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29/03/2011 11:12 CEST - IL RACCONTO

Althea Gibson e le barriere razziali

TENNIS - Presentiamo la figura di una donna di colore, coraggiosa, che con la sua tenacia ruppe per prima le barriere razziali nel tennis. Ancora pochi sono i giocatori di colore nel nostro sport, questione di tradizione o di opportunità? Ancora oggi le sorelle Williams si sentono attaccate su questo aspetto? Riusciremo a superare l'odiosa barriera del razzismo? Enos Mantoani

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Visto che qualcuno si è interessato alla musica che ascolto mentre mi ispiro per i raccontini tennistici, stavolta è toccato a Nina Simone creare non solo l’atmosfera, ma anche dare una vera e propria ispirazione quale Musa coloured, non sapendo, comunque, di che colore fossero le prime Sette. Indian Wells è da poco terminato. Uno dei pochi tornei combined. L’unico che da un po’ non annoverava e probabilmente non vedrà più le sorelline Williams. Quest’anno impegnate a recuperare da gravi guai fisici, ma che comunque avrebbero saltato l’appuntamento perché, a loro dire, vittime di atteggiamenti razzisti da parte di pubblico e non solo (per un riepilogo dei fatti si veda il bell’articolo di Alessandro Mastroluca.

Il tennis, anche lui, ahinoi, nella sua gloriosa storia si porta delle macchie, ad esempio l’esser stato razzista per diversi e lunghi anni. Fu una donna coraggiosa e talentuosissima a rompere per prima le barriere razziste tennistiche dai tornei più infimi a quelli via via più importanti: Althea Gibson. Come spesso nella storia dei riscatti delle minoranze (etniche, politiche, sociali),una triste infanzia, una coraggiosa adolescenza ribelle, fortuna e infinito talento dovettero mischiarsi per far emergere una personalità apripista. Pensiamo a quali e quanti bocconi amari dovette ingoiare la giovane Althea per farsi ammettere e poi accettare nei bianchi club dell’upperclass americana e della “buona” società europea a metà degli anni Cinquanta!

Nata nel 1927 in South Carolina, crebbe ad Harlem, New York, durante la Grande Depressione. Nella sua povera famiglia non fu certo circondata da affetto. Il padre era un tipaccio, violento e poco raccomandabile. Althea scappava da casa e da scuola, fece diversi lavori infimi, riservati ai neri e cercò rifugio presso una società di assistenti sociali dell’epoca (la Society for Prevention of Cruelty to Children) fino a quando un musicista, direttore d’orchestra, Buddy Walker, notò la sua propensione agli sport, mentre giocava a paddle tennis o paddleball. Si prese cura di lei dandole i mezzi per un’educazione e per le lezioni di tennis. Furono comunque anni duri, nei tornei riservati solo agli Afroamericani, inseguendo la chimera dell’indipendenza, dell’affermazione economica e sociale; insomma, di una vita migliore.

Era molto brava a giocare a tennis. Così brava da far gridare allo scandalo una giornalista, ex giocatrice e vincitrice di Wimbledon e US Open, Alice Marble, che sulle colonne dell’American Lawn Tennis denunciò quello scandalo. Passò comunque ancora del tempo prima che potesse partecipare ai circuiti maggiori. Finalmente, nel 1950, vinse la sua prima partita ai Campionati degli Stati Uniti contro una ragazza bianca. Passerà ancora qualche anno e nel 1956 vinse gli Internazionali d’Italia, il suo primo grande torneo. Si ripetè nello stesso anno al Roland Garros. Nel 1957 e nel 1958 fece la fantastica doppietta: Wimbledon e US Open. Malcom X e Martin Luther King iniziavano allora le lotte per l’emancipazione dei neri negli Stati Uniti, furono assassinati dieci anni dopo. In tutto, compresi doppio e doppio misto, vinse 11 titoli dello Slam (agli AO arrivò in finale).

Chi la vide racconta di lei uno stile aggressivo e sempre all’attacco. Insomma, io me la immagino un’antesignana di Venus Williams (di cui però non possedeva la bellezza). Cantava anche, Althea. Incise un disco, poi qualche ruolo d’attrice al cinema, e l’immancabile autobiografia. Terminata la carriera tennistica, nel 1964 si dedicò al golf, con alcuni successi e anche lì entrando in una società tipicamente per bianchi. Dopo il 1975 lavorò per lo Stato occupandosi di educazione fisica. Si sposò due volte. Gli ultimi anni, però, furono segnati ancora dalla povertà e dalla solitudine, anche se una sottoscrizione pubblica in suo favore, raccolse oltre un milione di dollari negli anni Novanta. Il nome di Althea, morta nel 2003, vive ancora attraverso una fondazione che ne porta il nome e si rivolge ai bambini disagiati delle grandi città che vogliono crescere attraverso il tennis o il golf.

Rimane, secondo me, ancora spinosa la questione del razzismo nello sport. Parlando a livello globale, si pensi al calcio, soprattutto in Italia, ma non solo. Basti pensare a cosa è accaduto nel weekend durante l'amichevole Scozia-Brasile, con i calciatori carioca che hanno denunciato le offese del pubblico. Nel tennis i ragazzi di colore non sono moltissimi, tra i più conosciuti ora ci sono James Blake, Donald Young, Tsonga, Monfils, e chi altro? Ashe e Noah nei decenni passati. Sono tutti francesi o americani. Questione di tradizione o di opportunità? Sarebbe sicuramente interessante fare un piccolo studio su questo.

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