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14/12/2010 16:44 CEST - APPROFONDIMENTI

Beach Tennis: parliamone

TENNIS - Il beach tennis visto dall’occhio del tennista, preconcetti, piaceri, delusioni ed opportunità. La seconda giovinezza dell’ex agonista. La possibilità di sfruttare le possibili sinergie alla scopo di allargare la base di giovani praticanti. Un fenomeno in espansione, soprattutto sulle coste della penisola: Emilia Romagna, Toscana e Lazio le regioni trainanti. Prima parte. Franco Serdino

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Beachtennismania. È quella che si respira sulle coste est ed ovest italiane, in particolar modo in Emilia-Romagna, Lazio e Toscana, vere regioni traino del movimento. Da una stagione all’altra le nostre spiagge hanno visto il moltiplicarsi di reti sponsorizzate ad altezza 170 cm, frequentate da personaggi variopinti ed “impanati” racchetta alla mano.
Il tennista o ex-tennista appassionato è in genere, in prima battuta, attraversato da contrastanti sensazioni e moti di volontà verso questa nuova disciplina: da una parte la voglia ed il piacere di provare finalmente uno sport simile al preferito da poter praticare sulla spiaggia, dall’altra la ritrosia specialmente dei puristi ad avvicinarsi a qualcosa che è effettivamente vicino al tennis ma ha ormai una tecnica ed un approccio emotivo ben differenti, insieme all’umano fastidio di prendere pallate o pallette (nel beach tennis sono del tutto parificabili ) dallo stesso giocatore che sull’amato campo n.1 la pallina gialla riesce a vederla solamente all’uscita dal tubo contenitivo.
Inutile prenderci in giro, tutti i giocatori provenienti dal tennis, chi più chi meno ovviamente, hanno attraversato questa prima fase che è possibile provare a schematizzare anche cronologicamente:
un sorriso alla vista della rete a maglie fitte piantata sulla spiaggia;
un ghigno vagamente da bullo al primo servizio provato, chiaramente risultato vincente;
il sentirsi invincibili al secondo servizio semivincente seguito da smash risolutivo;
i primi subdoli dubbi quando sul 40 pari una battuta fuori di 3 dita ha decretato game, set e match persi ( il beach tennis ha il killer point sulla parità e una sola palla di servizio);
l’imprecazione al primo smash a tutto braccio difeso con nonchalance grazie alla pallina depressurizzata ed anzi tramutato in pallonetto profondo, inevitabilmente piantato a metà rete in un improbabile tentativo di altro smash saltando indietro;
il trasalire non riuscendo a capacitarsi come il personaggio che gli sta davanti, impugnando la racchetta come un gelato, riesca da mezz’ora a portarlo a spasso avanti-indietro per tutto il campo stando fermo (lui si!) sullo stesso granello di sabbia;
il pensare di essere su “scherzi a parte” al momento della consapevolezza che la fida volèe di dritto, veloce, secca a metà altezza provoca sul volto dell’ esperto avversario un misto di sadico piacere e pena per l’inevitabile conseguente colpo vincente o semivincente ( il tipo di colpo in questione è il peggiore da proporre ad un beachtennista: può scegliere ogni colpo possibile e non farlo assolutamente intuire all’avversario); lo schiaffo finale quando il solito con l’impugnatura più adatta alla degustazione che al tennis, attaccato al net con la racchetta a filo rete, ha risposto nei 50 cm al miglior servizio che si pensava possibile effettuare ( il cosiddetto “muro”: il giocatore in risposta, come detto posizionato a filo rete, intercetta con la racchetta leggermente inclinata verso il basso il servizio proposto, non dando tempo alla coppia avversaria di fare alcunché prima che la pallina tocchi la sabbia).
È alla fine di questo contrasto di emozioni che si gioca la nostra partita: possiamo tornarcene al nostro amato tennis giudicando figlio di un dio minore questo gioco che ci ha sedotti, illusi e poi abbandonati oppure cercare di capire, rifuggire per una volta le facili certezze e le rassicuranti sensazioni costruite in anni di pratica e scoprire forse che il beachtennis è un opportunità che merita di essere approfondita.
Soprattutto per l’ormai ex-agonista la spiaggia può infatti rappresentare una seconda giovinezza, in ogni nuovo sport solitamente le prime stagioni sono caratterizzate da ottimi risultati da parte dei “giovani di mezza età” che si dedicano anima e corpo alla nuova passione, quando invece i giovani atleti veri aspettano solitamente strutture agonistiche e formative più definite per prendere poi inevitabilmente in mano lo sport e spingerlo verso i propri limiti.
È successo così con lo snowboard e la travolgente newschool, più recentemente con il kitesurf che ha visto tra i campioni della prima ora il sempreverde Robby Naish, certo una leggenda vivente ma anche un signore di oltre 40 anni….successivamente è arrivata un orda di ragazzini cresciuti con un aquilone in mano e le performance hanno raggiunto un livello impensabile.
Ecco, quindi, che la spiaggia diventa il luogo dove ritrovare competitive sensazioni ormai sopite, approfittando del concentrarsi della stagione agonistica principalmente nei mesi estivi, durante i quali tradizionalmente ognuno si ritaglia un periodo di ferie da passare al mare ma soprattutto approfittando della indovinata formula di torneo che si conclude in due giorni, vera manna dal cielo per chi lavora e non può più permettersi giornaliere e feriali trasferte.
L’approcciarsi ad una nuova disciplina ha, inoltre, il pregio di far riscoprire il piacere dell’apprendimento, facilitato dalla dimestichezza con l’attrezzo, e con ciò il gusto di lunghe ed a volte improbabili dissertazioni tecnico-tattiche ormai poco presenti tra tennisti ultratrentenni visto che ben difficilmente è possibile imparare davvero qualcosa di nuovo adesso rispetto a quando le ore sul campo in terra rossa potevano essere senza fine.
Sotto il profilo atletico poi, c’è una potenziale complementarità con il nostro sport : il beach tennis infatti sviluppa forza, colpo d’occhio e velocità di esecuzione oltre che capacità di improvvisare, risultando così perfetto il connubio con l’allenamento tradizionale, più aerobico e tendente alla ripetizione di schemi fissi prestabiliti ed allo sviluppo di specifici colpi da migliorare.
La spiaggia può rappresentare un opportunità anche per i ragazzi: il tennis è una vera scuola di vita, ma sa essere anche crudo e crudele, tutti gli agonisti che per le ragioni più varie: mentali, tecniche, atletiche…vedono sfumare definitivamente gli obbiettivi che si erano preposti hanno la possibilità di restare nell’ambiente e sfruttare i sacrifici fatti provando la strada del beach tennis agonistico che richiede abilità anche molto diverse (una su tutte la capacità di giocare in coppia stabilmente ).
Le situazioni che vengono a crearsi potrebbero riservare interessanti sorprese; per alcuni tennisti anche solamente “onesti” è stata la vera quadratura del cerchio, per il movimento tennistico il risultato sarebbe quello di contenere la perdita totale di giocatori che magari ricomincerebbero a praticare solamente dopo molti anni di disintossicazione.

Per il tennis in generale il boom del beach tennis è un onda assolutamente da non temere ma al contrario, secondo me, da cavalcare con entusiasmo; sono anni che sentiamo parlare di mancanza della base di tennisti, del fatto che in campo arrivano gli scarti sotto il profilo atletico degli altri sport, calcio in primis, ora c’è la possibilità di far provare il piacere di colpire una pallina con una racchetta ad una moltitudine di bambini in età pre-sportiva che sono quelli portati in vacanza sulla spiaggia dalla famiglia; il calcio al mare perde molto del suo appeal mentre la possibilità di giocare al volo e la straordinaria facilità di questo gioco sono capaci di appassionare e divertire bambini di fasce di età diverse, che successivamente, al ritorno a casa, potrebbero essere invogliati a provare il tennis canonico.
Per concludere questo primo articolo introduttivo quello che è richiesto ai tennisti che approcciano la spiaggia è liberare la testa da preconcetti e tornare per un momento bambini che scoprono un nuovo gioco e devono impararne le dinamiche, non mi pare che il calciatore rifugga il calcio a 5 o si ostini a giocarlo come se fosse a 11 perché solo quello è il vero sport, ma anzi la gran parte ne apprezza le differenze e prova piacere nell’adattare la propria invidiabile tecnica di base alle esigenze del diverso tipo di attività, per una volta il calcio può insegnarci qualcosa.
Ai dirigenti del mondo tennis invece è richiesta un po’ di lungimiranza nel pensare alle possibili sinergie ed effetti domino praticabili supportando le organizzazioni beachtennistiche e lavorandoci insieme.
Credo che sia possibile ed auspicabile provare e parlarne, dopotutto "is offseason baby"!
 

Franco Serdino

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker