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28/12/2010 00:20 CEST - SPAZIO WALLACE

Un'esperienza quasi religiosa

TENNIS - Spazio Wallace, Capitolo 2. Prosegue il nostro piccolo viaggio sul più grande scrittore (di tennis) del mondo. "Roger Federer come esperienza religiosa" sa esaltare il lettore ma non sfama la sua voglia di lettura. Si vorrebbe leggere di più. Trovano spazio alcune perle straordinarie come la descrizione di un colpo del campione svizzero e alcuni scambi contro Nadal. Pier Paolo Zampieri

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Roger Federer come esperienza religiosa, Casagrande, 2010,
Il nostro viaggio attraverso i pochi libri del più grande scrittore (di tennis) del mondo tocca oggi il suo punto, apparentemente, più “alto”. E’ il pezzo più famoso di Wallace anche se solo dentro lo sterminato perimetro degli appassionati di tennis. Non certo in quello dei lettori di Wallace (1) e meno ancora per quelli appassionati di entrambi. In generale la sensazione è sì di un sapore squisito, trascendentale a tratti, ma a fine lettura, cosa inedita per i pezzi di Wallace, ci si alza dal tavolo con uno spazio vuoto in pancia. Si ha ancora fame. Eppure le premesse ci sono davvero tutte. I più forti tennisti del mondo, che si scontrano nel più importante campo da tennis del mondo, davanti al più grande scrittore di tennis del mondo. Una specie di Kolossal in 3D. Un festival di superlativi che ha un nome preciso: finale di Wimbledon 2006. Federer contro Nadal. Cosa volere di più?
Andiamo con ordine e dividiamo l’analisi del reportage in due momenti: cosa funziona (praticamente tutto) e perché, nonostante l’estasi promessa sin dal titolo, ci si alza dal tavolo affamati.

Cosa funziona: la lettura di Roger Federer come esperienza religiosa, è davvero godibile e la lettura a tratti è superlativa. L’inizio poi lascia senza fiato. E’ qui che il dritto di Federer viene battezzato “un’ampia frustata liquida” (2), è qui che il moderno gioco d’attacco da fondocampo viene chiamato “schema a farfalla”, è qui che c’è la descrizione dei famosi “Federer Moments”, sentite “Sembrava di vedere «Matrix»”. Non mi ricordo il genere di suoni emessi, ma mia moglie dice che quando è entrata in stanza il divano era coperto di popcorn e io ero in ginocchio, con i bulbi oculari tipo quelli dei negozi di scherzi.” (3) e soprattutto è qui che Wallace spezza l’analisi in due livelli paralleli ma distinti: la qualità del gioco dello svizzero e quello che suscita la visione di tale gioco. E siamo solo alla terza pagina. Per intenderci l’“esperienza religiosa” appartiene al secondo livello, dove la contemplazione del corpo umano nel suo sforzo agonistico tocca vette di “bellezza cinetica” dove è davvero raro che si inneschino (in noi) “i codici dell’amore in luogo di quelli della guerra”. Il prosieguo del reportage cerca proprio di spiegare quest’anomalia sensoriale (e spirituale) davanti ai colpi dello svizzero, con il prezioso ammonimento dell’abissale differenza che c’è tra la visione del tennis dal vivo e quella in televisione “il tennis in televisione sta al tennis dal vivo più o meno come un film porno sta alla reale sensazione dell’amore umano”. Insomma il problema di Wallace è questo: come è possibile nell’era delle racchette nucleari, dell’allenamento fisico che trasforma i giocatori in esseri fisicamente simili “ai supereroi dei fumetti”, che il tennis professionistico sia dominato da Roger Federer che, pur tirando mazzate tremende, produce sensazioni di bellezza, estasi e comunanza trascendentale? Insomma “La cosa straordinaria di Federer è che è Mozart e i Metallica allo stesso tempo, e l’armonia è squisita”. Come è possibile?
Wallace nel rispondere a tale domanda usa tre argomentazioni, ammonendo che due sono più plausibili dal punto di vista scientifico e giornalistico, mentre la terza chiama in causa cose come il mistero e la metafisica. E’ in questa terza risposta che lo svizzero viene visto come “creatura dal corpo che è insieme di carne e, in qualche modo, di luce”, dispensato, in parte, da certe leggi della fisica, come capitò ad Alì, a Michael Jordan, ed a pochissimi altri. (4) Il paradosso, in sintesi, è che chi è dotato di queste doti è proprio l’unico a non accorgersene. Ci racconta Wallace che nell’intervista fatta faccia-a-faccia con Federer, lo svizzero racconta di quanto, visto dalle tribune, il servizio di Ančić fosse incredibilmente veloce, invece dal campo, dice, è tutto molto più semplice, non vedi la velocità della palla, vedi solo la palla. In pratica succede che chi è dotato di riflessi sovraumani non ha la percezione di averli, vede semplicemente tutto con più tempo e la pallina che per noi si rimpicciolisce, causa velocità, per lui semplicemente si ingrandisce “come un pallone da basket ” (5). Intrecciate a queste considerazioni, ci sono descrizioni fisiche di moti rotatori, lunghi scambi Federer-Nadal raccontati minuziosamente per due pagine consecutive, considerazioni a margine sul bambino malato di cancro che ha lanciato la monetina per la scelta del campo o del servizio, considerazioni sull’evoluzione del tennis moderno con gustosa pennellata su Lendl e ovviamente le sue classiche descrizioni al fulmicotone “il modo in cui (Nadal n.d.a.) fa scorrere gli occhi con circospezione da una parte all’altra mentre percorre la linea di fondo, come un detenuto che si aspetti di essere accoltellato da un momento all’altro.”
Bene, tutto questo, non solo funziona, ma funziona a meraviglia. Si parla di tennis ma si approda letteralmente su di un’altra dimensione. Perché però l’“esperienza religiosa” è convincente nel gioco dello svizzero e non nella lettura del libro, come invece succede negli altri libri di Wallace?
A mio parere i motivi sono due, di cui solo uno è attribuibile allo scrittore americano. Quello non attribuibile a Wallace è che il pezzo in questione è notevole ma semplicemente non è stato pensato (e scritto) per essere un libro autosufficiente, bensì come un magistrale articolo per una rivista (6). In fondo il celebre mantra di McLuhan “il Medium è il messaggio ” (7) ci ammonisce proprio su questo (8) . La sensazione, personale, è che il libro in questione, in quanto libro, sia una mera operazione commerciale a tutti gli effetti, manca un’introduzione, non è indicato il titolo originale del pezzo in inglese, le note a piè di pagina sono in coda e non appunto a piè di pagina (in Wallace è un vero e proprio delitto), insomma è spacciato come pranzo quello che è stato pensato come aperitivo, o antipasto, di gran classe. (9) E’ questo il motivo principale della non sazietà, terminata la lettura.
L’altro motivo, invece, chiama in causa proprio Wallace e, a mio avviso, letto con l’infallibile senno del poi, lo scrittore americano ha clamorosamente sottovalutato (nel 2006) la carica eversiva e le potenzialità di Nadal, che, lungi dal togliere nulla all’aura divina dello svizzero, lo ha invece traghettato dentro una dimensione di drama sportivo-religioso ancora più alta, per intenderci più vicino al politeismo dei greci che al monoteismo imperante. Letteralmente un’altra Era. In conclusione io non credo che Federer, da solo, senza la nemesi Nadal, avrebbe potuto traghettare l’intero circuito del tennis moderno in quella che negli anni sarà ricordata come una nuova Golden Age.

(1) Che è un perimetro estremamente vasto, ma con, relativamente, poche intersezioni con quello precedente.
(2) Viste le pochissime pagine del libro (56 in formato elementare) ho deciso che non metterò i riferimenti alle pagine come ho fatto nelle altre puntate. Mi sembrerebbe un’operazione ridicola.
(3) Davanti ad un punto di Federer contro Agassi nell’U.S. Open 2005 descritto nel testo minuziosamente, anche se con un errore notificato alla fine del “libro”.
(4)
“Quanto alla palla che collabora e resta sospesa, rallentando la corsa, come influenzata dalla volontà dello svizzero – qui c’è un’autentica verità metafisica”.
(5) C’è stato recentemente un articolo su Ubitennis di Francesco Pagani che ha affrontato il problema da una prospettiva analoga. Vedi qui
(6) Tale operazione non è nuova in Wallace. Anche i pezzi trattati nella prima puntata, soprattutto il primo, sono relativamente brevi, ma incastonati dentro gli altri reportage, danno all’insieme una dimensione semplicemente grandiosa.
(7) M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Milano, il Saggiatore, 1979, (1964).
(8) Non saprei come dirla meglio. Se (come è capitato a me) uno spende un euro per La Repubblica e ci trova dentro il pezzo in questione è una specie di rivelazione ed un autentico dono. In più sembra lunghissimo. Diversa è la sensazione se uno spende 8,50 Euro per lo stesso pezzo su di un libro, che ha ben altre promesse.
(9) Anche la copertina è troppo “esplicita” e la traduzione, a naso, non è sempre felicissima.

CAPITOLO 1 - IL TENNIS E L'UOMO AD UNA DIMENSIONE

Pier Paolo Zampieri

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker