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31/01/2011 09:31 CEST - Rassegna Stampa del 31 Gennaio 2011

Speciale Rassegna - Il bis di Djokovic signore in Australia (Clerici, Martucci, Tommasi, Azzolini, Piccardi, Lombardo, Semeraro, De Martino)

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Rubrica a cura di Daniele Flavi

Il bis di Djokovic signore in Australia

Gianni Clerici, la repubblica del 31.01.2011

Aridatece Nadal contro Federer. Nessuna, dico nessuna delle loro ventidue partite è stata moscia quanto la finale del Grande Slam di domenica sera, vinta da Djokovic perle sue qualità amministrative, e perduta da Murray per una presupponenza certo superiore al talento. Dopo aver ancora votato a favore della regina Elisabetta nel 1999, gli aussies avevano, pur educatamente, preso le parti dello scozzese, non certo quelle di un serbo sostenuto soprattutto da gruppuscoli calcistici della ultima generazione di immigrati. Annusando il successo, il primo dopo quello di Wimbledon di Perryne11936, il Times di Londra aveva addirittura spedito qui il suo miglior columnist, quel Simon Barnes che certo sciupa il suo talento nel giornalismo. Temo che le sue considerazioni non saranno meno luttuose delle mie. Nonostante gli isterismi della mamma allenatrice in tribuna, Andy ha disputato una scoraggiante partita, semidivini Federer Nadal, ma senza riuscire minimamente a rimasto a galleggiare dietro ai trovare un'idea tattica che potesse scalfire la solidità della difesa attiva adottata da Djokovic. Par giusto ricordare, per i lettori non aficionados, che il serbo già aveva vinto uno Slam a Melbourne, tre anni addietro, battendo in finale uno Tsonga che pareva a molti, e non solo per il suo sangue misto, l'erede di Yannick Noah. Dopo di ciò, con tutto il suo talento di attore protagonista, Nole Djokovic era onesto dire che Murray, più che resuscitare il fantasma di Perry, Una finale da far rimpiangere Nadal e Federer: Andy senza idee contro la tattica del rivale era parso una sorta di gemello di Henman, un tipo incapace svestire i panni del winner, per la delusione di un intero paese, bene o male il paese titolare di un certo Wimbledon. Ma par giusto ritornare per qualche riga al presente, anche se, forse, il livello del gioco non lo meri te rebbe. I due erano arrivati in finale smarrendo Murray due soli set contro la rivelazione Dolgopolov e il ciclista Ferrer, e uno soltanto Nole, perfino immacolato nell'incontro con il Federer dei poveri. Nei loro testa a testa, Djokovic aveva vinto i primi quattro match, ma Murray pareva aver trovato la giusta chiave tattica attribuendosi gli ultimi tre. A monte di ciò, lo scozzese non aveva mancato di ricordare un primo confronto infantile, nel torneo Petits As di Tarbes, che avrebbe causato un trauma al piccolo Nole per un dodici a uno. Anche in questa sua affermazione, Andy non si è certo dimostrato all'altezza di Freud. Fin dal primo set un Djokovic solidissimo ha saputo evitarne gli attacchi bloccandolo sulla linea di fondo per lunghezza e continuità di tiri. Contro una simile regolarità attiva sarebbe stata necessaria ad Andy una tattica di attacco, o una superiore potenza, ma lo scozzese non ha saputo mostrare altro che stizza o occasionale ribellione. L'unico istante di dubbio sarebbe giunto quando, vistosi perduto, Murray si sarebbe spinto finalmente a rischiare, e sarebbe risalito da uno tre a tre pari nel terzo. Ma quell'accenno di ribellione moriva presto, e Djokovic concludeva quella sorta di allenamento agonistico con disinvoltura, concendendosi nel dopopartita le eleganze che già aveva mostrato, da noi, nei suoi duetti con Fiorello. Fine, ahinoi, scoraggiante di un torneo che ha portato in questo grande stadio seicentocinquantamila spettatori. Mica male, l'affluenza. Meno buono il tennis, sempre più simile a un videogioco

Ora Djokovic può diventare il numero 1 al mondo?

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 31.01.2011

Il Novak Djokovic, che a Melbourne ha demolito Andy Murray nella finale degli Australian Open 6-4 6-2 6-3, può ragionevolmente aspirare al numero 1 del mondo, dove si alternano Rafa Nadal e RogerFederer. Perché, dopo tanto lavoro, fisico, tecnico, tattico e mentale, da numero 3, si è appropriato del nomignolo, «il nuovo Lendl», che gli era stato affibbiato nel ricordare il ceco, naturalizzato statunitense. Solidissimo nel gioco da fondo campo, essenziale nei colpi, anche noioso nelle sue trame, ma efficiente come nessuno, ed implacabile nell'applicarle in modo sistematico. Oltre che intelligente, fuori dal campo. Con un'ironia più sottile di quella del 23enne serbo, ma meno appariscente. Che comunque va rapportata ai tempi, visto che, negli anni 80, «Ivan il terribile» era la classica formichina, l'antitesi di «Genius» McEnroe, la fantasia del tennis. Anche il ceco si basava sull'uno-due servizio-dritto, che si era costruito col duro allenamento, anche lui non frequentava volentieri la rete, anche lui era l'esempio della metodicità e dell'esasperazione dei particolari. Con queste armi, «Nole» - come tutti, prima a casa sua e ora nel tennis chiamano, Novak - è uno specialista del cemento, dai regolarissimi rimbalzi, dove infatti ha firmato due Australian Open (su Tsonga e Murray)…….

La sorpresa non è stata la vittoria di Novak Djokovic

Rino Tommasi, la gazzetta dello sport del 31.01.2011

La sorpresa non è stata la vittoria di Novak Djokovic, che in fondo era il terzo favorito all'apertura del torneo ed anche il mio alla vigilia della finale, ma il modo in cui l'incontro si è sviluppato. Hanno deciso la migliore preparazione mentale del serbo e la maggiore tranquillità con cui è sceso in campo. Andy Murray ha pagato troppo cara la delusione per aver perso il primo set uscendo di partita per quasi tutto il secondo set non incanta ma è mostro di solidità provando a rientrarvi quando ormai era troppo tardi. Che non fosse la serata giusta per lo scozzese si è capito quando nel terzo set Djokovic ha sciupato un vantaggio di 3 a 1 facendosi raggiungere sul 3 pari senza che Murray avesse la forza e la capacità di proseguire la sua rincorsa. Djokovic ha limitato ad un paio di palle corte senza senso la dose di sciocchezze che poteva concedersi, per il resto ha giocato una partita molto solida da incontrista implacabile ed ossessivo. Non è un giocatore che incanta, non ha il repertorio e la varietà di colpi di Federer, né la caparbia ferocia agonistica e l'esplosività di Nadal ma amministra con ordine e con ammirevole continuità le sue qualità. C'è tutta una stagione per verificare se questo primo Slam potrà modificare le gerarchie del tennis ma sicuramente Djokovic e lo stesso Murray promettono un rinnovamento, non certo una rivoluzione.

Djokovic si ripete, Murray piange ancora

Daniele Azzolini, tuttosport del 31.01.2011

Il futuro è questo? Speriamo di no. Speriamo che finali del genere non diventino la norma, quando Federer avrà concluso il suo ciclo, e Nadal non avrà più voglia di limare nervi e tendini di un fisico già costretto più volte in officina. Speriamo che Andy Murray rinsavisca, un giorno o l'altro, e metta da parte i suoi sensi d'insufficienza, le sue paturnie, gli urlatici in direzione di mammà, da moccioso prepotente, e la pianti di sentirsi già battuto prima di scendere in campo, guerriero senza paura nei primi turni poi timida educanda quando il copione impone di alzare la voce. Speriamo che presto, molto presto, si affacci ai piani alti del tennis un ragazzetto baciato da una qualsiasi divinità del tennis, un Dimitrov, o un Raonic, predestinati a parere di tutti, ma certo non ancora ultimati. Speriamo che questi Australian Open non siano davvero quella finestra sul futuro che in molti dicevano che fosse, eccitati dall'uscita di scena dei dominatori Rafa e Roger, quasi fosse una colpa essere così più forti degli altri. Sarebbe ben misera cosa se il futuro fosse costellato di altre imbarazzanti prove come quella messa in scena da Andy Murray. CHE BATTUTA! Ci teniamo stretti Novak Djokovic, di questa insulsa finale australiana Ha vinto il torneo due volte, forse tre, dall'alto di un invidiabile stato di forma. Uno capace di recuperi talmente accelerati da dare agli avversari la sensazione di giocare contro un flipper. Ha battuto Berdych nei quarti, poi Federer, infine Murray. Tre trabocchetti infidi, nei quali altre volte ci sarebbe franato dentro. Questa volta li ha superati in tre set, o se preferite in tre balzi, senza incespicare, senza lasciare sulla scia qualche pezzo del suo gioco, se non di se stesso, come talvolta gli era successo. Non solo. Nei primi due set, 1 set, Djokovic ha concesso a Murray appena sei punti sulla sua battuta.11 nuovo Djoko ha imparato a servire? Non proprio. Non ancora. Ma i progressi sono evidenti, dunque ha studiato, s'è applicato. E questo gli fa onore, lo rende campione a pieno titolo. Perché solo i campioni hanno il coraggio di mettersi in discussione. COME UNA SUORA Federer e Nadal lo hanno fatto, più volte. Djokovic lo ha fatto, ed ha incassato il secondo Slam. Lo farà mai Murray? Lo scozzese che doveva riconsegnare lo Slam alla Casa Madre, fra le trepidanti braccia di un pubblico che attende da 75 anni (era il 1936, quando Fred Perry vinse il suo ultimo Major) ha disatteso ancora una volta le consegne. Ha giocato tre finali Slam, una peggio dell'altra. Due le ha perse con Federer, agli Us Open del 2008 e qui, l'anno scorso. L'ultima con Djokovic, che è stato suo compagno di giochi, al punto che qualcuno, ai tempi in cui il serbo girava da nomade per l'Europa, pensò di annetterlo all'Inghilterra. Non sono in discussione le qualità tecniche di Murray. È solido e sa fare tutto. Piuttosto, appaiono incomprensibili i limiti agonistici, che lo rendono pavido come una suora all'esame di scuola guida, e ancor più le scelte tattiche, da circolo dopolavoristico. Non ha senso affrontare Djokovic (questo Djokovic, così pieno di energie) solo da fondo campo, senza variazioni sul tema e senza tentare qualche affondo, o qualche avanzata a rete. Sarebbe bastato chiederlo al primo australiano in coda ai cancelli della Rod Laver Arena. «Non lo fare», gli avrebbe risposto, «a meno che tu non voglia finire impallinato». E Murray l'ha fatto. PIU' SAGGIO Ora e li, ancora frastornato, che ringrazia il suo angolo, lo stesso che fino a pochi minuti prima aveva accusato di ogni nefandezza, quasi fossero loro a giocare al posto suo. E dimostra di non aver capito, anche quando dichiara di non avere molto da rimproverarsi. «Che volete», dice, «quando Nole gioca così, c'è poco da fare. Sono dispiaciuto, ma meno dell'anno scorso. Sono stato battuto da un avversario che ha giocato un tennis vicino alla perfezione». Avrà tempo per rifletterci su. E di imparare da Djoko, che con gli anni è diventato più saggio. «Non penso di candidarmi a nuovo re del tennis. Nadal e Federer sono ancora li, davanti a me. Erano cose che dicevo qualche anno fa, quando ero un ragazzino. Ora mi sento diverso, più esperto. Credo di essere anche un giocatore miglio- re che nel passato, e mi tengo stretta questa seconda vittoria a Melbourne. Mi sento appagato». Ha giocato bene tutti i match, la finale soprattutto. Federer gli sta sopra di 85 punti. Pochini. I Fab Four al momento restano solo tre.

Dopo la Davis, Nole si riprende anche l'Australian Open

Gaia Piccardi, il corriere della sera del 31.01.2011

«La buona notizia è che non ho ancora dato il 100 per cento di me stesso» dice piacione il primo dei Normali spogliandosi per la storia — via la polo —, i tifosi —via la racchetta— e le telecamere —via le scarpe —, al termine di una di quelle gag studiate in corso d'opera che spinsero Fiorello, un paio d'anni fa a Roma, a chiedergli di fare da spalla per una sera a teatro, onore riservato a pochi. Il bi campeòn dell'Australian Open, Novak Nikhil Djokovic, 23 anni, figlio di Srdjan e Dijana (i rapporti di parentela sono importanti in questa storia), fratello dei futuri professionisti del tennis Djorjde e Marko («Sento forte la responsabilità di averli ispirati e li aiuto in tutti i modi»), si accontenta della perfezione («Ho vissuto il sogno di ogni giocatore: non ho sbagliato niente, dalla prima all'ultima palla...») e rispedisce sul lettino dello psicanalista Andy Murray, britannico per i sudditi di Sua Maestà fino a ieri mattina, di nuovo scozzese da oggi, colpevole di essersi lasciato scippare la terza finale Slam in tre anni, «un episodio per il quale non perderò il sonno» e non ha sprecato, a differenza dell'anno scorso, pubbliche lacrime. Non c'è match, sul centrale di Melbourne disertato da Roger (messo k.o. da Nole) e Rafa (messo k.o. dal logorio della vita moderna), tra l'erede designato al trono, Djokovic, e l'aspirante erede di Fred Perry, Murray, ma non è con le proiezioni che si costruiscono le piccole leggende e, dunque, è qui e ora che Note fa la differenza, 6-4, 6-2, 6-3 producendosi in un meraviglioso spot per il tennis e per la nuova Serbia che gli calza a pennello, leale e progressista, lontana anni luce dal passamontagna di Ivan Bogdanov che tenne in ostaggio Marassi (Italia-Serbia, 12 ottobre 201o) e provocò lo sdegno a distanza di Nole: «Questo è un periodo duro per la mia gente — dice dopo aver stampato le tre dita (Dio, patria, famiglia) contro il cielo —, ogni giorno mi sforzo di presentare il mio Paese nel miglior modo possibile e quindi questo trofeo è per te, Serbia!». Nella grande madre che ha trascinato in cima al più antico trofeo dello sport dopo l'America's Cup, la Davis Cup (battendo la Francia a Belgrado lo scorso dicembre), Nole affonda le radici di un carattere allegro nonostante le bombe («Nel '99, ogni notte per due mesi venimmo svegliati dalle sirene dei bombardamenti della Nato. La guerra ci diede una dimensione più netta di comunità e di nazione, ci unì incredibilmente») e di un gioco moderno e solido, il cui diritto di primogenitura è da ricondurre alla donna più importante della vita di Djokovic dopo Dijana: Jelena Gencic, la maestra del Banjica Tennis Club che strappò il giovane Nole allo sci (i Djokovic gestivano un ristorante in montagna), intuendone, a 6 anni il talento. Oggi, in Serbia, Nole è un idolo. E un businessman. Il Novak Restaurant è in centro a Belgrado. Il Serbia Open, in calendario ad aprile, appartiene alla famiglia. Il futuro centro tennis, 20 campi, è in rapida costruzione come la carriera del numero 3 del mondo che in Australia ha giocato da numero i. Destinato, ormai sembra questione di poco, a diventarlo.

