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18/11/2010 00:52 CEST - IL RITIRO

E Carlos disse: Hasta luego Lucas!

TENNIS – Con una conferenza stampa tenuta a Madrid, Carlos Moya ha annunciato il ritiro dalle competizioni. 34 anni, aveva giocato sette partite nell’ultimo anno e mezzo. Primo spagnolo a diventare numero 1 del mondo, è stato l’apripista della nuova scuola spagnola, forte e vincente anche lontano dalla terra battuta, sublimata dal suo “figlioccio” Rafa Nadal. Ha vinto uno Slam, la Davis e 20 tornei. Riccardo Bisti e Matteo Gallo

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Una delle prime immagini di Carlos Moya lo ritrae giovanissimo, ancora impacciato con l’inglese, durante la premiazione dell’Australian Open 1997. Fu il torneo che lo rivelò al mondo, primo finalista spagnolo dai tempi di Andres Gimeno. Perse nettamente da Pete Sampras, poi indossò il “Global Cap” della Spagna (i cappellini che riproducono i colori delle varie nazioni). Dopo i ringraziamenti di rito, salutò tutti dicendo: “Hasta luego Lucas”. Nessuno capì cosa volesse dire, almeno inizialmente. Era un imitazione Chiquito de la Calzada, comico spagnolo che in quegli anni spopolava a suon di sketch divertenti. Moya lo adorava, così pensò bene di rendergli omaggio. Oggi, grazie a quel ricordo, ha trovato la forza di sorridere dopo essersi fatto travolgere dalla commozione. In una conferenza stampa tenuta a Madrid, accompagnato dal presidente federale Josè Luis Escanuela e dall’amico-rivale Albert Costa, ha annunciato il ritiro. Lo sapevano tutti, in fondo aveva smesso già da tempo. Quest’anno era tornato a giocare dopo uno stop di quasi un anno per un problema al piede, un artrosi che si porta dietro da quando aveva 20 anni. L’operazione non è servita a molto, poiché sono emersi fastidiosi effetti collaterali. I risultati non lo hanno premiato: sette partite, cinque sconfitte, l’ultima proprio a Madrid contro Benjamin Becker, lo stesso che quattro anni fa fu il “becchino” di Andre Agassi. Adesso i giocatori in odor di ritiro lo eviteranno come la peste…

Il primo numero 1 spagnolo
Capelli di nuovo lunghi, giaccia blu e camicia celeste, si è commosso quasi subito. “Sono venuto a confidarvi un segreto a voce…” e le labbra hanno iniziato a tremare. L’applauso dei giornalisti gli ha dato la forza di continuare. Ma poi è arrivato il sorriso. “La mia avventura è iniziata in Australia. Non ho vinto però fu allora che nacque la mia popolarità. Allora si aprì un cerchio, e oggi per chiuderlo non posso fare a meno che salutarvi dicendo….Hasta luego Lucas!”. E giù applausi sinceri, finalmente conditi da un sorriso. Carlos Moya è stato un giocatore chiave nella storia del tennis spagnolo. L’Invencible Armada c’era già: Emilio Sanchez, Alberto Berasategui e (soprattutto) Sergi Bruguera avevano aperto una strada, ma erano interpreti di un tennis diverso, legato soprattutto alla terra battuta. Moya ha rivoluzionato la mentalità spagnola, dimostrando che si poteva vincere anche sul veloce. La sua finale in Australia è stata uno spartiacque. Fu allora che i suoi connazionali capirono che lavorare duro pagava ovunque, anche lontano dall’amata polvere di mattone. Nadal è cresciuto nel suo mito: “Mi interpellava sempre, ci alleniamo insieme da quando aveva 14 anni. Abbiamo sempre avuto un’ottima relazione. Io forse ho aiutato lui, ma lui certamente ha aiutato me. Vedersi accanto tutto questo entusiasmo non può che contagiarti. E non mi deve niente per quello che ha conquistato”. Bello, bellissimo secondo alcune, ha subito conquistato le prime pagine delle riviste patinate. Un fotografo lo porto a Hollywood per fargli promuovere una marca di orologi, e pensò bene di vestirlo…solo con l’orologio! Ma intanto il tennis funzionava: vittoria al Roland Garros (unico Slam in carriera), finale al Masters, numero 1 ATP. Era il 15 Marzo 1999, il regno durò un paio di settimane ma tanto bastò a farlo entrare nella leggenda, primo spagnolo a riuscirci. Dopo la vittoria contro Guga Kuerten a Indian Wells, incontro che sancì il sorpasso su Pete Sampras, cantò e ballò con i suoi amici, si buttarono anche in piscina. Fu il giusto sfogo dopo quello che aveva passato fino a pochi giorni prima: dopo una pessima campagna australiana, coach Josè Perlas lo portò 10 giorni in montagna a lavorare otto ore al giorno: tre sugli sci di fondo, tre in bici e due in palestra. Bastasse questo per diventare numero 1…

“Adesso arriva Moya”
L’anno più difficile fu il 2000. L’ernia al disco lo mise KO fino a Marzo, riprese, ma non venne convocato per la finale di Coppa Davis contro l’Australia. Uno smacco incredibile. Ferrero, Costa, Corretja e Balcells (si, Balcells!) festeggiavano la prima insalatiera spagnola, lui in tribuna a guardare, ufficialmente per l'ernia, in realtà perchè in contrasto con il "triumvirato" di capitani dell'epoca. Era contento per i compagni ma frustrato, profondamente frustrato. Tanto che la Davis 2004, quella “Made in Maiorca” “E’ stata il successo più importante della mia carriera sul piano sentimentale”. Nello stadio di calcio del Siviglia, adattato al tennis e buono per 26.000 spettatori, battè Fish e Roddick per dare il punto del 3-1 alla Spagna. Disse che non dormiva la notte, pensando alla Davis. E quando ce l’ha fatta ha dato ragione a tutti quelli che, in età giovanile, gli pronosticavano un futuro luminoso. “Arriverà più lontano di Berasategui, forse anche di Bruguera” dicevano i giornalisti spagnoli quando era ancora un cucciolo “Perché sa giocare anche sul veloce e ha la cabeza giusta”. Già, la “cabeza”: C’è stato un gran parlare sulla sua vita privata e presunte sregolatezze. Fidanzato a lungo con la rumena Raluca Sandu (conosciuta al torneo ATP di Bucarest), è poi stato adottato anche in Italia grazie alla love story con Flavia Pennetta. Finita quella, si è definitivamente accasato con la show girl Carolina Cerezuela, che lo scorso agosto lo ha reso padre della piccola Carla. Non sembra il palmares di uno sciupafemmine, anche se ai tempi i playboy del circuito (Meligeni, Kuerten, Arazi, Zabaleta) lo guardavano con angoscia quando arrivava in discoteca. “Adesso arriva Moya”. Arrivava Moya e per gli altri non c’era più trippa per gatti. Sarà vero, ma è anche vero che sapersi tirare su dopo un grave infortunio (la schiena, appunto) e restare competitivo per quasi 15 anni è possibile solo se si ha la testa sulle spalle, se quando alle 7 del mattino suona la sveglia si ha la forza di non girarsi dall’altra parte. Sono dunque arrivati 20 titoli su 44 finali, tra cui tre Masters 1000 (Monte Carlo, Cincinnati e Roma) e cinque anni complessivi tra i primi dieci del mondo. L’ultimo acuto è arrivato tre anni fa, sulla terra amica di Umago.

Tour d’addio abortito
Dopo l’infortunio al piede di inizio 2009 e la conseguente operazione aveva deciso di riprovarci. Si è allenato a lungo con Francisco Clavet, ma ormai non ne aveva più. Voleva giocare gli ultimi grandi tornei e ritirarsi, auto-dedicarsi un tour d’addio, ma poi c’è stato il torneo di Madrid. Quell’impietoso 6-0 6-2 contro il Becker sbagliato. “Lì mi sono reso conto che era giunto il momento. Avevo tanta voglia di fare bene e mi ero sacrificato parecchio, ma il mio livello non era adeguato. E allora ha lasciato passare qualche mese prima di dare l’annuncio. L’addio sul campo avverrà in Dicembre, a Siviglia, nel Masters spagnolo, dove ad applaudirlo ci saranno anche Ferrer. Almagro, Ferrero e Montanes. Non sarà stato un santo, ma nemmeno un dannato. Nel suo magico Australian Open 1997 c’erano sempre tre ragazzine che lo sostenevano a gran voce. “Le avevo notate durante il primo turno contro Becker. Avevano la bandiera spagnola dipinta sul viso. A fine match avevo firmato loro alcuni autografi e la mattina dopo me le sono trovate prestissimo sul campo di allenamento. Allora decisi di adottarle come portafortuna, regalando loro i biglietti per le mie partite”. Cuore d’oro ripagato, peraltro confermato dalle numerose iniziateive benefiche cui ha preso parte. Insomma, un personaggio tutto sommato positivo. A cui diciamo volentieri la frase che lo fa tanto sorridere. “Hasta luego, Lucas!”.

Il trionfo al Roland Garros

 

Un emozionato Moya dice addio al tennis professionistico (di Matteo Gallo)

Carlos Moya ha annunciato oggi pomeriggio all’hotel Cuzco di Madrid la sua decisione, ampiamente prevista, di chiudere la sua carriera da pro. Dopo 20 tornei vinti e una rapida presenza al numero 1 del ranking nel marzo 1999, il tennista di Mallorca ha spiegato davanti a una piccola folla di giornalisti e amici che i problemi al piede si sono rivelati piú fastidiosi del previsto. Moya è stato operato due volte negli ultimi 12 mesi ma i problemi maggiori- ha spiegato- sono stati causati da effetti collaterali seguiti al primo intervento. “A quel punto ho cominciato ad avere dolori in altri punti del piede e le cose si sono complicate. Mi sarebbe piaciuto chiudere sulla pista – ha detto con qualche lacrima agli occhi – ma d’altronde a Madrid ho voluto a tutti i costi scendere in campo e abbiamo visto cosa è successo (ha perso nettamente da Benjamin Becker 60 62)”
“Continueró a giocare a tennis , certo non piú come prima, ma a dicembre saró a Siviglia per il Master nazionale. Ringrazio tutti i fans che mi hanno seguito in questi anni, gli sponsors, tutti i tecnici che si sono succeduti e la mia familia.” “Questo infortuno al piede, unito alla nascita di ia figlia, mi hanno convinto che era il momento giusto per lasciare” Moya ha poi risposto alle numerose domande dei presenti , ricordando in particolare quell’Australian Open del 1997, di cui vengono proiettate alcune immagini. Moya arrivò in finale quell’anno dove perse con Sampras. “Quel torneo mi ha sicuramente cambiato la vita, anche se non sono riuscito a vincerlo. Quando sono tornato a casa c’era gente che mi aspettava all’aeroporto. A me! Fu pazzesco e vissi quelle due settimane come immerso in un sogno”

Riccardo Bisti

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker