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16/06/2011 19:58 CEST - LA PROMESSA

Un "Paisà" nel nome di Borg

TENNIS – Bjorn Fratangelo, chiamato così dall’italianissimo papà Mario (fanatico di Borg), ha trionfato al Roland Garros junior. E’ cresciuto sulla terra verde perché dalle parti di Pittsburgh non ci sono campi in cemento. “Così ho imparato a muovermi e scivolare. Il mio nome è difficile da pronunciare per chi non conosce Borg…”. La prospettiva-college. Riccardo Bisti

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34 anni dopo John McEnroe (ultimo americano a vincere il Roland Garros junior), gli statunitensi tornano a sperare grazie a un biondino il cui nome è tutto un programma: Bjorn Fratangelo. Il nome evoca il grande Borg. Il cognome rimanda all’Italia rurale, che si spacca la schiena a suon di coltivare i campi. Papà Mario, un fanatico dell’orso svedese, arriva da Campobasso. Ma si è trasferito negli States da bambino, così Bjorn non ha praticamente legami con il nostro paese: "A casa non si parla l'italiano, e nemmeno io lo conosco". In finale a Parigi ha battuto l’austriaco Dominic Thiem con il punteggio di 3-6 6-3 8-6. E pensare che Fratengelo aveva preso confidenza con la terra rossa solo pochi giorni prima del Roland Garros, quando è sbarcato a Milano per giocare il Trofeo Bonfiglio. Al TC Bonacossa aveva raggiunto i quarti, poi a Parigi ha elevato il suo tennis fino all’inatteso successo. Bjorn si allena a Naples, in Florida, sotto la guida del padre, e incentra il suo tennis su un dritto ficcante e un solido rovescio a due mani. Nella finale del Roland Garros ha mostrato notevoli doti mentali, vincendo al fotofinish un match giocato sul campo numero 2, giocato davanti a circa 2.000 spettatori. I tempi degli Under 20 già competitivi a livello PRO sono finiti. Gli ultimi casi sono stati Becker, Agassi, Chang, Nadal e lo stesso Gasquet. Adesso c’è un solo ventenne tra i top 100 (Grigor Dimitrov). Ci vorrà dunque un po’ di pazienza, ma Fratangelo sembra avere tutte le doti per sfondare. Gli americani ci tengono da morire: da anni aspettano un giocatore competitivo sulla terra battuta. L’ultimo Yankee a vincere il Roland Garros dei grandi è stato Andre Agassi nel 1999.

Terraiolo per caso
La bravura di Fratangelo sulla terra non è casuale. “Sono cresciuto a Pittsburgh – racconta – dove non ci sono tanti buoni campi in cemento. Allora mi sono allenato principalmente sulla terra, dove ho imparato a scivolare e fare i movimenti giusti”. Non era la terra rossa, ma il famoso “Har Tru”, la terra verde americana: Fratangelo, tuttavia, non crede che ci sia una grossa differenza tra le due superfici. Qualcuno potrebbe associare la sua bravura sul “rosso” a un nome di battesimo pieno di significati. Glielo devono aver chiesto tante volte, se dopo il trionfo ha risposto con l’aria stanca “Si, sono stato chiamato così per il motivo che pensate. La cosa più difficile è pronunciarlo per tutti quelli che non conoscono Borg”. Il giovane Bjorn non ha mai conosciuto l’idolo del padre, e nemmeno John McEnroe. Ma è solo questione di tempo. A differenza di Donald Young, i rapporti con la USTA sono ottimi. Di tanto in tanto si reca a Boca Raton, dove c’è un centro di allenamento. E si è affrettato a sottolineare l’importanza dei coach federali, a partire da Jay Berger. E pensare che prima del Roland Garros non aveva vinto una sola partita in uno Slam junior. Aveva partecipato solo un paio di volte allo Us Open, perdendo al primo turno. “Grazie a Dio mi sono tolto di mezzo il primo turno” rispondeva a chi gli chiedeva sulla sue aspettative “Poi è andata sempre meglio, anche perché questa superfice ben si adatta al mio gioco. Aiuta il mio dritto a essere più incisivo. E non ho mai avvertito la tensione, mi sono divertito. E la USTA ci ha aiutato sul serio: ringrazio Jay Berger, Dave Licker, Satoshi Ochi per tutto quello che hanno fatto”.

Prospettiva college
La carriera di Bjorn Fratangelo è nata in un seminterrato. Aveva 3 anni e tirava pallinate contro il muro, utilizzando le racchettine regalategli da papà Mario. Dopo il trionfo a Parigi è tornato a Pittsburgh, tanto che non parteciperà alla stagione sull’erba. “E’ bello ripercorrere le orme di McEnroe, ma non so se sarò la prossima stella del tennis americano”. A dirla tutta, non è nemmeno sicuro che diventerà professionista nei prossimi due anni. Ha appena terminato la Barron Collier High School di Naples e potrebbe accettare una borsa di studio per trasferirsi in un buon college. Non lo ha ancora contattato nessuno, ma solo perché è possibile farlo dal 1 luglio. “E’ solo una questione di vedere cosa succede – dice Bjorn – certamente l’obiettivo è diventare un giocatore, vincere gli Slam veri. Se sentirò che il mio livello è pronto, diventerò professionista. Altrimenti andrò al college. Il tennis è uno sport pieno di alti e bassi. Un solo torneo non fa curriculum”. Intanto quest’estate giocherà diversi tornei professionistici, tra cui l’atteso Future casalingo di Pittsburgh. Ad agosto parteciperà ai campionati nazionali Under 18, in programma a Kalamazoo, Michigan. Un torneo importante, poiché il vincitore avrà una wild card per lo Us Open dei grandi. Il suo futuro immediato dipenderà anche da questi risultati. Papà Mario, come detto, è nato a Campobasso. Si è trasferito negli Stati Uniti negli anni 60, ed oggi ha 53 anni. “Chiamare mio figlio Bjorn è stata una follia – racconta – probabilmente oggi non lo rifarei. Mio padre era contrario. Ho subito pensato che il tennis fosse lo sport adatto per lui. E’ un ragazzo timido, non parla molto. Ho ritenuto che uno sport individuale gli avrebbe fatto bene, dato fiducia”. A quanto pare ci ha visto giusto.

Riccardo Bisti

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