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14/06/2011 17:56 CEST - APPROFONDIMENTI

Agassi: "Il tennis mi ha dato tutto"

TENNIS - In un recente colloquio con la stampa, Andre Agassi ha parlato di tante cose. Di come è la vita senza tennis, del suo progetto di aprire 75 strutture scolastiche nei prossimi anni, di Murray e Cahill, del Federer sempreverde, di quando vinse la Coppa Moschettieri. Una mente ancora lucida, attiva, viva, come quando giocava ancora. Nicola Gennai

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Una carriera tennistica (e una vita) vissute spesso e volentieri sopra le righe. Padre despota, macchine sparapalle, fuga dall’Accademia di Bollettieri, capelli (finché ci son stati) da ribelle, pantaloncini-jeans, unghie laccate, l’immagine è tutto, macchine veloci, matrimoni cominciati e finiti, parrucche che volano, depressione, stupefacenti, orecchini come unico contorno ad una testa calva, career Slam da due set sotto e finale degli Us Open a 35 anni, siringhe di cortisone come bicchier d’acqua, pallate ricevute dal suo eterno rivale in esibizione.
Andre Agassi, come tutti, avrà dei rimpianti, non rifarebbe alcune cose, altre le ripeterebbe, ma di certo non può imputare a se stesso di non aver “vissuto”. Belle o brutte, deludenti o soddisfacenti che siano state, le 41 primavere dell’ex kid di Las Vegas sono state davvero intense, pregne di esistenza, situazioni, emozioni.
Tanto che, giunti a questo punto, ci si aspetterebbe una persona finalmente in pace con se stessa, bramosa soltanto di rilassarsi, dopo essersi liberata da molti dei suoi demoni confessati (e venduti) al mondo nella bell’autobiografia (che poi tanto “auto”, come tutti i libri del genere, non è, ma questo è un altro discorso) “Open”, oggi disponibile pure in italiano. Una bella moglie, due figli, un futuro assicurato per tutta la famiglia. Cosa vuoi di più dalla vita (ad oggi non esiste una versione americana dell’Amaro Lucano). E invece no. La trottola Agassi, il precursore sportivo di Antonio Conte in fatto di toupet, non ha alcuna intenzione di fermarsi, di prendersi una sosta, di fare una siesta, di pensare soltanto a fare spot televisivi per palle e orologi. Absolutely not. La leggera pinguedine che ha sviluppato, il classico volto paffuto di chi abbandona lo sport, ne tradisce la collocazione tra i ritirati, ma lo spirito, la voglia di continuare a mettersi in gioco, di aiutare gli altri, di rendersi utile, sembrano regalarci il profilo di un campione ancora in attività, di una mente ancora viva, attiva, che cento ne pensa.
Pochi giorni fa, durante un incontro con alcuni giornalisti presenti al Roland Garros, Andreino ha spaziato a tutto campo, con la consueta schiettezza e sincerità
. Ha parlato dei suoi progetti futuri, della sua vita senza una pallina e una racchetta sempre in mano, di Murray e Cahill, di Federer, di ricordi, and so on.

Il progetto delle Charter Schools

Da sempre sensibile alle tematiche sociali, alla beneficenza e, perché no, pure interessato alla cultura (a quanto traspare da “Open”, Agassi rimpiange in un certo senso di aver studiato e imparato “poco” da piccolo), il detentore di otto prove dello Slam ha in testa un progetto ambizioso, quello di aprire, negli anni a venire, delle “charter schools” negli Stati Uniti (le charter schools sono scuole primarie o secondarie che ricevono sia fondi pubblici che donazioni private e che seguono programmi diverse dalle altre scuole pubbliche. Ci si iscrive alle charter schools per scelta. Non si paga alcuna retta). Ho lavorato a quest’idea nell’ultimo anno e mezzo. Con l’aiuto finanziario di un’importante società californiana, la Canyon Capital, abbiamo in mente di aprire ben 75 charter schools sparse per tutta l’America. L’obiettivo è quello di divenire partner con i migliori operatori del settore, affinché le strutture che apriremo possano fornire un’educazione di primo livello per i nostri bambini”. Agassi non è nuovo a iniziative del genere, visto che la prima scuola fondata dal marito di Steffi Graf fu la “Andre Agassi College Preparatory Academy”, aperta nel 2001 a Las Vegas, che conta ben 650 bambini iscritti e una lista d’attesa che supera il migliaio. “Non mi considero un educatore, ma un “facilitator” (agevolatore) della mia scuola. Cercherò di trasferire ciò che sto facendo a Las Vegas su scala nazionale”.

La vita dopo il tennis.

Grazie a “Open”, siamo venuti a sapere che Agassi aveva sempre odiato ciò che sapeva fare meglio: giocare a tennis. Ora, a quasi 5 anni dal suo ritiro, è normale chiedersi se il tennis, in ogni caso, abbia lasciato o meno un vuoto nella sua vita. La risposta, partendo appunto dall’odio dichiarato per racchette, calzoncini e palline, è un attimo spiazzante: “Sono passato dal rifiuto di questo gioco per la maggior parte della mia vita e della mia carriera al capire che in fondo proprio grazie al tennis ho ottenuto la mia scuola, mia moglie, l’opportunità di crescere i miei figli. Adesso posso sedermi e guardar giocare gli altri senza alcun stress, senza preoccuparmi, senza dover più pensare a cosa devo fare. Mi godo il mio sport molto più adesso di quando giocavo, ed è così ogni giorno che passa da quando ho compiuto 27 anni”.
Il giocatore famoso per il suo ritmo infernale in campo, specie tra un punto e l’altro, come a voler sempre guardare avanti, conferma questa tendenza anche adesso: “Da quando ho appeso la racchetta al chiodo ho vissuto molti momenti di felicità, ma non son il tipo da festeggiare troppo ciò che ho appena fatto. Preferisco guardare avanti, al prossimo passo, al domani.”.
Uno dei suoi obiettivi attuali, legato al suo progetto delle charter schools, è quello di sfruttare la sua visibilità per promuovere le sue attività nel campo dell’educazione: “Non mi interessa essere famoso, apparire in pubblico per soddisfazione personale. Vorrei sfruttare la mia visibilità per la mia “mission”, per aiutare ad influenzare una certa visione della società”.
Al momento, non si vede però in una cabina di commento, uno degli impieghi post-ritiro più gettonati tra gli sportivi di ogni tipo: “Per essere un buon commentatore devi essere molto coinvolto nel gioco. Potrei parlare dei giocatori coi quali mi sono battuto nei miei ultimi anni, di Federer, di Nadal e di come colpiscono la palla, ma sulla nuova generazione non sarei così preparato. Sono così diversi, più alti, più forti fisicamente. Non avendoci mai avuto a che fare sul campo non sarei all’altezza. Non ho mai fatto una cosa a metà nella mia vita, non vorrei cominciare proprio adesso, visto che, per prepararmi a dovere dovrei cominciare a viaggiare molto, seguire i nuovi da vicino, allontanarmi spesso dalla mia famiglia. Allo stato attuale è un impegno che non mi sento di prendere”.

Murray, Cahill e Wimbledon

Non lo sappiamo con certezza, ma, dovendo scommettere, si direbbe che la parte del colloquio relativa a Murray è farina del sacco di un giornalista d’Oltremanica, visto l’ amore/odio/ossessione verso lo scozzese, che illude la stampa inglese tanto quanto la delude. Secondo Agassi, Darren Cahill, che è stato suo coach, sarebbe l’uomo giusto per il figlio di cotanta madre: “Penso che Andy dovrebbe trovarsi un allenatore full-time (la collaborazione con l’australiano al momento è part-time e legata al programma Adidas) e che l’uomo giusto sarebbe lui. Io lo scelsi dopo aver visto come aveva lavorato con Hewitt, giocatore che non ha mai preso una cattiva decisione in campo. Inoltre, Murray e Lleyton si somigliano pure, visto che entrambi non hanno dei colpi devastanti, ma sanno benissimo sfruttare la spinta altrui per diventare aggressivi”. Agassi si sofferma anche un attimo sul tipo di gioco che lo scozzese dal dente aguzzo dovrebbe imporsi di mettere in atto: “Murray ha una delle migliori risposte che abbia mai visto, gioca bene da entrambi i lati, si muove in modo incredibile, ma non può pensare di vincere Slam senza imporre il proprio gioco, basandosi soltanto sulle sue enormi capacità in difesa. Darren è il tipo di persona che può fargli capire ciò”. E a Wimbledon che accadrà? La replica agassiana è netta: “La semifinale al Roland Garros non conta nulla, sui verdi prati ci sarà un giocatore diverso, che avrà a che fare con l’enorme pressione di tutto il suo paese (Agassi dice “England”, Murray, fieramente scozzese, non approverebbe in pieno). Ma se io avessi avuto il suo gioco sarei davvero stato male senza vincere Slam. Molto male.”

Federer e l’età

L’uomo dei 16 Slam, dopo un avvio di stagione lontano dai suoi standard, a Parigi sembra avere vissuto una seconda giovinezza. Si muoveva come un 20enne. Agassi, che a 35 anni ha fatto finale Slam (e che a 33 ne ha pure vinto uno di Major, gli AO), ritiene che Roger, che si avvia ai 30 (8 agosto) abbia ancora molto da dare. “E’ incredibile quel che sta facendo e come lo sta facendo alla sua età. Su ogni superficie. Per lui è molto importante essere arrivato sino a qua senza infortuni. Facendo un parallelo, rispetto a me alla sua età, ha probabilmente molto più da dare”

Amarcord

Inevitabile un ricordo di quel magico 1999, quando sia lui che la sua futura moglie Steffi Graf si aggiudicarono il Roland Garros. Entrambi contro pronostico. Entrambi facendo la storia. Andre completando il Career Slam, Steffi tornando a vincere dopo 3 anni e l’operazione al ginocchio, quando tutti la davano per finita. “Non capita di parlare molto spesso di ciò, ma il ricordo è davvero vivo. Furono comunque due vittorie diverse, per me fu come scalare l’Everest. Che momento incredibile”.

Nicola Gennai

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