Torna la Jugoslavia. Potenza dello sport

Marco Lombardo, il giornale del 31.01.2011

Oltre Adriatico per cui terribilmente vicina, quanto a confronti, a noi italiani. Il serbo Novak Djokovic ha conquistato il suo secondo Slam vincendo facile - contro l'inglese Andy Murray - l'Australian Open a Melbourne. Nello sci, a Chamonix, l'asso croato Ivica Kostelic ha stupito tutti andando centrando una supercombinata che, dopo il 24 tempo nella discesa con due secondi e mezzo di ritardo, pareva impossibile. Per lui 7 sigillo stagionale e classifica generale di coppa ipotecata (ha quasi 500 punti in più del secondo).
Djokovic, l'imitatore diventato inimitabile. Dio, patria e famiglia. Ci sono tre cose che per un serbo sono più importanti di tutte e una cosa che per un tennista che ha già vinto uno Slam è assolutamente necessaria: vincerne un secondo. Novak Djokovic in un colpo ha soddisfatto tutte le sue necessità, anche se stavolta - per rispetto di chi, al terzo tentativo, lo Slam non lo ha ancora assaggiato -, non ha celebrato il successo negli Australian Open con le tre dita alzate, così come invece aveva fatto dopo aver battuto Re Federer. Dio, patria e famiglia, Nole è tutto questo, una cosa normale per chi abita a Belgrado, una cosa privata per uno dei più simpatici giocatori del circuito che adesso uscirà dal circolo degli «one Slam winner», ovvero di quelli bravi ma non troppo. E se Andy Murray, battuto in tre set (6-4, 6-2, 6-3 in poco più di due ore), dice che il fatto di non vincere un grande titolo non è cosa che non lo fa dormire di notte, Djokovic invece fa capire qual è la differenza tra un grande campione e un'eterna promessa: «Avevo vinto a Melbourne tre anni fa, sembra preistoria: oggi tutto corre più veloce, le palle, i giocatori, la vita. Ho dovuto resettare il mio cervello e dividere il privato dal lavoro. Perché sapete: siamo umani, se qualcosa non va si vede anche sul campo. E oggi invece sentivo di poter arrivare su qualsiasi pallina». Orgoglio serbo, dunque, lavoro duro e testa sulle spalle, una lezione che Andy forse adesso imparerà, lui che è l'eterno predestinato a diventare l'erede di Fred Perry. Orgoglio e lavoro, perché si vede che Novak adesso è diverso, c'è una luce nei suoi occhi e un lampo nella racchetta che lo fa diventare davvero lo sfidante ufficiale nell'eterno duello tra Nadal e Federer, «anche se è impossibile paragonarmi a loro: sono i migliori del mondo, non c'è discussione. Le mie vittorie non si possono paragonare. Però è positivo vedere altri giocatori in lotta per i tornei dello Slam». Pausa. «E però penso di poter far bene al Roland Garros e a Wimbledon...». Ecco allora cos'è cambiato a Melbourne: Novak non è più solo quello bravo nel tennis ma forse più nelle imitazioni dei colleghi, pratica che ha fatto divertire lo spogliatoio di molti tornei ma che ha fatto imbestialire la Sharapova, offesa nell'onore. E non è solo quello che tra un servizio e l'altro fa rimbalzare la pallina almeno venti volte, cosa che dà sui nervi agli avversari e che ha scatenato su internet una specie di Top Ten su cosa si potrebbe fare intanto per ingannare il tempo: cose del tipo portar fuori il cane o leggere Guerra e Pace. Nole adesso entra nel circuito di quelli che contano e forse il tennis è davvero a una svolta, perché - comunque vada - tra un anno e mezzo Federer potrebbe smettere, mentre Nadal, se non è in forma, non è Nadal. Quindi c'è Djokovic, che dopo la vittoria ha avuto un pensiero per gli alluvionati del Queensland e che giura che Murray un giorno vincerà pure lui, «in fondo gli manca un ultimo gradino. E poi è un amico, tanto che gli proporrò di giocare in doppio assieme. Ma non oggi però...». Sorriso, che arriva dopo la lacrimuccia scappata sul campo, quando - con il trofeo in mano - ha ringraziato la vita, la Serbia che ha avuto «momenti difficili e noi sportivi siamo gli ambasciatori per dare una nuova immagine al nostro Paese» e naturalmente il suo team: fidanzata, famiglia, allenatori e amici (tra i quali la collega Ana Ivanovic, presente nel suo box), perché «il tennis è uno sport individuale, ma dietro a un grande successo c'è il lavoro di chi ti supporta». Conclusione: «Ci sono cose importanti di cui non si può fare a meno». Dio, patria e famiglia, appunto. Soprattutto in Serbia.

In Australia trionfa Djokovic nella finale più brutta

Stefano Semeraro, la stampa del 31.01.2011

Dopo una finale cosi, vinta benissimo da Novak Djokovic, persa malissimo da Andy Murray, 6-4 6-2 6-3 per un totalino di 2 ore e 40 minuti di torpore ad alta velocità, verrebbe voglia di citare Woody Allen: Federer ha perso, Nadal è infortunato, e anche il tennis non si sente troppo bene. Avrebbe dovuto essere il match della svolta, anzi, della rivolta contro il duopolio esaltante ma un filo oppressivo dei due magnifici despoti, che in cinque anni e mezzo di Slam hanno lasciato giusto le briciole al popolo: tre vittorie, due di Djokovic qui in Australia, una di Del Potro agli Us Open. Ventitrè Slam, e solo due finali in cui non è apparso nessuno dei loro talenti contrapposti, quella di ieri e il Djokovic-Tsonga di tre anni fa, sempre sotto questi cieli immensi. o Nel 2008 Novak Djokovic vince gli Australian Open contro il francese Jo-Wilfred Tsonga: 4-6, 6-4, 6-3, 7-6 (7-2) in tre ore di partita. L'Australia, si sa, è il major delle sorprese, delle novità. Ma se il nuovo che avanza ha il volto smunto e il tennis sdrucito del Murray di ieri troppo brutto per essere vero -, e il profilo bassino di un torneo che ha offerto pochissimi lampi, allora ridatece i due Dittatori: si stava meglio quando si stava meglio. Sarà anche vero che oggi, come sostiene Djokovic, «si gioca a un ritmo pazzesco rispetto a 4 o 5 anni fa, tutti tirano fortissimo e per restare a certi livelli devi faticare moltissimo». Ieri però si sono viste giocate al volo deprimenti, rare invenzioni. Tanta house-music, poco contrappunto. Andy, che alla vigilia era già mezzo baronetto e che oggi rientrerà nei ruvidi panni dello scozzese incapace di vincere, ha pagato le 24 ore di riposo in meno di Djokovic, una semifinale durissima con Ferrer («Non correvo al massimo), si Juan Martin Del Potro compie l'impresa e sconfigge nella finale degli Us Open 2009 Roger Federer in cinque set: 3-6, 7-6, 4-6, 7-6, 6-2. non ho perso per quello»). Ma in campo è stato imbarazzante. Dopo i 26 minuti occupati dai primi tre lunghissimi game, e a parte due rantoli d'orgoglio alla fine del secondo e terzo set, ha costruito pochissimo, quasi niente con il servizio e il rovescio, 31 per cento di punti con la seconda palla. Ha provato a difendersi, sbagliando, 44 errori gratuiti; non ha mai visto Djokovic neanche nelle curve. Nelle tre volte in cui lo scozzese si è giocato uno slam, non ha vinto nemmeno un set Nelle tre finali Slam giocate fino ad ora non ha vinto neppure un set, record negativo dell'era Open. Insomma, ormai è chiaro che il ragazzo chiamato a interrompere i 75 anni di digiuno della Gran Bretagna maschile negli Slam (Fred Perry, La finale di ieri: a Melbourne, negli Australian Open, Novak Djokovic si sbarazza di Andy Murray in tre set: 6-4, 6-2, 6-3 il punteggio. Wimbledon 1936), forse la carestia più lunga nello sport che conta dopo i 103 anni senza gloria dei Chicago Cubs nel baseball, ha qualche problema di personalità, di tensione, di ansia da grande prestazione. A sua discolpa può citare gli avversari in cui è incappato: due volte un Federer ingiocabile, stavolta il suo vecchio amico e coetaneo Djokovic - primo scontro a 12 anni, 6-0 6-1 per Andy - in forma galattica. Tre anni fa Novak vinse da 20enne fulminante ma acerbo, dopo due finali perse agli Us Open questo è il successo della maturità. Solido al servi *** zio, inossidabile in difesa, un videogame umano. Dopo il matchpoint stampato da Murray sulla rete si è fatto tre volte il segno della croce, ha lanciato maglietta e scarpe al pubblico punteggiato di pacifici (e rumorosissimi) ultrà serbi. Ha riconosciuto che la vittoria in Coppa Davis a dicembre gli ha dato gas, e dedicato il trofeo al suo box, dove sfolgorava Ana Ivanovic , «ai miei parenti, alla mia ragazza Jelena e alla Serbia. Abbiamo passato anni difficili dalle mie parti, ma ora stiamo cercando di dare il nostro meglio». Io, patria e famiglia. Nonostante la vittoria rimarrà n.3 del mondo, ma a soli 85 punti da Federer. Il vero Masaniello del tennis oggi è lui. Tre anni fa era più «Djoker», oggi ride e scherza con self-control da politico consumato: «Roger e Rafa restano i due più forti, i loro risultati non sono paragonabili a quelli miei e di Murray. Io sono maturato, l'anno scorso ho avuto momenti difficili, ho imparato a tenere separati vita privata e sport. Resto molto emotivo, ma ora so cosa devo dire o non dire, grazie alle persone che si occupano di me non spreco più energie in cose inutili. Tre anni fa mi sentivo il n.1, ora volo basso, però voglio vincere altri Slam. Sul cemento, certo, ma anche a Wimbledon e Parigi». Lecita aspirazione. Sperando che il tennis che spinge dietro Federer e Nadal non si presenti ricco di velocità e potenza, ma un po' morto di fama. 6-4, 6-2, 6-3: la delusione e la festa. L'amarezza di Andy Murray 23 anni scozzese I britannici sono a digiuno di slam maschili da 75 anni…..

Djokovic da re Murray si inchina

Marco De Martino, il messaggero del 31.01.2011

La cosa più divertente della noiosissima finale degli Australian Open 2011 è stato quando Novak Djokovic - dopo aver messo giù l'ultimo proiettile di dritto - ha preso a far baldoria e a festeggiare con i 15 mila spettatori della Rod Laver Arena il secondo Slam appena conquistato. Prima ha lanciato al pubblico i polsini, poi l'asciugamano, poi la maglietta, poi la racchetta e alla fine addirittura le scarpe, però solo dopo aver tolto da dentro i due preziosi plantari costruiti tra l'altro da un artigiano italiano. Chissà se è stato merito proprio di quelle due solette ortopediche, due piccole ali capaci di renderlo veloce come Mercurio, perché ieri Djokovic è sembrato veramente l'uomo volante, terrificante, ingiocabile, capace di un ritmo incalzante (con le solette, appunto) e perfetto in ogni sua azione. Il risultato di 6-4 6-2 6-3 è perfino bugiardo perché è stato come assistere a un film sul massacro di Little Big Horn, nel senso che in nessun momento, in nessun punto, è sembrato che il match potesse in qualche modo "girare". Il tennis, quando ci si muove così bene, diventa una cosa semplice, e Djokovic con semplicità si è messo in tasca il titolo degli Australian Open, primo Slam della stagione e secondo della carriera dopo quello raccolto ad appena 21 anni nel 2008. Il milione e seicentomila euro guadagnati sono un bel premio per uno che in due settimane ha spazzato via dal campo tutti i giocatori che gli si sono presentati davanti, compresi Berdych, Federer e Murray dai quarti in finale, e tra l'altro perdendo in tutto il torneo un solo set contro il croato Dodig al secondo turno e per giunta 10-8 al tie-break. Un rullo. Partita noiosa, dicevamo, forse perché quando in una finale mancano Federer e Nadal quasi sempre bisogna accontentarsi, perché se da una parte non c'è l'agonismo del più formidabile lottatore di questo sport, dall'altra mancano anche i gesti divini del più forte giocatore mai apparso su un campo da tennis. Detto questo, bisogna aggiungere che se Murray ha deluso tantissimo perdendo tre set a zero la terza finale Slam della sua vita, Djokovic è sembrato veramente l'uomo di gomma, capace di recuperi prodigiosi, spaccate vertiginose, corse a perdifiato e colpi talmente profondi e violenti da lasciare lividi sul campo in cemento. In più ha servito talmente bene e preciso che sulla sua battuta nei primi due set ha perso in tutto la miseria di 12 punti. Quanto a Murray, che dire? Dev'essere stato frustante non riuscire a comandare col servizio, a far punti da dietro e a venir passato in maniera inesorabilmente ogni volta che alla disperata si lanciava a rete. La mamma coach in tribuna scuoteva la frangetta, lui dal campo l'ha zittita con un gesto secco, in piena crisi isterica. Dovevano aver preparato un'altra partita e sognato un altro finale. Del resto tra Djokovic e Murray negli ultimi tre incroci aveva vinto sempre Andy, l'ultima a Miami 2009, stavolta invece è stata una passeggiata. Djokovic e Murray hanno tutti e due 23 anni e mezzo, sono nati a una settimana di distanza uno dall'altro, sono in fondo il numero 3 e 4 del mondo, ma adesso le loro strade - come dire - si dividono decisamente, Murray ancora a caccia del primo Slam, mentre Djokovic pronto a inserirsi nella lotta al numero 1 tra Nadal e Federer. Roger, quando gli hanno detto se questo torneo poteva aprire i discorsi sul passaggio di consegne, ha detto gelidamente «ne parliamo tra sei mesi», cioè dopo Roland Garros e Wimbledon. E in effetti sarà meglio aspettare. Di sicuro aspetta da una vita la Gran Bretagna che in campo maschile non vince uno Slam ormai da 75 anni, dal terzo Wimbledon del leggendario Frederick John Perry (1909-1995) che sorvolò per l'ultima volta il sacro prato di Church road nel giurassico 1936. Lo scozzese adottato Murray ha tradito ancora, mentre "Djoker' l'ha consolato dicendo molto semplicemente «Ho giocato come si gioca in Paradiso, è stato il miglior match di tutta la mia vita, oggi avrei battuto chiunque». Verosimile. Un torneo vinto dai migliori, Djokovic, Clijsters, i fratelli Bryan, la nostra Flavia Pennetta e Dulko in doppio. Il ceco Vesely e la belga Mestach hanno vinto le prove junior, tornei a cui hanno partecipato un par di cento tennisti tra cui thailandesi, coreani, messicani, indiani, filippini, moldovi e persino uzbechi, ma zero italiani. Andiamo bene... IL PICCOLO SEGRETO DEI PLANTARI ITALIANI Lancia le scarpe, non le solette ortopediche: «Ho giocato come in Paradiso»
 

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