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06/05/2011 21:47 CEST - Il dibattito

Se la terra diventa blu...

TENNIS - Da più di due anni il patron del torneo di Madrid Tiriac si è intestardito sul progetto di cambiare colore alla superficie dell'evento in corso di svolgimento alla Caja Mágica. «Siamo tutti schiavi della TV», dice, ma, se lo sponsor è favorevole, Nadal e Federer sono del tutto contrari. Ce la farà il vecchio Ion a portare a compimento la sua rivoluzione? Mauro Cappiello

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Per ora è stata installata solo su un campo di allenamento per permettere ai giocatori di abituarsi alle nuove sensazioni, ma l’ossessione di Madrid e soprattutto del proprietario dell’evento Ion Tiriac, da ancora prima del cambio di superficie del 2009, è vederla colorare tutti i campi del torneo. Ormai da due anni, la terra blu è uno dei principali temi di discussione per appassionati, giocatori e addetti ai lavori, in prossimità o nel corso del quarto appuntamento del circuito Masters 1000 della stagione.

«Siamo tutti schiavi della televisione». Così spiega la necessità del restyling l’ex giocatore e ora businessman rumeno, che per ragioni di soldi ha imparato con disinvoltura prima il tedesco e poi lo spagnolo. E che, singolarmente, pur dichiarandosi “schiavo della televisione”, non si preoccupa però minimamente della pessima resa televisiva che danno, specialmente sul campo Arantxa Sanchez, le ombre causate per gran parte della giornata dalla struttura della peraltro funzionalissima Caja Mágica, l’impianto da 160 milioni di euro che ospita il torneo.

Le innovazioni di Madrid
Del resto non è un mistero che il passaggio al blu soddisferebbe il main sponsor di Madrid per il miglior abbinamento tra il suo colore e quello dell’eventuale nuova superficie. Così come non è un mistero che l’idea della terra blu sia un modo abbastanza originale inventato da Tiriac per cercare di far uscire la sua creatura dallo status di inferiorità rispetto agli altri appuntamenti sulla terra battuta europea, come Monte Carlo e Roma, con i quali non può competere in termini di tradizione.

Tiriac ha sempre cercato di distinguere il suo torneo dagli altri, sin dai tempi in cui si giocava indoor. Era infatti il 2004 quando formose modelle andarono a sostituire i ragazzini nel ruolo di raccattapalle. Oggi che ha compiuto dieci anni, Madrid è uno dei tornei più ricchi al di fuori delle quattro prove dello Slam. Ma tutto questo al suo proprietario non basta: le prossime mosse, oltre alla terra blu, sono le palle di dimensioni più grandi del 10-15% e l’uso di Occhio di falco anche sulla terra battuta. Cambiamenti che, ovviamente, sarebbero estesi anche agli altri tornei. Il tutto sempre per migliorare l’impatto televisivo e per coinvolgere audience sempre maggiori nel consumo del prodotto tennis.

I giocatori contrari
Riguardo alla terra blu, non è certo la prima volta che il nostro sport affronta la prospettiva di un cambiamento cromatico. Nel 2005, gli US Open cambiarono colore, passando dal verdino al blu. E lo stesso hanno fatto gli Australian Open nel 2008, pur se in quel caso c’è stato anche il passaggio dal rebound ace all’attuale plexicushion, fatto per favorire le caviglie dei giocatori. Nessuno fiatò, poi, quando le palline, una volta bianche o nere, a seconda della superficie, nel 1972 furono trasformate in gialle perché, in seguito a uno studio, si era appurato che fosse più facile seguirle guardando un match in televisione (a Wimbledon, tuttavia, si continuò a giocare con quelle bianche fino al 1986).

È anche vero, però, che in nessuno di questi casi c’era in ballo un elemento di tradizione, come quello del colore della terra battuta europea. Questo ha indotto diversi giocatori a sollevare obiezioni sul caso di Madrid. A partire dai due tennisti che hanno segnato la storia del nostro sport nell’ultimo decennio. Sia Nadal sia Federer hanno mostrato esplicitamente e più volte in passato di non gradire i lampi di genio che provengono dai piani alti del torneo spagnolo. «La terra è rossa e così deve restare, è il colore perfetto, sono completamente contrario al blu», dichiarò già nel 2009 l’attuale numero 1 del mondo, che sul rosso ha vinto 14 dei suoi 19 titoli Masters 1000 e che, a giudicare dalla scaramanzia con la quale dispone le bottigliette durante le sue partite, non cambierebbe il colore della sua superficie preferita nemmeno se raddoppiassero il premio del vincitore. «La terra rossa è la tradizione – gli ha fatto eco Federer –, ma non penso che ci sia la possibilità di giocare sul blu in futuro».

Neanche Serena Williams lasciò a suo tempo dubbi sulla sua posizione: «Sono contraria al 100 per cento, non vogliamo giocare sulla terra blu», disse, anche se la superficie è stata già approvata dalla WTA, mentre non è arrivato ancora l’assenso dell’ATP. Ma Tiriac ripete che «non è scritto in nessun regolamento che la terra debba essere di un colore preciso» e che «i giocatori vanno e vengono, mentre il tennis rimane e deve continuare a evolversi, anche contro i loro pareri».

Per ora si è dichiarato completamente a favore solo Fernando Verdasco: «Bisogna abituarsi al blu, ma alla fine le sensazioni del campo sono le stesse. E questo torneo è sempre stato innovatore».

Madrid sempre più slegato da Parigi?
Oggi è rimasto un unico appuntamento, quello WTA di Charleston, ma, fino a qualche anno fa, sui due circuiti erano diversi i tornei che si disputavano sulla terra verde, la cosiddetta “Har-tru”, leggermente più dura e più veloce di quella rossa. Si giocavano su “green clay”, per esempio, i tornei di preparazione all’Open degli Stati Uniti quando quest’ultimo, dal 1975 al 1977, aveva come superficie la terra battuta di Forest Hills, e anche alcuni tornei minori americani primaverili, che hanno resistito fino a inizio anni Duemila.

Tiriac assicura che, diversamente da quella verde, la terra blu assicurerebbe ai giocatori le stesse condizioni di gioco del rosso. Cambierebbe solo il colore, ma questo, a nostro giudizio, non sarebbe un cambiamento di poco conto per due ragioni: innanzitutto i tennisti dovrebbero “fare l’occhio” a una situazione di alto contrasto cromatico a tre settimane dallo Slam parigino. In secondo luogo, sarebbe quantomeno strano che un torneo che viene giudicato dai giocatori come appuntamento di preparazione a uno Slam si svolgesse su una superficie di colore differente, quando in genere i tornei pre-Slam fanno sempre di tutto per garantire ai tennisti condizioni di gioco quanto più simili possibile a quelle dell’evento più importante. Nel caso di Madrid, già il diverso livello di altitudine e, quindi, di velocità di palla, lo discosta notevolmente dal Roland Garros. Il passaggio alla terra blu trasformerebbe il torneo di Tiriac da evento di preparazione a evento fine a se stesso, e dubitiamo che ciò sarebbe accettato volentieri dai giocatori.

Anche per questo motivo Guillermo Garcia-Lopez, interpellato da El Pais, ha detto di non essere contrario in linea di massima a una terra blu, ma che il nuovo colore «andrebbe prima sperimentato in un torneo minore».

Un colore lontano dalle tradizioni del tennis
Probabilmente, in un mondo come quello del tennis in cui spesso gli sponsor hanno l’ultima parola, ha ragione Manolo Santana quando dice: «Prima o poi questo tipo di campo finirà per imporsi». D’altronde il blu è un colore sempre più dominante sulle scene tennistiche del nuovo millennio, se consideriamo che agli accorgimenti a uso e consumo della TV fatti da Australian Open e US Open e ricordati sopra va aggiunta l’ambientazione delle ATP World Tour Finals della O2 Arena di Londra, caratterizzata dagli splendidi giochi di luce basati sul tema del blu.

A noi tuttavia piace chiudere l’articolo con questa riflessione un po’ nostalgica di Peter Bodo, fatta un anno e mezzo fa, ma oggi più che mai attuale: «Il blu non è un colore psicologicamente associato al tennis. Il blu è un colore marittimo o collegato al cielo; il tennis è un gioco di erba e polvere rossa, giocato su terra asciutta. Il tennis evoca il solido, non il liquido o il trasparente. Originariamente quanti potevano permettersi di contemplare l’estetica del tennis dipingevano la superficie dei loro campi duri con una combinazione di verde e marrone; il campo stesso era verde, con linee bianche; l’area circostante di una tonalità media color mattone, non diversa dalla terra rossa. Quei colori si accordavano piacevolmente alle radici del tennis».

Mauro Cappiello

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