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16/12/2010 15:56 CEST - L'analisi

A chi diamo il tapiro d’oro 2010?

TENNIS - Partendo dall’importanza della psicologia nel nostro sport, scopriamo insieme la top eight dei giocatori più “attapirati” in questo 2010; le sconfitte più scottanti di quelli che non vedono l’ora che inizi la nuova stagione per rivendicarle, o semplicemente di quelli che hanno voglia di tornare sui campi da gioco dopo mesi di assenza forzata; di quelli che hanno perso in toto la bussola del loro gioco o di quelli che hanno perso l’ultimo treno che oramai non passerà più. Danilo Princiotto

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ANALISI PSICOLOGICA
Il 2011 è oramai alle porte, e della stagione trascorsa ne abbiamo parlato in lungo e in largo, soffermandoci su epiche vittorie e inspiegabili sconfitte, in ogni parte del mondo. Sotto un profilo psicologico inoltre, non bisogna dimenticare che ogni sportivo prima di essere tale, è innanzitutto un uomo; un essere umano con i suoi vanti ma anche con le sue debolezze talvolta nascoste, le quali, se stimolate incessantemente dopo condizioni di duro lavoro o in momenti delicati della propria vita, rischiano di trasformarsi in veri e propri nervi scoperti, e a livello mentale, tutto ciò può rappresentare una dose di demotivazione tale da compromettere il conseguimento di risultati futuri. Purtroppo il tennis è anche questo: insieme alle gambe viene il cervello e la capacità di resistere agli urti che la carriera sportiva gentilmente “offrirà”. La componente motivazionale gioca un ruolo decisivo nel nostro sport che prima di essere un confronto tra racchette è una lotta psicologica, sommariamente suddivisibile in 2 episodi che mettono in evidenza quanto possa essere fragile la mente di uno sportivo: a volte succede che quando entri in campo ti scordi di tutto ciò che ti circonda e prendi in mano quella racchetta con in mente un solo obiettivo, vincere, sapendo che ce la puoi fare, chicchessia il tuo avversario; se vinci è bene, ma se perdi, il più delle volte son dolori. Altre volte invece, guardi il tuo avversario avvicinarsi al campo con l’atteggiamento spavaldo di chi non sente la pressione, e ti senti già sbranato come se fossi un animale indifeso al cospetto del re della foresta; colui che sta dall’altra parte sembra un gigante capace di non farti muovere se solo volesse, e tu vedi il campo più piccolo, sempre più piccolo, fino a dimenticarti dove sei e ciò che stai facendo: in questo caso è impossibile entrare in partita. Ecco cosa è capace di fare una buona dose di sudditanza psicologica nel tennis; il primo caso su citato darebbe molte più chance di trionfare in un match a causa della presenza di motivazione e coscienza nei proprio mezzi. Ebbene da entrambi i casi è però possibile, con processi differenti, arrivare ad una sorta di complesso mentale per cui vincere una partita diventa molto più difficile se si continua a incappare in certe sconfitte. Pensiamo al Nole Djokovic di inizio 2008: grande giocatore, grande sicurezza che spesso diventava spavalderia, grandi vittorie. La sua rivalità con Nadal lo ha in qualche modo segnato, soprattutto dopo una lunghissima serie di sconfitte sul rosso che vedeva però il serbo imparare qualcosa in più da ogni match perso, tanto da far pensare di potercela fare prima o poi. E a dir la verità, ci è andato davvero vicino in quel di Madrid, nel 2009: grande prestazione, grande qualità, grande coraggio, ma tutto ciò non è stato sufficiente, dopo 4 ore di partita, a fermare la furia rossa. E il cerchio si chiude: sconfitta, lacrime in conferenza stampa e crollo emotivo e di conseguenza qualitativo, nel momento in cui bisogna riscendere in campo. Al di là del fatto che poi Nole ha avuto modo di riprendersi, l’esempio calza a pennello per capire come sia sottile il filo mentale sul quale cammina un giocatore, e che se questo filo dovesse spezzarsi non è per niente facile costruirne un altro. Ce lo insegnano anche altri illustri campioni: Borg (sembrava non lo scalfisse nulla prima che arrivasse Mc Enroe), Federer (prima parte 2009), Nadal (seconda parte 2009), lo stesso Mac. E adesso anche un certo Andy Murray: è proprio lui infatti, il detentore indiscusso del “tapiro d’oro 2010”.

CLASSIFICA

1) Andy Murray
Lo scozzese, come già citato, non poteva proprio evitarlo questo premio. Infatti sembra che il 2010, in alcuni suoi episodi, sia stato architettato in modo da concedere ad Andy delle cocenti sconfitte che di certo non lo hanno aiutato nel corso della stagione, provocando una crisi di fiducia che per diverso tempo si è rispecchiata nei risultati. E chissà se ha già smaltito l’ultima sconfitta del suo anno solare! E’ vero, perdere è una cosa normalissima nel gioco del tennis ma per Andy è sembrato davvero tutto disegnato ad hoc: lacrime in Australia e dolore tremendo per lo scozzese, che non si riprende fino al ricomparire dell’amata patria e dell’All England Club. Con Federer fuori e Nadal in sofferenza, sembra il favorito dopo i quarti, ma Rafa gela il Centre Court e fa precipitare Murray. Sul cemento sembra di nuovo un’altra storia: vittoria a Toronto e possibile finalista degli Us Open per i bookmakers, mentre è costretto ad uscire negli ottavi di finale dal buon Wawrinka; “eppure c’è ancora il Masters” qualcuno mormora, “lì potrà rifarsi, si gioca sul cemento, al meglio dei tre set e a Londra”- tutto vero, ma ancora una volta è Nadal a spegnere i sogni di più di mezza Inghilterra, dopo una partita storica che Murray ha davvero rischiato di vincere. Risultato? Tapiro d’oro e molte incognite sul suo inizio di stagione.

2) Juan Martin Del Potro
Poco da dire su di lui. Davvero sfortunato l’argentino che avrebbe potuto competere ad alti livelli e reinserirsi nel duopolio Roger-Rafa. Ci è voluto un infortunio per stroncargli un anno di attività, che a certi livelli, non è per niente poco. Si vocifera anche su una sua possibile depressione che lo allontanerebbe ancor di più dai campi da tennis. Ed ecco che ritornano la voglia, le motivazioni e lo spirito di rivalsa: se Juan Martin avrà queste tre componenti potrà, magari lentamente, tornare ad alti livelli; altrimenti sarà dura. Tapiro d’argento per lui.

3) Elena Dementieva
Davvero un peccato che la elegante matrioska del tennis femminile (cit) si sia ritirata senza vincere un torneo dello Slam: una come lei lo sarebbe davvero meritato in tutti questi anni e, gioia per la Shiavone a parte, avrebbe potuto farcela anche nel suo ultimo anno sulla terra rossa del Roland Garros se un infortunio al polpaccio sinistro non l’avesse fermata anzitempo, dopo aver perso il primo set al tie break (a fine match ha dichiarato di aver sentito un forte dolore dall’inizio). E idealmente, è stato proprio quello il suo ultimo treno. Elena però non si è presentata alla stazione quel giorno e per lei probabilmente (non si sa mai) non passerà più. Tapiro alla carriera!

4) Jo Wilfried Tsonga
Anche il francese non è stato di certo fortunato quest’anno, considerando il fatto che non è riuscito a trovare una costanza di gioco poiché non vi è stata una sufficiente continuità di tornei giocati. Dopo un grande Australian Open, fermato solo da Federer, Tsonga ha inanellato nel corso del 2010, 3 ritiri su 16 tornei giocati (contando la Coppa Davis). Ha saltato inoltre tutta la Us Open series, tornando solo a Tokyo per la tournee asiatica. Dopo la semifinale a Montpellier ecco che però arriva la mazzata (decisiva?) per lui e per tutta la Francia: ritiro da Bercy ma soprattutto ritiro dall’amata finale di Davis in Serbia per un problema al ginocchio (“la decisione più dura della mia carriera). Magari potrebbero andare con Del Potro a Lourdes.

