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18/01/2011 16:46 CEST - Australian Open

Il cammino di Del Potro

TENNIS - L'argentino, vincitore degli US Open 2009, è tornato a giocare una partita in uno Slam battendo l'israeliano Dudi Sela in 3 set (76 64 64). Il gigante di Tandil è apparso in versione "depotenziata": il suo diritto non appare devastante come nei giorni migliori. Ancora problemi fisici o sfiducia nei propri mezzi? da Melbourne, Luigi Ansaloni

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La domanda viene spontanea e nemmeno l’aria un pò calda e umidiccia tutta australiana se la fa sfuggire: ma Juan Martin Del Potro è davvero tornato? Il gigante di Tamil è in campo con Dudi Sela, israeliano rognoso dalla faccia non proprio simpatica, e gli spettatori lo guardano con la stessa cura rivolto a un bambino. Strano, per un ragazzone di 23 anni alto quasi due metri. Ogni suo colpo è seguito da sguardi misti di curiosità e impazienza, ogni suo movimento è pesato con cura svizzera, ad ogni suo sguardo c’è la corsa per decifrarlo il più esattamente possibile. Il campo numero 2, dove il vincitore dell’Us Open 2009 ha fatto ritorno in una partita dello slam, è tutto per lui, e non potrebbe essere altrimenti.

Poco importa il risultato finale, la vera sfida è quella di capire come sta Del Potro. Nessuno, tantomeno il giornalista un po’ sudaticcio per via dell’errata composizione del suo guardaroba australe, può rispondere con certezza a questo quesito, ma tuttavia si può dire che i segnali dal pianeta Juan Martin sono quantomeno incoraggianti. L’argentino, ora sceso a numero 236 del mondo dopo essere numero 4 giusto un annetto fa, ha vinto la sua battaglia contro Sela in due ore e 39 minuti, in tre set: 7-6 6-4 6-4 il punteggio finale. Frazioni tutte abbastanza tirate, specie la prima, dove Del Potro l’ha spuntata dopo una lotta al tie break prolungata fino al 15-13, dove il sudamericano ha dovuto sudare le proverbiali sette camicie per avere la meglio, annullando anche due set point.

A prima vista, il gioco dell’argentino non sembra essere cambiato più di tanto, come stile almeno. Quello che colpisce è la potenza che non c’è più. Il suo dritto non lascia inceneriti quando parte, lo “sventaglio”, marchio di fabbrica in quel di Tandil, non colpisce più implacabilmente come ai bei tempi. Tanto per capirci, se prima Del Potro chiudeva lo scambio solo dando un colpetto di acceleratore col dritto, tanta era la devastazione del suo colpo, adesso questo non avviene più. Tutto questo porta inevitabilmente a più fatica e più sofferenza, anche perché l’avversario, che prima faceva di tutto per evitare la pestilenza, adesso sa di avere una speranza anche giocando nella parte destra del campo. Capiamoci, tutto ciò è normale, normalissimo. Farsi male al polso non è uno scherzo, tutt’altro, e riprendere il cammino dopo un anno passato a casa o dal fisioterapista o da qualche altro medico è senz’altro difficile.

Il nocciolo del problema è capire se il “depotenziamento” di Del Potro sia solo un fatto di fiducia o un diverso movimento dei suoi colpi per prevenire un nuovo infortunio e malanni vari. Nel primo caso, il ritorno dell’eroe sarebbe solo una questione di tempo, nel secondo invece gli scenari sarebbero diversi e tutti da vedere. A sensazione, sembra prevalere più l’ipotesi della fiducia mancante, visti anche i 52 errori gratuiti del gaucho di Tandil, non proprio pochi. L’altra micidiale arma a disposizione dell’argentino, il servizio, non sembra invece aver risentito di pausa e fatica: 19 aces, 3 doppi falli, 76% di punti realizzati con la prima e una punta di 210 chilometri orari come velocità. Niente male davvero.

Il cammino di Juan Martin è ancora lungo, ma bisogna avere pazienza. Un po’ come chi è sotto il sole australe con giacca e polo a maniche lunghe, fidandosi di quelle nuvole che promettevano pioggia. Dimenticandosi della forza del sole.

"Mi sento bene, è bello far parte del torneo - ha detto l'argentino a fine match - sono veramente eccitato di essere qui, incontrare i giocatori, soprattutto i primi 10 del mondo. Mi hanno supportato tanto quando ero veramente giu, mandandomi messaggi, email. Sto provando a tornare a giocare come prima, a non cambiare niente nel mio gioco, sto lavorando duro con il mio coach, ma ho bisogno di tempo. Qualche volta spingo tanto, qualche volta no, è normale. L'ultimo anno per me è stato davvero terribile. Per 3 o 4 mesi nessuno sapeva in realtà cosa avessi al polso, e questo mi ha distrutto anche mentalmente. Poi dopo l'operazione il dottore mi ha detto che con un pò di pazienza avrei ripreso a giocare, e lo sono stato. Ora sono felice. Ho solo bisogno di tempo".

In serata il cipriota Marcos Baghdatis, finalista qui nel 2006, ha superato lo slovacco Zemljia per 62 al quinto set in oltre tre ore di gioco.

Luigi Ansaloni

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker