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31/01/2011 14:25 CEST - AUSTRALIAN OPEN

Murray: rimorsi che non avrò

TENNIS - Un'altra deludente prestazione dello scozzese nella sua terza finale Slam, la seconda consecutiva qui in Australia. Non ha mai vinto un set: dominato da Djokovic, perchè Andy persevera in un atteggiamento così passivo? Vincerà mai uno Slam? Questa sembrava proprio la migliore occasione... Rossana Capobianco

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"Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall'altruismo, dalla fantasia..". Questa inflazionata strofa di una delle canzoni più famose e più belle di Francesco De Gregori trova anche oggi un suo preciso scopo.
Quello di definire, attraverso l'ironia intesa come figura retorica, tutto ciò che Andy Murray non è. Almeno, non ancora.
Iniziamo dalle scusanti, dalle speranze, da tutto ciò che potrebbe (potrebbe, ma non può) giustificare la deludente prestazione dello scozzese oggi.

Non ha ancora 24 anni. Già, Murray è ancora giovane e ha una carriera intera davanti a sè.
Si è trovato di fronte un grande Djokovic, che aveva dato tre set a zero perfino a Roger Federer. Tutti i meriti del caso al serbo, senza dubbio.
Sente addosso tutta la pressione della stampa britannica, la gente del suo Paese, sua madre, la fidanzata, il suo cane. Mai facile gestire la pressione, poco ma sicuro.

Se volete, troviamo anche delle scusanti tecniche.
Il dritto di Andy non è realmente competitivo quando non deve appoggiarsi alla velocità della palla dell'avversario e quando non ha troppo angolo.
La seconda di servizio non è di livello eccelso, ed è facilmente attaccabile.

Ora però abbiamo finito. Lo confesso apertamente: oggi ho sperato, prima del match, che Murray ce la facesse. Non per motivi personali, semplicemente perché una vittoria avrebbe potuto significare realmente un cambiamento di alcuni trend che temo ora saranno perfino più marcati. L'atteggiamento sparagnino e molle dello scozzese, che ha ancora vezzi da puro juniores, e più seri pretendenti ai titoli importanti.
Non so se chi all'epoca Us Open 2008, quando aveva sentenziato che la colpa di quei tre set a zero contro Federer era della stanchezza dovuta alla scellerata programmazione statunitense, ne sia ancora convinto.
Tre finali Slam, neanche un set. E se nelle prime due Andy aveva trovato un Federer stellare, dopo aver dovuto battere Nadal spendendo molto anche a livello mentale, questa era l'occasione più ghiotta che poteva capitargli:
Dolgopolov ai quarti, Ferrer in semifinale. E oggi, l'amico Novak. Novak che uno Slam ce l'aveva già in saccoccia e che ha giocato un tennis solido, palle profonde, buone accelerazioni, tenuto alta l'intensità degli scambi.
Ma che contro uno con il potenziale di Murray, oggi, non avrebbe mai dovuto vincere così agevolmente.

E allora cosa manca ad Andy, prima di tutto?
La risposta è davvero troppo semplice: il coraggio.Non il coraggio di attaccare, di lottare, di vincere. Il coraggio di giocare.
Qualcuno una volta disse, a proposito della scrittura: " Scrivere equivale a sputtanarsi su un foglio. Ci vuole mancanza di pudore, ci si deve spogliare del proprio pudore".
Murray ha ancora questo pudore, dentro di sè, e se lo tiene stretto. Un po' per paura, e anche per convinzioni sbagliate. Forse perfino per emulazione.

Ha la personalità del guastafeste impertinente, quello che scombina i piani al Grande Capo, ma poi il Grande Capo non lo vuole fare. Ed è un peccato vero, perché i mezzi per farlo li avrebbe tutti.
L'impegno, l'ambizione, la sensibilità di tocco, la solidità, l'intelligenza tattica. La capacità di giocare i punti importanti durante il match. Ma quando c'è da sedersi di prepotenza a capotavola, Murray preferisce un posto qualsiasi, pur di non rischiare troppo.

Oggi nemmeno Nole ha esultato come al solito. Perché malgrado lui stesso abbia "provato" più volte a rimettere l'avversario in partita durante alcuni naturali cali di tensione, ha capito che dall'altra parte della rete c'era un giocatore spento: dritto falloso, servizio quasi non pervenuto, rovescio insolitamente impreciso. E l'atteggiamento di chi non vuole farsi troppo male e si nasconde.
Una partita onestamente non entusiasmante, giocata sul ritmo e su scambi lunghissimi; giocatori tatticamente troppo simili per esaltarsi a vicenda.

Lo scorso anno, dopo la batosta australiana, la primavera dello scozzese fu molto amara; su tutti il match perso a Montecarlo senza mai entrare in partita contro Kohlschreiber fu molto indicativo del fatto che no, Andy non aveva ancora superato lo shock. I sospetti erano venuti anche prima, sul suo amato cemento -lento- di Indian Wells e Miami.

Le conclusioni sono sempre abbastanza inutili, quando un evento è ancora in divenire. E Murray è ancora un giocatore in divenire.
Ma quello che diverrà dipende solo da lui. E da quanto coraggio avrà di giocarselo, il proprio avvenire tennistico. Perché Federer e Nadal sono ancora lì, insieme all'amico Nole.
E quelli che verranno potranno non essere così timidi. E gli inglesi potrebbero un giorno rimpiangere Henman: almeno ti divertivi.
 

Rossana Capobianco

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