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12/01/2011 12:40 CEST - AMARCORD

Jimbo, Arthur e..."nastasate"

TENNIS - Riuscite ad immaginare un tempo in cui il numero di telefono del campione di Wimbledon era sulla guida del telefono? Così andò con Arthur Ashe. E un ragazzo del Bronx, Doug Henderson, accettò l’offerta e iniziò un’amicizia. A cura di Roberto Paterlini

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E poi ci fu l'amicizia con Jimmy Connors. Era il tempo in cui quello stesso ragazzo del Bronx, assieme ad un compagno di scuola, poteva comperare un biglietto a poco prezzo per lo Us Open a Forest Hills, entrare nella Club House, sedersi negli spogliatoi per alcuni minuti e finir per diventare la guardia del corpo/assistente di Jimmy Connors tutte le volte che questo si trovava a New York. Questo è ciò che accadde ad Henderson allo Us Open del 1974. Lui e il suo amico stavano spiando da una finestrella Chris Evert che si allenava, quando alle loro spalle udirono una voce: “Vi spiace se do un’occhiata?”. Era l’allora fidanzato della Evert, proprio Connors. Il suo coach Pancho Segura iniziò a chiamare i ragazzi, entrambi neri, “fratelli”, e poi ebbe un’idea. “Jimbo,” disse a Connors. “Portati dietro questi ragazzi, e nessun altro, e non avrai nessun problema con il pubblico.” Connors fu d’accordo, e Henderson e il suo amico uscirono con lui e il suo entourage sulla terrazza del Club, dove i membri, tutti bianchi e stupiti, stavano pranzando. “Si sarebbe sentito cadere uno spillo,” ricorda Henderson.

Ancora vedo Doug Henderson seduto vicino alla moglie di Jimmy Connors, Patti, all’Open nei tardi anni ’70 e primi anni ’80, il suo cappello bianco ne era distintivo, ed è ben visibile in una delle più famose foto dell’infame incontro tra John McEnroe e Ilie Nastase. Henderson, preoccupato per l’incolumità del suo amico in un Armstrong Stadium vicino alla rivolta, entrò in campo assieme a diversi poliziotti. Racconta questa storia, assieme a quelle della sua amicizia con Ashe e Connors, nel suo nuovo e-book, Endeavor to Persevere.

Il nucleo del libro è la certificazione delle personalità così diverse di Ashe e Connors. Assieme formano un paradosso, che Henderson riconosce immediatamente. Racconta che la sua vita era stata cambiata un mese prima che incontrasse Connors, quando aveva acceso la TV e visto il Picchiatore di Belleville infiammare il Centre Court e battere in tre set il vecchio gentleman Ken Rosewall. Per la prima volta, questo fan degli sport di squadra, si era reso conto di come il tennis fosse una “guerra in campo”. Henderson si innamorò del nostro sport proprio quel giorno. Capì anche come Jimbo, un bianco del Midwest, aveva portato la “strada” nel tennis, soprattutto perché il miglior nero del tennis, Ashe, manteneva un atteggiamento educatamente freddo. Un nero alla Muhammad Ali non sarebbe stato accettato nel tennis di allora: è stato necessario che vi fosse un Jimmy Connors prima di una Serena Williams.

Henderson, il ragazzo del Bronx che frequentava la prestigiosa Horace Mann High School, tentò di fare da ponte tra Connors e Ashe, con successi alterni. Quando Ashe lo vide per la prima volta con Connors non sapeva che fosse la stessa persona che l’aveva chiamato al telefono, e pensò: “Cos’ha intenzione di fare questo pazzo di un Connors ora, ad assumere una bodyguard nera?”

In vari momenti Henderson cercò di essere un anello di congiunzione tra i due, dando a Jimbo dei consigli tattici e tecnici da parte di Ashe, ma Connors era un tipo alla “Io contro il mondo” quando si trattava di competizione, e già sapeva che amicizia e competizione non andavano d’accordo. Più tardi, tuttavia, quando la carriera di Ashe era finita e quella di Jimmy sul viale del tramonto, Doug ricorda i due con le rispettive consorti ridere e divertirsi come non mai ad una festa.

Ma questo libro è soprattutto la storia dell’amicizia tra Henderson e Connors, e le sue osservazioni riguardo alla capacità di Jimbo di non mollare mai, durante gli alti e bassi della sua lunga carriera. Ci sono anche molte storie per i “malati” di tennis, riguardo a Borg, McEnroe, Vilas, Lendl e Agassi. Naturalmente la mia preferita coinvolge Ilie Nastase: all’Open del 1976 sta giocando un incontro di primo turno contro il tedesco Hans Pohman, e questo ha i crampi, ma ogni volta è talmente melodrammatico ed esagerato nel manifestare il suo dolore, che alla fine Ilie esce di testa. Il pubblico “booeggia”, a fine partita Pohman si rifiuta di stringere la mano a Nastase, il quale di risposta gli sputa addosso, l’arbitro stesso si rifiuta di stringere la mano a Nastase, e lui allora sbatte la racchetta contro il suo seggiolone. Henderson e Connors si dirigono verso gli spogliatoi dicendo di non aver mai visto un comportamento tanto scorretto da parte del pubblico, ma sorprendentemente trovano Nastase che sta cercando di riappacificarsi con Pohman. Gli tende la mano, ma Pohman risponde: “Non ti stringerò mai la mano.” Nastase allora ritrae la mano e dice le uniche parole che ti aspetteresti sentirgli dire: “ Fot---i Hitler!”

L'ARTICOLO ORIGINALE

Roberto Paterlini

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