5) Michael Llodra
Ha vinto il ballottaggio con Mahut per il semplice fatto che su di lui, nonostante le partite meno spettacolare del connazionale, gravava una pressione immensa. Il francese non è riuscito a reggere in una situazione davvero delicata, e ha dichiarato dopo la finale, di sentirsi colpevole per come è andata e di aver accusato il colpo. D’altra parte non avrebbe potuto essere altrimenti per un patriottico come lui. C’è da scommettere però che tutta la Francia avrà una grande voglia di rivincita nell’anno che verrà.

6) Nicolas Mahut
Un primo turno a Wimbledon, due challenger vinti in stagione e poco altro ancora; da quel primo turno però, è uscita una delle partite più pazze e più lunghe della storia: 11 ore e 5 minuti di gioco, quinto set più lungo di sempre sia per game (68-70) che per tempo. Un colpo davvero duro per Mahut perdere una partita così assurda, dopo tre giorni di lotta e più di 100 ace messi a segno. Essere parte di tutto questo è stata sicuramente una grande fortuna per il francese, ma uscirne sconfitto ha rappresentato un calo di fiducia in se stesso imponente. Per alcuni versi anche lui avrebbe meritato un posto nella top 3.

7) Vera Zvonareva
Ecco, la bella Vera è proprio una di quelle che si fanno sbranare dall’avversaria ancora prima di entrare in campo (se si tratta di un evento della massima importanza come una finale Slam). Wimbledon sembrava quasi un incantesimo per lei, per il modo in cui era riuscita ad arrivare alle finali del singolare e del doppio femminile. Scoppiata in lacrime quando era sul punto di perdere lo scontro in doppio (dopo essere uscita con le ossa frantumate da Serena in singolare), la russa è stata capace di ripetersi qualche mese più tardi a Flushing Meadows: stessa mattanza ma diversa avversaria: Kim Clijsters. La Zvonareva non entra mai nel match, e il suo sguardo è tetro, perso nel vuoto: 6-2 6-1 il risultato finale, impietoso nei confronti di una giocatrice che su 6 finali giocate nel 2010 ne ha perse 5.

8) Nikolay Davydenko
Dopo lo scintillante 2009, anno davvero apatico per il ventinovenne russo se si escludono Doha e Melbourne. Dopo il Master di Indian Wells il russo è stato costretto a prendersi un periodo di riposo forzato per un problema al polso, ritornando solo sull’erba di Halle a Giugno. Dopo la semifinale di Rotterdam a Febbraio, il russo non ha più assaporato il gusto di una semifinale, perdendo anche ai primi turni di tornei che lo scorso anno aveva dominato (per non parlare poi di Shanghai e Londra).

Premio Speciale
Il premio sarebbe stato assegnato e la classifica stilata, ma c’è un ultimo giocatore da premiare, con il tapiro di platino, perché davvero colui che sto per nominare non può entrare in competizione con dei tali dilettanti in termini di sconfitte. Si capisce che mi sto riferendo ad un italiano?Ebbene si, più precisamente a Simone Bolelli. Il bolognese, che quest’anno avrebbe dovuto esplodere, pare invece avviato verso un punto di non ritorno. Sei sconfitte nelle prime sei partite dell’anno e miglior risultato in un torneo che conta è il terzo turno al 500 di Barcellona. Davvero poco per un giocatore che avrebbe dovuto essere il futuro del nostro sport e che a parte un paio di challenger vinti a fatica in giro per l’Italia, non riesce davvero ad affermarsi su livelli pressoché medi.
 

Danilo Princiotto

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker