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04/03/2011 19:02 CEST - IL PERSONAGGIO

Novak Djokovic sicuro numero 1

TENNIS - Ancora imbattuto nel 2011 la domanda è: il serbo è ancora il primo dei secondi o uno dei primi destinato a diventare n.1? Sul cemento è forse già il n.1. Sulla terra rossa no. Ma, più di Roger Federer e forse di Rafa Nadal (di un solo anno più anziano), Novak sembra avere ancora margini di progresso. Un altro quesito è: il tennis risentirà dell'inevitabile declino dello svizzero e dello spagnolo? di Ubaldo Scanagatta

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djokovic06 (Foto di John Toscano)
djokovic06 (Foto di John Toscano)

Nole Djokovic è ancora il primo dei secondi dopo lo straordinario Open d’Australia oppure merita d’essere ormai considerato uno dei tre Moschettieri, visto che di “Fab Four” non si può parlare, almeno fino a quando Andy Murray non vincerà almeno un set in una finale di Slam?
Una cosa è certa: oggi come oggi il ragazzo brillantemente messo sotto contratto dalla nuova gestione della Sergio Tacchini rappresenta l’unica alternativa al duopolio dell’ultimo quinquennio. Ed è già a un tiro di schioppo, 85 punti Atp, da Federer n.2.
Dopo aver conquistato la prima Coppa Davis per il suo Paese poco più d’un mese prima, ha dominato l’Australian Open né più né meno di come Rafa Nadal ha dominato alcuni suoi Roland Garros, di come Roger Federer ha fatto suoi alcuni Wimbledon. Questo è un dato di fatto. In tutto il torneo a Melbourne Park, Novak ha perso soltanto un set e certo per mera distrazione, perché dopo aver ceduto al croato Dodig il tiebreak del secondo set per 10 punti a 8 si è vendicato dell’affronto subito infliggendogli nei due set successivi un 60 62 che dice tutto.
Non ha avuto sconti dal tabellone perché dopo aver lasciato cinque games a Granollers e demolito alla distanza Dodig, ha regolarmente affrontato e superato tutte le teste di serie che il sorteggio gli aveva proposto sul suo cammino, la n.29 Troicki (6-2 e ritiro), la n.14 Almagro (cui ha lasciato la miseria di 7 games, 63 64 60, e lo spagnolo non è tipo remissivo: tra l’altro ha un servizio di tutto rispetto), la n.6 Berdych che pure aveva messo in fila un tris niente male (Kohlschreiber, Gasquet e Verdasco dominandoli), la n.2 Federer, 76 75 64, senza che il risultato fosse mai in bilico né in discussione, e infine la n.5 Murray, 64 62 63, idem come sopra.
Una superiorità talmente netta nei confronti di tutti i suoi avversari, inclusi i due più titolati Federer e Murray nelle fasi finali - quelle nelle quali di intravede di solito il campione vero - che forse etichettarlo ancora oggi come il campione dei secondi mi pare riduttivo. Intanto, fatta eccezione per i due “Marziani” Federer e Nadal, Djokovic è diventato il solo giocatore in attività - oltre a Lleyton Hewitt che però è ormai tennista che appartiene al passato - ad avere in bacheca più d’uno Slam.
è certo vero che per meritare di salire sullo stesso piedistallo dei “Marziani” che vantano 25 Slam in due, 16 Roger e 9 Rafa, due titoli - e conquistati entrambi in Australia, 2008 e 2011 - sono ancora un po’ pochini. Però, e magari mi sbaglio, anche se i bookmakers alla vigilia del torneo aussie davano favoriti a 3 sia Federer sia Nadal, trascurando visibilmente Nole (dato da alcuni a 8 e da altri a 9), secondo me d’ora in avanti Nole dovrà essere considerato il favorito n.1 negli Slam sul cemento.
Magari un tantino di più in Australia perché, come ha detto lui stesso, «questa è una superficie ideale per me, è un po’ più lenta di quella dell’US Open, mi dà quel minimo di tempo per scegliere tra un paio di opzioni di colpi». Ma, al di là del cemento che certo si presta più alle sue caratteristiche tecniche che non la terra battuta - dove pure ha giocato a Madrid contro Nadal una di quelle che lui considera una delle sue tre migliori partite della carriera (le altre con Federer qui in Australia e all’US Open) - ciò che sembra giocare più a favore di Djokovic in prospettiva è la sua straordinaria condizione atletica.
L’ho ribattezzato il Tiramolla della Serbia, un uomo di caucciù, capace di spaccate che - appunto…- spaccherebbero le gambe di chiunque altro. Riesce a piegarsi e giocare il rovescio a due mani con le ginocchia che toccano terra e a effettuare torsioni che farebbero spuntare ernie discali anche agli atleti più preparati.
Francamente non mi pare che il Federer di oggi, e tantomeno quello di domani, possa competere soltanto con la tecnica, se il suo fisico non arriva ad esprimere il 75% del potenziale di Djokovic. è un handicap troppo grosso.
Lo stesso Nadal, che per via del suo tennis ipermuscolare è sottoposto ad uno stress fisico insopportabile per qualsiasi umano, pur essendo un fenomeno quasi sovrannaturale, è destinato a perdere sempre più vigoria atletica con il passare degli anni. L’usura non potrà non farsi sentire, prima o poi. Oggi si manifesta attraverso acciacchi muscolari vari - le ginocchia, le cosce - domani in un’inevitabile perdita di potenza ed elasticità.
In questo senso Djoker invece sembra al momento quasi indistruttibile. Il suo tennis non è così fluido e privo di sforzo come quello di Federer, ma non è neppure così faticoso e “demanding” - mi manca il vocabolo italiano - come quello di Nadal. Insomma, considerato che ha 6 anni di meno di Federer e 1 anno meno di Nadal, il tempo gioca indubbiamente a suo favore.
I giornali britannici sono stati prevedibilmente piuttosto impietosi con Murray, gli hanno attribuito poco coraggio, poco discernimento tattico (invocando per lui un coach diverso da mamma Judy e dall’amico venezolano Valverdu), lo hanno ingenerosamente bollato con l’etichetta di grande perdente, proprio come accadde a Ivan Lendl quando perse le sue prime quattro finali Slam prima di conquistare contro il miglior McEnroe mai visto sulla terra rossa di Parigi (1984) il primo di otto Major.
I colleghi inglesi, insomma, hanno attribuito più a una defaillance mentale la sconfitta dello scozzese di Dunblane contro l’amico serbo piuttosto che a una sostanziale differenza atletica. Invece c’è sia l’una sia l’altra. E non è detto che la prima sia preponderante. Ora è vero che Djokovic si è mostrato decisamente più aggressivo, certamente più orientato a fare lui il match, a prendere e tenere l’iniziativa, ma guai a sottovalutare i miracoli atletici che gli hanno consentito di compiere recuperi difensivi assolutamente prodigiosi, di vincere gli scambi più prolungati e più duri nei quali il povero Murray aveva dato tutto quel che poteva, come quello di una quarantina di scambi allucinanti che sul punteggio di 5-4 per Djokovic con Murray al servizio sul 15-30, si è tramutato in una mazzata psicologica terrificante per lo scozzese. Sul 15-40 e il primo set point successivo a quello scambio pazzesco, Murray ha cacciato fuori un dritto rassegnato dopo di che ha perso cinque games di fila, tre servizi tenuti a 15 da Djoker, un primo break subito da lui nel secondo game di 10 punti, un secondo break patito addirittura a 0 nel quarto game. Quel set Djokovic l’avrebbe potuto vincere addirittura a zero se sul setpoint non avesse giocato con una certa nonchalance e se poi nel suo successivo game di servizio non avesse vissuto l’unico passaggio a vuoto della sua finale, un game perso a zero che mi ha ricordato la ferita di quell’altro break a zero subito da Francesca Schiavone con Caroline Wozniacki sul 63 3-2 per l’azzurra. Un break purtroppo fatale per Franci, a differenza di quello sofferto estemporaneamente da Djokovic.
Malcolm Folley, stimato collega del Mail on Sunday si era allontanato dalla Rod Laver Arena scuotendo la testa e dicendo: «Se non lotta e non soffre Andy, perché dovremmo stare qui noi a soffrire al posto suo?». Simile atteggiamento critico i miei colleghi d’Oltre Manica avevano sempre mostrato nei confronti di Gentleman Tim Henman, colpevole di non essere andato oltre le quattro pur prestigiose semifinali di Wimbledon! Certo Murray ha patito troppo il contraccolpo di quello scambio in cui aveva fatto cose prodigiose senza riuscire ad aggiudicarsi il punto, però Djokovic aveva dato lì proprio la sensazione di essere un muro imperforabile, un Superman imbattibile. Una sensazione che a sue spese doveva aver provato anche Roger Federer, cui non capita spesso di riconoscere appieno il valore d’un avversario che non si chiami Nadal: «Non credo di aver giocato male, ma Novak oggi era più forte di me, ha giocato meglio di me ed ha meritato di vincere». Poi, quasi a cercare un mini-alibi a se stesso, Roger ha sottolineato particolari condizioni del campo che avrebbero forse aiutato più il tipo di gioco di Djokovic che non il proprio, ma m’è parso che si arrampicasse un po’ sugli specchi. Il match di Djoker contro Federer è stato il migliore, davvero straordinario. Davanti non aveva un Murray poco convinto, aveva un Federer decisissimo a vender cara la pelle. Ma Nole lo ha battuto senza concedere nulla e giocando alla grande.
L’anno scorso Djokovic aveva vissuto un’annata poco soddisfacente. Aveva commesso una palese ingenuità nel tentare l’esperimento del doppio coach. Nel tentativo di colmare il divario che lo separava dai due Marziani aveva affiancato al suo vecchio coach, lo slovacco Marjan Vajda, l’americano Todd Martin. I risultati non furono pari alle attese, e non solo perché Martin, per dimostrare di servire a qualcosa, si ingegnò a cambiargli il movimento del servizio combinando guai tecnici dai quali Novak è riuscito ad affrancarsi soltanto quest’anno - sei punti persi sul proprio servizio contro Murray in ciascuno dei primi due set paiono confermarlo e anche contro Federer aveva servito alla grande - ma anche perché il matrimonio fra due tecnici che non hanno nulla in comune, né passaporto, né cultura, né amicizia, non poteva che dar vita a una serie continua di frizioni.
Quando Novak vinceva ciascuno dei due tecnici cercava di far capire a Novak stesso e non solo ai media - quelli americani hanno creato più d’un malinteso, incensando a sproposito il vecchio Todd - che era merito suo. Quando Novak perdeva ovviamente la colpa era dell’altro. Essendo tutt’altro che stupidi sia Vajda sia Martin ripetevano al colto e all’inclita di essere perfettamente complementari, di non essere assolutamente gelosi, ma ogni tanto una parolina qua, una parolina là scappava, e qualche interpretazione mediatica più o meno maliziosa degli estimatori di Vajda o di Martin si trasformava in scintille sotto la cenere.
Con tutto ciò Novak, vincendo due tornei a Dubai e Beijing, raggiungendo finali all’US Open e Basilea, e con grande regolarità almeno le semifinali quasi ovunque (Rotterdam, Montecarlo, Wimbledon, Toronto, Shanghai e alla Masters Cup di Londra, nonché i quarti all’Australian Open, Roma, Belgrado (che follia aggiungere il torneo di casa sua e della sua famiglia a un calendario così fitto!), Roland Garros e Cincinnati era riuscito ugualmente a mantenere per il quarto anno di fila il suo terzo posto. Non si poteva parlare, quindi, di un’annata disastrosa. Tanti altri top-ten avrebbero firmato di potersi piazzare alle spalle del duo Roger&Rafa, no? Però non era quello che l’ambizioso, il giustamente ambizioso Novak, sognava. Ora Novak, anche se è troppo intelligente per non fare professione di umiltà e modestia e dichiarare pubblicamente che «Nadal e Federer sono ancora i più forti, non è il caso di paragonarmi a loro… Hanno vinto talmente tanto, sono due esempi, due modelli…”, ha dimostrato d’essere davvero più maturo, sul campo e fuori. Ed ha ancora margini di progresso, cosa che invece non mi sembra altrettanto scontata per quel che concerne Rafa e Roger. è un ragazzo che riflette, che non solo gioca bene, benissimo e non ha forse punti deboli, ma che sa anche quel che dice e ha pure capito che le sue innate caratteristiche di showman non sempre sono accettate dai… poveri di spirito. Così, meglio piantarla con le imitazioni, se devono creargli più fastidi che popolarità. Un ragazzo intelligente che ha la lucidità di ricordare anche nei momenti più euforici di una premiazione super meritata che la vita non è solo tennis, che un Paese come la Serbia vive momenti oggettivamente difficili anche anni dopo la Guerra dei Balcani e i bombardamenti su Belgrado. «Noi sportivi siamo gli ambasciatori per dare una nuova immagine al nostro Paese», ha detto mostrando le tre dita (Dio, Patria, Famiglia) care ai nazionalisti serbi subito dopo il match con Federer, ma attento a non ripetersi dopo la finale vinta, e di ricordare anche che l’Australia del Queensland è rimasta sott’acqua per metà gennaio e che «almeno qualche piccolo contributo anche i tennisti devono dare».
Djokovic è convinto che oggi il tennis sia più veloce, migliore di quello di cinque anni fa. «Si gioca ad un ritmo pazzesco». E lui è il vincitore di oggi, non di cinque anni fa. Dunque è lui il più forte nel tennis che si è fatto più duro.
Diventerà n.1? Sì, secondo me Novak può diventare n.1 del mondo nell’arco di un paio d’anni, forse prima, se Nadal non recupera dai suoi malanni.
Il tennis risentirà del progressivo, inevitabile declino di Federer e forse anche di quello di Nadal?
Questo è un altro tema che merita d’essere affrontato in un altro articolo. Io spero, anzi penso, che Djokovic non esista solo in funzione antinadaliana o antifedereriana (“col sottofondo delle grida di dolore per i malanni del maiorchino e delle strazianti litanie per la morte del tennis dei gesti bianchi”, come ha acutamente scritto su www.Ubitennis.com Luigi Garlando). Non sarebbe proprio giusto che Novak dovesse subire la condanna di vivere sempre specchiandosi in due dei più grandi campioni che il tennis ha mai prodotto. Credo che Nole possa vivere di luce propria.

Nota di UBS: quest'arrticolo è stato scritto per Matchpoint da Ubaldo subito dopo la conclusione dell'Australian Open e prima che Nole vincesse anche Dubai, trionfando 6-3,6-3 in finale su Roger Federer.

ubaldo scanagatta

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