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06/03/2011 05:09 CEST - Storie di tennis

Scud dice basta al professionismo?

TENNIS - Mark Philippoussis, che aveva recentemente richiesto una wild-card per Indian Wells, vi ha sorprendentemente rinunciato optando invece per il Champions Tour di Zurigo. Si chiude con questa “boutade” la carriera di un tennista playboy di talento, inguaiato dalle ginocchia di cristallo e rovinatosi finanziariamente con le sue stesse mani. Christian Turba

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E così, alla fine, Thomas Muster può tirare un sospiro di sollievo: almeno per il biennio 2010-2011, l’austriaco resterà il solo e unico tennista maschile alla voce “ritorni dal nulla”. E’infatti di questi giorni la notizia che Mark Philippoussis, a sole 24 ore dalla sua assegnazione, ha ritirato la richiesta di wild-card per il torneo di qualificazione al Master 1000 di Indian Wells: invece di andare in California, “Scud” (alla tappa di Zurigo –dall’8 al 12 marzo- del Champions in sostituzione dell’infortunato Stefan Edberg, garantendosi un gettone di presenza consistente e la possibilità di misurarsi con grandi campioni a lui contemporanei.

Con tutta probabilità, questa “wild-card ripensata” mette definitivamente in archivio la carriera professionistica di “Scud” (missile, questo il suo nome di battaglia nel circuito ATP). Figlio del greco Nick, suo allenatore sin da quando aveva sei anni, e di Rossana, australiana di origini italiane, Mark Anthony Philippoussis è sicuramente stato uno dei personaggi più rappresentativi di questo sport a cavallo tra i due millenni. Personaggio eccentrico, incostante, lunatico, per certi versi misterioso, ma sicuramente uno che non lasciava indifferenti.

Per chi scrive, cresciuto con la “pazzia” e l’irregolarità di Becker, Ivanisevic e in seguito Safin, “Philippo” rientrava nel novero dei tennisti da seguire con interesse. E fu con estremo interesse che, stanco di anni di dominio samprasiano a Wimbledon, seguii quel quarto di finale dell’ultima edizione dei Championships del XX secolo: contro ogni attesa, il ragazzone di Melbourne era riuscito a strappare il primo set a Pistol Pete, e per giunta togliendo il servizio ad uno contro cui –in quegli anni- prendere un break di vantaggio sull’erba era possibile solo sparando a gambe e braccia.

Per un attimo pregustai un possibile colpo di scena in quello che sembrava un copione già scritto: poi purtroppo, sul 2-1 Sampras nel secondo set, la cartilagine del ginocchio sinistro di Scud fece crac, permettendo all’americano d’involarsi verso una finale che resterà negli annali come una dimostrazione di perfezione tennistica raramente ammirata prima e in seguito.

E quelle maledette ginocchia furono un grande limite nella pur ottima carriera dell’ex pupillo di Pat Cash, suo sparring partner all’epoca in cui Philippo terminava 4°nella classifica mondiale juniores (1994). Dopo l’operazione del 6 luglio 1999, appena successiva al ritiro da Wimbledon, il 34enne australiano tornò infatti sotto i ferri, complessivamente, per altre cinque volte: due di queste operazioni, in particolare, ne inficiarono l’attività agonistica nel periodo tra il 2000 e il 2002 (quello del “ grande vuoto” tra la diarchia Sampras/Agassi e l’incoronazione del nuovo monarca elvetico), impedendogli di migliorare il best ranking di numero 8, raggiunto il 19 aprile 1999 grazie al derby giocato in trasferta e valevole per il titolo degli Us Open 1998 - nettamente perso da Pat Rafter- e alla vittoria, guarda caso, nel Master di Indian Wells ai danni di Carlos Moya.

Quella degli Us Open 1998 era la prima finale di Slam disputata dall’ex grande promessa –già top 50 a 19 anni- del tennis oceanico: la seconda arrivò, in modo del tutto inaspettato, a Wimbledon 2003, in un periodo in cui Mark si era finalmente sbarazzato di ogni guaio fisico. Partito in sordina, Scud diede vita al più bel match del torneo estromettendo dai quarti di finale, dopo 5 lunghissimi set e con l’aiuto di 46 aces –record nazionale-, il Kid di Las Vegas allora numero 1 del mondo: pur col vantaggio della superficie favorevole, un compito non certo semplice per un omone di 196 cm per 103 chili, dotato di un servizio e di colpi di rimbalzo potentissimi (da cui appunto il soprannome “ Scud”) ma ovviamente limitato negli spostamenti e passibile di soffrire la proverbiale risposta e l’agilità di Andreino.

La vera prova di maturità, però, l’allora numero 48 mondiale la fornì 2 giorni dopo, quando rimontò 2 set di svantaggio al semisconosciuto tedesco Alexander Popp (quello che si dice letteralmente un “ tennista da Wimbledon”) imponendosi 8-6 al quinto; sulle ali dell’entusiasmo e della fiducia, l’australiano si sbarazzò poi con relativa facilità del sempre ostico Grosjean. Purtroppo per lui, l’ora di re Roger era già scoccata e la finale non ebbe storia, con lo svizzero vincitore in 3 set per 7-6 6-2 7-6 su un comunque ottimo Philippo.

Nonostante la sconfitta, Mark sembrava a quel punto tornato ai vertici: purtroppo questa fu una pura illusione, perché nel 2004, dopo un inizio di stagione nullo e l’ottavo dei Championships perso dall’idolo locale Tim Henman, non vinse più un solo match sino a fine stagione, precipitando oltre la 100esima posizione del ranking, preludio a un 2005 praticamente inattivo.

Quando poi, l’anno successivo, Scud ruppe un digiuno di 3 anni (Shanghai 2003) vincendo sull’erba statunitense di Newport l’undicesimo ed ultimo titolo ATP della carriera, qualcuno pensò a un ulteriore ritorno: tutto sembrava volgere per il meglio, ma alla Hopman Cup 2007 la cartilagine -questa volta del ginocchio destro- saltò ancora, e per il 31 enne Philippoussis era ormai troppo tardi.

Fine della corsa, nonostante l’apparizione one-shot al challenger di Dallas del 2010 con tanto di sconfitta al 1°turno per opera dell’americano Michael Yani. Fine della corsa di un talento purissimo, ma ahi luì baciato dalla mala sorte e dall’irregolarità: capace di grandi exploit, Philippo era allo stesso modo in grado di perdere da chiunque allorché gli capitava la giornata no. A titolo di esempio, si pensi all’Australian Open 1996, in cui un ventenne Philippoussis si sbarazzò al 3°turno, in 3 set, del numero 1 mondiale Sampras –con cui evidentemente si trovava bene, tanto da averlo sconfitto anche al Roland Garros 2000- per poi subire un 6-2 periodico dal connazionale Mark Woodforde, certo fuoriclasse del doppio più che grande singolarista.

Fu proprio quest’incostanza che gli impedì di accedere a vette più alte del ranking, che pur avrebbe meritato: pazienza, verrebbe da dire, perché, oltre alle 2 finali Slam, Philippo vanta una Coppa Davis vinta da autentico protagonista, nel 1999, sorprendendo Grosjean e Pioline sulla terra indoor di Nizza, ed un’altra (2003, Rod Laver Arena di Melbourne) in cui fornì un contributo determinante grazie al successo ai danni di Mosquito Ferrero, sulla situazione di 2-1 Australia.

Ora, negli ultimi mesi, le voci di rientro. Nostalgia per la competizione? Più verosimilmente, la ragione che aveva spinto Mark a chiedere la wild card per il Master 1000 californiano era un’altra: i suoi problemi finanziari, da tempo noti agli addetti ai lavori. Abituatosi ad una vita di lusso tra macchine sportive ed innumerevoli conquiste femminili –Anna Kournikova e Paris Hilton su tutte-, Philippo, come accade spesso ad altri tennisti e sportivi, non aveva infatti retto al contraccolpo del passaggio dalla vita attiva del pro alla tranquillità della sua casa di Williamstown (sud-est di Melbourne, sul lungomare).

Dopo aver ipotecato tale abitazione per un rimborso mensile di 10mila dollari, l’ex numero 8 del mondo si era ritrovato in debito di circa 1, 3 milioni di dollari nei confronti di una compagnia finanziaria, col risultato che il 4 luglio 2009 la casa era finita all’asta: gli oltre 8 milioni di dollari guadagnati in carriera –solo coi premi, con i contratti siamo intorno ai quindici- eran svaniti nel nulla, e la vendita del bene alla cifra di 835.000 dollari non era bastata a ripianare l’intero debito.

Così, pur di guadagnare qualche spicciolo, l’ex tennista playboy si era riciclato in “ tronista” per un reality show australiano. Finita la trasmissione, poi, il nostro si era deciso a vendere al miglior offerente i dettagli della sua storia d’amore, con tanto di lieto fine, con l’attrice americana Jennifer Esposito: 120.000 euro la cifra concordata per le riviste interessate. Evidentemente, anche questo tentativo non dev’esser andato in porto, poiché solo 4 mesi fa la sua residenza di Williamstown era ancora a rischio ipoteca.

Davvero una brutta fine per un ragazzo che aveva tutto- bellezza, talento,soldi, donne- per godersi la vita ma che, più che la salute precaria delle sue ginocchia di cui tuttora è vittima, ha pagato in parte la sua natura pigra (almeno stando alle dichiarazioni della sua ex Amanda Salinas, che lo accusava di non sapersi lavare la propria biancheria e di guardare film invece che allenarsi), in parte una serie di transazioni ed investimenti errati e affrettati. Unica eredità di tali investimenti, la depressione: “In questo periodo mi sono chiuso in me stesso, in certi periodi sono rimasto a lungo da solo nella mia stanza. Senza neppure volermi alzare dal letto. Guardavo film in continuazione" confidava Scud solo un anno e mezzo fa.

Siccome, parole sue, “il tennis è uno sport in cui, se non giochi, non guadagni, ed io sono fermo da un anno e mezzo”, è dunque probabile che Scud cercasse un’ulteriore ancora di salvezza da uno sport che negli anni precedenti l’aveva reso celebre e ammirato. Il suo primo titolo nel Champions Tour, conquistato due settimane fa a Delray Beach, poteva averlo convinto della possibilità di un rientro quantomeno onorevole. Allo stesso tempo, però, la sconfitta rimediata da Edberg –uno che, quando lui stava emergendo, si apprestava a ritirarsi- all’Hong Kong Classic di gennaio deve avergli fatto comprendere che, se proprio aveva bisogno di recuperare denaro, il Champions Tour sarebbe stata la soluzione più semplice, sicura e redditizia allo stesso tempo.

E noi tutti amanti del tennis e dei giocatori che han fatto la storia di questo sport, speriamo che la parola fine, per questa volta, venga messa a ogni problema medico e finanziario di Mark Anthony Philippoussis.
 

Christian Turba

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