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02/05/2011 16:57 CEST - IL RACCONTO

GOAT al femminile: Little Mo Connolly

TENNIS - Breve excursus nella vita e nella carriera di Maureen Connolly, prima donna a realizzare il Grand Slam. Precoce e determinata a vincere sempre, fu protagonista di una parabola piena di luci e di molte ombre. Vinse 9 degli 11 Slam a cui prese parte, ma fu costretta al ritiro a 19 anni per una caduta da cavallo. Un tumore allo stomaco la portò via a soli 34 anni. Enos Mantoani

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So che a qualcuno di voi, come a me (masochista), sentir parlare di GOAT produce una violenta orticaria, ma non ho potuto esimermi da questo titolo per Maureen Catherine "Little Mo" Connolly Brinker (San Diego, USA, 17 settembre 1934 – Dallas, 21 giugno 1969). Come ho provato a fare per qualche altro tennista, cerco di proporre figure eccezionali non solo sportivamente parlando, ma anche e soprattutto dal punto di vista umano. Eccezionale come in realtà è la vita, ma che in questi casi è trasformata dal nostro sport.

Una racchetta in mano, o come la pallina nel film Match point, può cambiare la vita... In meglio o in peggio non si può dire, la cambia e basta, senza aggettivi di cui la vita si disinteressa...Little Mo è stata tennista grande, grandissima e sfortunata, sfortunatissima...Il soprannome le deriva dal parallelo fatto da un giornalista con la nave da guerra Missouri, che era chiamata "Big Mo". Come una nave da guerra, potente, spietata, così nella sua brevissima e fulgida parabola Little Mo sparava missili dalla sua racchetta.

La vita riserva sorprese, ironiche anche nella sventura. Da piccola avrebbe voluto cavalcare, la madre le voleva imporre comunque una vita da enfant prodige, ma mai avrebbe pensato che quella racchetta regalata per consolarla del mancato cavallo l'avrebbe resa famosissima…Mancina, fu costretta a giocare con la destra perché il suo primo allenatore non aveva mai visto una giocatrice mancina davvero forte; e lei voleva diventare la migliore…

Fu con Teach Tennant, un'allenatrice spietata e ambiziosa, come poi sarà in campo Little Mo, che lei sviluppò questa smodata sete di essere la più forte di tutte, sempre! Little Mo era infaticabile, velocissima e sapeva giocare meravigliosamente tutti i colpi, ma non potevate chiederle di scendere a rete perché era frenata da uno shock subito nei primi allenamenti, quando uno smash ricevuto in pieno petto la bloccò psicologicamente. Da fondo allora sviluppò i suoi potenti precisi e regolarissimi strokes, in bello stile; con un footwork incredibile.

Da giovane aveva un talismano, una palla contesa da due dragoni, senza il quale non si sentiva più invincibile (una volta un giudice uscì pazzo a cercare il monile senza il quale la ragazzina non si sognava nemmeno di scendere in campo). Little Mo era religiosissima, al limite del fanatismo, e quando le dissero che il tennis era un dono di Dio, lei ne concluse che perdere era una bestemmia, un peccato; perciò non ammetteva e non accettava la sconfitta. Odiava le avversarie, scendeva in campo con un profondo odio che la rendeva implacabile. Nulla la distraeva in campo: soleva dire che nel campo vicino potevano far brillare la dinamite che lei non se ne sarebbe accorta affatto!

Data questa cornice non c'è da meravigliarsi che il suo equilibrio psichico fosse messo a dura prova. Come per altri campioni pressati da genitori e dall'entourage sosteneva che nessuna gloria e nessuna vittoria poteva ripagarla dei sacrifici e dell'infelicità subita e a volte cercata (vero Agassi?). Rimane la sua brevissima parabola accecante come un fulmine. Nel 1951 al terzo tentativo, sedicenne, vinse gli US Championships, l'anno successivo Wimbledon, nel 1953 fece il Grand Slam sotto la guida di Harry Hopman perdendo un solo set in tutti e quattro i tornei e sconfiggendo in tre finali la sua compagna di doppio Doris Hart (a sua volta plurivincitrice di Slam e che disse di Little Mo: “per me non c’è dubbio che sia stata la più grande tennista; e le ho viste tutte tranne Suzanne Lenglen”).

Nel 1954 non andò in Australia, ma difese (con successo) il titolo del Roland Garros e di Wimbledon, vincendo anche Roma. Due settimane dopo, in un incidente con il suo cavallo (ah, beffardo destino!) ebbe la gamba destra fatalmente rovinata e dovette ritirarsi dall'agonismo a soli 20 anni non ancora compiuti; aveva vinto gli ultimi 9 Slam a cui partecipò. Sposò in seguito un membro della squadra olimpica USA d'equitazione e si dedicò all'insegnamento del tennis e a commentarlo per poi aprire una fondazione per la promozione del tennis giovanile. Ma il destino aveva in serbo un'altra pagina amara, stavolta definitiva. A 34 anni le fu diagnosticato un tumore allo stomaco che non le lasciò scampo. Nel 1978 le dedicarono un film-tv di due ore, che non ho mai visto, ma che spero di reperire quanto prima viste anche le ottime recensioni... Così potrò farmi un'idea migliore di questa tennista dalla carriera luminosa, ma che ha saputo anche regalarci una finestra sul lato oscuro che lo sport agonistico può a volte drammaticamente aprire.

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