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02/02/2011 14:45 CEST - Bilanci Australian Open

ATP o WTA: chi sta meglio?

TENNIS - Prendendo spunto da un articolo di Tom Perrotta, ci chiediamo quale dei due circuiti sia più in salute, alla luce dei risultati degli Australian Open. Il risultato non è scontato, ma è sicuro che entrambi i circuiti necessitano di "new balls". E di qualcuno che sappia coniugare efficacia nei risultati con bellezza cinetica ed empatia nel gioco Karim Nafea

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“C’è ancora speranza per il tennis femminile”
Lo dice Tom Perrotta, che nel suo bilancio sul major appena concluso afferma che per una volta il torneo femminile è stato più interessante, coinvolgente ed esteticamente più soddisfacente.
E non ha torto il buon Tom, visto che tra la storica partita tra Francesca e Svetlana Kuznetsova, la vittoria di Aussie Kim, le interviste della Li e lo scherzo della Wozniacki il torneo femminile si è fatto decisamente preferire.
E questo nonostante l’assenza di Serena e le premature uscite di Sharapova, Henin, Ivanovic e Venus.
C’è stato anche il "dramma  sportivo" però nel torneo femminile, con l’accorata lettera che Justine Henin ha reso pubblica per comunicare il definitivo ritiro dall’attività agonistica.
La fine della carriera della belga è una vera tegola per il circuito, che aveva un bisogno disperato di Justine, unica, insieme alla nostra Schiavone, a portare qualcosa di diverso dal cannoneggiamento da fondo in campo.
Il circuito per il momento è aggrappato all’altra belga: Kim Clijsters. Come già più volte detto, Kim è l’unica vera campionessa presente al momento è sta sfruttando con profitto la situazione di monopolio.
Una cosa che non manca nel circuito femminile sono i personaggi.
Molte giocatrici, pur non avendo uno stile classico o un tennis elegante, riescono a divertire con quello che fanno in campo e/o con quello che dicono fuori dal campo, non ultime la Petkovic o la già citata Li.

C’è speranza davvero quindi, se con tutti i problemi del momento (a partire dalla numero uno), le giocatrici riesco a produrre un torneo di tal fatta.
Ce n’è di meno per il lato maschile però…

Tutti quelli che erano stanchi di Federer e di Nadal, tutti quelli che non volevano la finale tra loro due e men che meno la finale con uno solo dei due, sono stati accontentati in questo Australian Open.
Finalmente, hanno detto, Nole e Murray si giocano per la prima volta una finale tutta loro.
Tutto bello, escluso il fatto che la finale (se c’è stata) è stata veramente brutta.
Sulla carta doveva essere un’ottima partita, invece si è rivelata noiosa perché Murray non è praticamente sceso in campo ed è bastato un Djokovic solido per averne la meglio.
Solido. Questo è stato Djokovic, in tutto il torneo, e chi trova noioso il suo gioco dovrebbe cercare di capire quanto difficile sia applicarlo. Oltre alla solidità però, il serbo non ha mostrato molto altro. Questa è stato uno dei problemi del torneo: mentre tutti gridavano al miracolo per la finale tra Murray e Djokovic auspicando (o anche solo prevedendo) il cambio della guardia e la fine del duopolio, pochi si sono resi conto che non sono stati Murray e Djokovic ad elevare il livello, ma i primi due (soprattutto Federer) ad abbassare il loro. Djokovic, seppur in un’ottima versione, non è sembrato quello del 2008 e Murray non è stato quello, che sembrava quasi imbattibile, dello scorso Australian open.

Va detto che le finali degli ultimi anni non sono state tutte eccezionali, anzi, spesso (pure troppo) sono state degli assoli da parte di uno dei due contendenti; è altrettanto vero che pur mancando di tensione emotiva il livello espresso (almeno da uno dei due) era piuttosto alto.
Questa finale non è stata brutta perché non c’erano Federer e Nadal, nel senso che non basta la presenza per fare una bella partita, ma è stata brutta perché si incontravano due giocatori dei quali uno era pronto ad affrontare la pressione, l’altro no.

In ogni caso, ridurre l'analisi del torneo alla finale non sarebbe giusto.
Non ci sono state grandissime partite e non c’è stato molto spettacolo, però per una volta i giovani sono riusciti a fare la differenza. A dispetto delle discussioni secondo le quali il tennis non è più uno sport per giovanissimi, tre dei più promettenti prospetti hanno alzato la voce ed il livello: Bernard Tomic, Milos Raonic e Alex Dolgopolov.
Quest’ultimo, vero guru per molti appassionati, rappresenta uno dei problemi del tennis attuale: i giocatori divertenti non vincono. Come se per vincere sia d’intralcio un tennis brillante. In un certo senso chiunque entri in campo cercando di "fare" sembra svantaggiato rispetto a chi gioca cercando di “disfare” il tennis dell’avversario. In questo tennis è più importante far giocar male che giocar bene, e non si va molto lontano così, magari si vince però è difficile coinvolgere ed intrattenere con questa impostazione mentale.

Se quindi per il tennis femminile c’è carenza di gioco e abbondanza di personaggi, il lato maschile del circo presenta la situazione opposta: il livello di gioco ci sarebbe (anche se in gran parte non sfruttato) ma, esclusi i primi due, praticamente nessuno riesce a spostare significativamente l’attenzione del pubblico.

Karim Nafea

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