati importanti, ha detto Andy, nella sua vittoria a Toronto. «Con lei sembra più tranquillo, più felice», ha detto Brad Gilbert dopo la vittoriosa finale contro Federer ad agosto.

E' la costanza di questa presenza, l'intensità della relazione alla base delle maggiori critiche di Becker. «Il suo contesto familiare non è certo negativo, ma ha un modo di vivere la relazione con la famiglia che è  proprio di chi non cammina al 100% sulle sue gambe. E in campo sei solo, devi essere convinto che stai facendo la cosa giusta. Questa si chiama maturità» ha concluso Becker, «e credo che Murray non sia ancora maturato abbastanza per prendere le decisioni giuste in uno Slam».

Peter Pan o Benjamin Button? - Crescere con le stimmate del predestinato certo non è facile. E Murray di aspettative ne ha create parecchie, da quando ha vinto l’Orange Bowl a 12 anni davanti ad Angela Buxton, finalista a Wimbledon nel 1956, che di lui allora disse: «Capisce il gioco, capisce il campo, capisce le tattiche. Farà molta strada».

Murray è adesso a metà del guado, un po’ bambino cresciuto troppo in fretta, un po’ ragazzo con poca fretta di essere uomo. È il giocatore che riempie il garage di casa di Ferrari e Lamborghini prima ancora di prendere la patente e che si fa lasciare dalla fidanzata perché, dice lei, passa troppo tempo a giocare alla Playstation. E quello zero alla voce “Slam vinti in carriera” stona con l’immagine di un promesso campione il cui solo limite, come ha affermato l’anno scorso Jonathan Gabay, di Brand Forensics, società di consulenza in materia di marketing e pubblicità, “è il cielo”.

In quest’ultimo biennio Murray è circondato da molti dei dubbi che hanno accompagnato i primi anni della transizione a pro di Federer, quelli in cui il dominatore degli Slam era solo una proiezione possibile, in cui riusciva a battere Sampras a Wimbledon ma non ancora a fare il salto di qualità per trionfare nei major.

Dubbi che Chris Bowers ha ben sintetizzato nella sua biografia “Roger Federer, the greatest” e che possono, pur senza voler in alcun modo paragonare le carriere o le caratteristiche di Roger e di Andy, possono valere anche per spiegare il momento di Murray. Chi ha tanto talento, scrive Bowers, “e tante opzioni in campo, spesso non riesce a scegliere quella giusta al momento giusto. Chi vive di tennis sa che i giocatori di talento, a tutto campo, maturano più tardi perché impiegano più tempo a mettere insieme i pezzi del loro gioco. Molti, però, non ci riescono mai”. Ed è questo il timore dei suoi tifosi, che Murray resti un puzzle con un pezzo mancante. Il suggerimento di Becker è chiaro. «Il talento non gli manca, deve dimostrare a se stesso che può vincere i tornei che davvero contano. Forse negli Slam ha un blocco psicologico che non lo fa giocare con la libertà e con la qualità che sappiamo ha. Penso che per lui vincere le Finals a Londra potrebbe essere un grande momento di svolta: in fondo sono il torneo più importante dopo gli Slam».

Per aumentare le sue chance gli basterebbe guardare una statistica comparsa alla fine del secondo set del match poi vinto contro Nalbandian a Parigi Bercy. Nel primo set l’82% dei colpi di Murray sono partiti ben dietro la riga di fondo: risultato, 6-2 Nalbandian. Nel secondo questa percentuale è scesa al 42%: lo scozzese ha iniziato la rimonta. In questi due set c’è un po’ la differenza che passa, per restare all’analogia calcistica di Becker, tra il “boring, boring Arsenal” di George Graham dei primi anni Novanta, criticato per il gioco poco spettacolare, e quello di Wenger. Il tecnico francese ha costruito la squadra degli Invincibles, capaci di vincere un campionato senza mai perdere in un’intera stagione. A Murray basterebbe vincere sette partite in due settimane: mission impossible?

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker