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24/11/2010 23:17 CEST - Profili

Hrbaty mette fine alla sua corsa

Dopo 15 anni di professionismo lo slovacco, ex numero 12 del mondo nel 2004 e ormai non competitivo ad alti livelli, ha detto stop per dedicarsi alla famiglia. Dopo l'addio di Moya, si ritira così uno dei migliori “ ammazza grandi” dell’ultimo decennio, capace di avere un record positivo sia con Federer che con Nadal. Unico rimpianto, la Coppa Davis mancata nel 2005 Christian Turba

 

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Novembre, come è ovvio che sia, è tennisticamente il mese degli addii. Il 2010 non ha fatto eccezione in questo senso: a pochi giorni dall’annuncio di Carlos Moya, infatti, anche lo slovacco Dominik Hrbaty ha detto ciao al circuito ATP, dopo esser precipitato fino alla 417esima posizione del ranking mondiale, con lo scopo di dedicarsi alla famiglia e al figlio che nascerà a dicembre. Dato che questa decisione non è stata tanto mediatizzata come quella del padre putativo di Rafa Nadal, il buon Dominik, protagonista indiscusso dell’ultimo decennio, merita un breve ricordo.


Dominik Hrbaty nasce a Bratislava, nel cuore della Cecoslovacchia, il 4 gennaio 1978, da padre ingegnere. Bimbo dell’Est negli ultimi anni della guerra fredda, cresce nel mito di due icone sportive del blocco comunista negli anni’80: Ivan Lendl e Sergiy Bubka, lo zar del salto con l’asta. Il piccolo Dominik, comunque, è democratico e segue con interesse anche due miti “ occidentali” come il Figlio del Vento Carl Lewis e il re italiano dello slalom speciale “Tomba la Bomba”, tanto da praticare sci alpino fino all’età di 11 anni: alla fine, però, sceglie d’ispirarsi al suo –allora- connazionale Ivan e inizia a dedicarsi al tennis. Durante la sua carriera, però, non scorderà mai di praticare mountain-bike, pesca e sci, cosa che gli lascerà in eredità una condizione atletica quasi sempre perfetta.
Il suo esordio nel professionismo è datato 1996, nel challenger tedesco di Wolfsburg (sconfitto per 7-6 6-3 dal giocatore di casa Erik Dier). Nella prima stagione tra i grandi, il neomaggiorenne slovacco si fa subito notare e, grazie alla costanza di prestazioni nei tornei challenger (2 vittorie, a Mallorca e Pilzen, e 4 finali per lui) riesce addirittura a concludere l’anno tra i primi giocatori del mondo, aggiudicandosi il prestigioso premio di “ Newcomer of the Year”. E’solo l’antipasto di quella che sarà la sua vera rivelazione presso gli addetti ai lavori: entrato di diritto nel tabellone principale degli Australian Open 1997, Domino giunge fino agli ottavi, in cui impegna severamente il futuro vincitore del torneo Pete Sampras, conquistando il tie-break del primo set e costringendo l’americano ad una vittoria stirata per 6-3 al quinto. Miglior esordio nello Slam non si poteva immaginare e, per l’intero 1997, lo slovacco dimostra che quell’exploit non è un caso: si spinge fino agli ottavi a Miami, conquista la finale nel torneo di Palermo (battendo, tra gli altri, un certo Alex Corretja che l’anno seguente avrebbe conquistato la finale del Roland Garros) e, grazie ad altre 3 semifinali, scala il ranking fino al 33°posto. L’anno seguente, la sua crescita sembra arrestarsi un po’, ma in compenso il nostro conquista il primo titolo ATP della carriera in “suolo italico”, nell’allora torneo ATP di San Marino, sconfiggendo in finale un futuro..finalista del Roland Garros, l’argentino Mariano Puerta.


Ma la vera stagione della sua esplosione è il 1999: quasi come se i futuri finalisti dello Slam parigino battuti gli avessero portato fortuna, Dominik disputa un Roland Garros straordinario. Accompagnato da una “stupenda” maglietta rossa en pendant con la terra rossa parigina, strapazza al 2°turno -con un sonoro 6-4 6-1 6-4- il Principino Yevgeny Kafelnikov, allora leader del ranking, dopodiché batte, in una sfida che avrebbe avuto tante rivincite, il giovanissimo Marat Safin e si permette di eliminare l’ex numero 1 mondiale Marcelo Rios: giunge così, a suon di pressione da fondocampo, accelerazioni anticipate di rovescio e corsa incessante, in semifinale, ma quello è l’anno del Kid di Las Vegas, che in 4 set mette fine alla sua avventura. L’exploit francese vale allo slovacco la 18esima posizione del ranking: forse un po’pago, Dominik si rilassa e non ottiene grandi prestazioni fino al torneo di Montecarlo del 2000. Nel Principato, il tennista di Bratislava ripete l’exploit effettuato, quasi un anno prima, 950 chilometri più a Nord, con la curiosa coincidenza della vittoria di 2°turno ai danni di Kafelnikov, e si arrende solo in finale, al termine di tre set tirati, a Cedric Pioline. I quarti di finale degli Internazionali d’Italia (con vittoria ai danni del numero 1 Agassi) e gli ottavi conquistati agli Us Open gli consentono quindi di concludere la stagione tra i primi 20 giocatori mondiali.


Pian piano, “The Dominator” si fa la reputazione di giocatore solido e capace di sorprendere i migliori nei tornei dello Slam: così nel 2001, dopo aver vinto il suo 3°torneo ad Auckland, si concede il lusso di eliminare in 3 set il numero 2 del tabellone degli Australian Open Marat Safin, prima di perdere ai quarti per mano dell’idolo locale Pat Rafter.Purtroppo per lui, gli manca quella continuità nel corso della stagione che gli permetterebbe di raggiungere una top 10 che meriterebbe. Dopo due anni più di ombre che di luci, senza vincere alcun torneo, la grande occasione arriva nel 2004. Sceso fino al numero 60 del ranking, Domino inizia la campagna australiana alla grande, trionfando a Auckland e aggiudicandosi anche il torneo di Adelaide ai danni del futuro re della terra Rafa Nadal; eliminato prematuramente a Melbourne da Grosjean, poi, il 26enne allenato da Tibor Toth conquista il terzo titolo della stagione a Marsiglia, dove sconfigge per 6-4 al 3°..un altro finalista venturo del Roland Garros, Robin Soderling.

Ancora una volta, la stagione è altalenante, ma i quarti ottenuti agli Us Open (con la sconfitta per mano di Tim Henman) riportano Hrbaty in alto, fino a consentirgli di ottenere il suo best ranking, numero 12, a fine anno. Una volta aggiunto questo traguardo, a Dominik manca una degna conclusione al miglior anno della carriera: conclusione che arriva ancora una volta a Melbourne, quando lo slovacco incasella due vittorie consecutive contro due vincitori di Slam, Gaston Gaudio e Thomas Johansson, prima di arrendersi nettamente ai quarti da uno dei migliori Marat Safin della storia.
 

L’annata che segue è discreta e lo mantiene costantemente tra i top 25, ma potrebbe concludersi in gloria con la prima finale di Coppa Davis raggiunta dalla Slovacchia, finale a cui il nostro aveva contribuito sconfiggendo gente come Verdasco e Coria: sul cemento indoor di Bratislava, di fronte alla Croazia, The Dominator supera sé stesso battendo Marione Ancic e un Ljubicic in forma smagliante al quinto set, ma le sconfitte di Kucera, Mertinak e del doppio formato da lui stesso e Mertinak consegnano l’Insalatiera ai “ cugini di secondo grado” dei Balcani. Sprecata, suo malgrado, l’occasione della vita, l’eroe di Bratislava fatica a riprendersi: dopo un 2006 modesto, indovina il torneo della stagione a Bercy battendo Murray e Berdych e approfittando del ritiro dello sfortunatissimo Haas, ma una volta in finale viene letteralmente crivellato dal “play-station tennis” di Nikolay Davydenko (6-1 6-2 6-2 il punteggio finale in favore del russo).
E’l’ultimo acuto di una carriera che pian piano, complice anche un infortunio al gomito, va declinando, sino al poco fortunato rientro nel circuito challenger, alle mancate qualificazioni ai tornei dello Slam e all’ultimo match, disputato settimana scorsa nella “sua” Bratislava -che tanto gli ha donato e a cui Domino ha tanto donato - e perso per 7-6 al terzo dal russo Igor Kunitsyn. Un’uscita di scena dolce e amara allo stesso tempo.


Tra i giornalisti più cliccati della rete, Hrbaty non gode di ottima stampa: lo si dipinge come un onesto ribattitore dal gioco noioso e ripetitivo (“uno dei padri edipici di Andreas Seppi, (cit.)) e con un dubbio gusto in fatto di abbigliamento, esemplificato dalla maglia mostra-scapole fornitagli dalla Lotto in occasione. A mio avviso, invece, Domino resterà alla memoria come un giocatore tignoso, fisicamente ineccepibile, recordman dei match di lunga durata ( memorabile la sua “ tripletta” di vittorie al quinto set agli Australian Open del 2006, interrotta per contrappasso dalla sconfitta rimediata, con 2 set di vantaggio, da Davydenko) e competitivo su quasi tutte le superfici: del resto, non è da tutti arrivare ai quarti di finale in 3 Slam su 4 e giungere in finale sia a Parigi Bercy che Montecarlo. Dotato di due colpi da fondo efficaci, ed in particolare di un rovescio a due mani penetrante, Hrbaty sapeva all’occorrenza prendere la rete con successo, grazie a un discreto tocco, e far male con la sua prima di servizio caratterizzata da un lancio di palla altissimo, e per questo esposta ai rischi del vento.


Proverbiali il suo “amore” per l’Australia (3 dei 6 tornei vinti in carriera conquistati ad Adelaide e Auckland, nonché ottime prestazioni in quel di Melbourne) e l’agio in cui si trovava coi tennisti russi: impressionante il suo 9-4 nei confronti con Kafelnikov –con 2 vittorie ottenute agli Us Open ed una a Parigi- ma si segnala anche la perfetta parità (7-7) negli head-to-head con Safin, anch’egli sconfitto in occasioni importanti come il Roland Garros e gli Australian Open. Inoltre, come i nostri Cianciotti e Giuliani hanno segnalato, verrà ricordato come l’unico giocatore in bilancio positivo sia con Federer che con Nadal, e uno dei pochi ad aver battuto, oltre ai due numero 1 attuali, anche quelli delle generazione precedente, ossia Sampras ed Agassi.


Insomma, un signor tennista che, nel silenzio mediatico, ha sempre svolto il suo compito, ed uno dei tanti della sua generazione (i primi che vengono in mente sono Schalken ed El Aynaoui) che per svariate ragioni hanno mancato per un pelo l’ingresso nella top 10, pur giocando di fatto da top ten negli Slam. Per giunta, una persona per nulla banale: detto della sua passione per lo sport tout-court ( un giorno Dominik sogna di imitare Mauresmo e Noah vari correndo la maratona di New York), lo slovacco si proclama “ maniaco del cinema”, colleziona monete neozelandesi e, ogni fine stagione, gioca due partite di hockey tra tennisti della Repubblica Ceca e della Slovacchia, a scopo benefico. Non si dimentichi, infine, il suo siparietto con Roger Federer all’ ultimo cambio campo del match giocato a Wimbledon nel 2008, con lo slovacco che si siede di fianco al Re e gli confida che questo sarebbero stati gli ultimi Championships per lui..
 

Un personaggio del genere, statene certi, ci mancherà. Čau, Dominik.

 

Christian Turba

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker