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27/06/2011 15:35 CEST - Rassegna Stampa del 27 Giugno 2011

Il Centrale, il tetto e i riflettori così Wimbledon ha salvato lo show (Clerici), Dio salvi The queue la coda di Wimbledon (Semeraro), Nadal scopre lo stress Del Potro (Azzolini), Nadal, arriva il tifoso speciale (Martucci)

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Rubrica a cura di Daniele Flavi

Il Centrale, il tetto e i riflettori così Wimbledon ha salvato lo show

Gianni Clerici, la repubblica del 27.06.2011

Grazie alla docente dell'Università di Cagliari Luisanna Fodde, che dirige di fatto, e per di letto, l'ufficio stampa di Wimbledon, riesco ad acquistare per sole 50 sterline un biglietto per il mio amico Roberto, che era giunto alla disperazione rassegnandosi alla fila che si crea ogni notte fuori dalle mura dello All England Club di Wimbledon. A soli duecento metri dalle sacre porte dei Fratelli Doherty, i Federer dell'Ottocento, i 1500 posti erano esauriti, e ai catecumeni altro non restava che attendere sino al pomeriggio per acquistare biglietti usati, che i fortunati spettatori riconsegnano, andandosene soddisfatti per lo spettacolo. Con me, Roberto ha in comune le caratteristiche di giocare a tennis, e di produrre vino. Lui professionalmente — il vino, dico — io da povero dilettante, sebbene qualificato, a suo tempo, dal gradimento di Gianni Brera e Luisin Veronelli. La prima cosa che Roberto desidera vedere è il Centre Court, come si scrive qui il termine che nei vocabolari troverete sotto la dizione di Center. E quel che il tennista Giorgio Bassani definì, in un indimenticabile articolo «il Vaticano della nostra religione». E Roberto resta in silenzio ad ammirare due giardinieri che riducono di un ottavo di inch l'erba non ancora distrutta, fuor dalla riga di fondo. I suoi occhi si rivolgono verso l'alto, dove i piccioni, scacciati dal falco professionista all'alba, hanno testardamente ritrovati i loro nidi, e mi domanda "Ma c'era bisogno del tetto?". "C'era. L'altra sera, l'idolo locale Murray ci è rimasto sino alle dieci e mezzo con il mio amico Ljubicic. E vero anche che lo ex presidente Tim Phillips era silenzioso quanto indignato. Tetto e riflettori a Wimbledon! Ma così il torneo non ha subito ritardi, e nessuno è stato costretto alla disumanità di una partita al giorno, causa pioggia". "E tu, sul Centrale, ci hai mai giocato?" mi chiede Roberto, che mi riserva il rispetto di tutti quanti non mi hanno visto in campo. "Mai" rispondo, rinnovando il dolor che il cor mi preme. "E su quali campi hai giocato?". "L'Uno, il Tre e il Sedici ". "Facciamo una rivisitazione?". "Non possiamo". "E perché?". "Li hanno distrutti". Infatti, per una curiosa coincidenza, i miei tre campi, e i teneri ricordi, son stati distrutti, e solo in parte ricostruiti. Ma cominciamo dal Sedici. Si stendeva sotto un serbatoio d'acqua, chiamato The Crow Nest, il Nido del Corvo. E, fianco al nido, si trovava il tabellone del punteggio, raggiungibile con una scala e un sottile paletto di ferro, per ruotare il numero dei games su un tabellone. "Ma ora sono elettronici" osserva Roberto. "Tutto è elettronico. Ad eccezione dei tennisti, per ora". Percorriamo alcuni vialetti, sinché io mi blocco di fronte ad un edificio dal quale occhieggiano alcuni colleghi, e, ai piani superiori, altrettanti camerieri. "Il Court Number One era qui" indico. "E come mai non c'è più?". "Abbattuto. Per far posto a qualche centinaio di giornalisti, al loro ristorante, e a quello dei tennisti e dei loro allenatori, famiglia-ri, amici, clienti". "Ma il campo N. 3?". "Il mio non esiste più, ne hanno distrutti due per costruire un nuovo N.3. Per far questo, è scomparso quello che era chiamato The Graveyard, e cioè il Cimitero o, se preferisci, il Sepolcro dei Campioni" "Erano sepolti Il, i vincitori?". "Era un cimitero simbolico. Aveva preso il nome causa le inattese sconfitte di molti favoriti, tanto per indicarne qualcuno Agassi, Becker, le Williams, e addirittura Sampras, eliminato da uno sconosciuto svizzero, Basti". "Il cui nome, quindi è rimasto. E il tuo?". "Temo proprio di non esser indicato, per passare alla storia, se non come umile guida". A ciascuno il suo destino, a qualcuno il più piccino, diceva una filastrocca, ai tempi dell'asilo

Dio salvi The queue la coda di Wimbledon

Stefano Semeraro, la stampa del 27.06.2011

C'è chi da anni non se ne perde una, rispettando un regolamento ferreo In una mostra al Museum un rito che si protrae da oltre un secolo ACCAMPATI Si dorme in tenda con pila maglioni, cerata, cuscino un libro o la pagina 3 del Sun DISCIPLINA Non si pub tenere il posto ad altri. Aboliti i barbecue e dopo le 22 qualsiasi gioco a coda è ovunque in Gran Bretagna. E' una questione innatamente sociale, ordinariamente metafisica. «Un inglese, anche se è da solo - ha scritto George Mikes -, forma una normale coda di una persona». Ma The Queue, La Coda con la maiuscola, è solo a Wimbledon. La bizzarra, arcaica parola si pronuncia «chiù» e attraverso il francese deriva dal latino cauda. Nessuno, negli Stati Uniti, vi direbbe: «please, mind the queue», ma più prosaicamente «stay on the line». La linea è un concetto geometrico, la queue è una creatura, un organismo complesso e chiunque si trovi a camminare durante le due settimane dei Championships lungo Wimbledon Park Road e Church Road se ne accorge immediatamente. La vede, la annusa, la sente. Se amate il tennis, e non siete così fortunati da possedere un biglietto, dovete affidarvi a lei, accampandovi oggi lungo il parco come una volta si faceva in strada, dormendo sotto una tenda con pila, maglioni, cerata, un libro o la pagina 3 del Sun, una bottiglia di Pimm's o una cassa di birra da dividere con gli altri, sperando che vi tocchi una. Il tennis senza tempo te calda. Si stringono amicizie che durano una vita, in quelle ore di spensieratezza e follia. Se volete essere certi di ottenere uno dei circa 1500 posti migliori che ogni giorno l'All England Club mette in vendita per il Centre Court, il campo n. l o il n. 2, dovrete passare lì la notte. Se vi accontentate di un ticket più modesto, uno dei 9000 ground che danno semplice accesso all'impianto, potete arrivare prima delle 6 di mattina, quando riapre la metropolitana e la Queue diventa un Tamigi di gitanti in bermuda e giacca a vento. Del resto è più di un secolo che la magnifica sagra celtica che si chiama Wimbledon, nata nel 1877, attira più spettatori di quanti ne possa contenere. Già in epoca edoardiana i Championships facevano parte della Season, e sui marciapiedi di Worple Road, la prima sede del torneo, si allungava il biscione dei questuanti che rischiava di provocare intralci allo sferragliante traffico di inizio secolo. Nella bella mostra ospitata in questi giorni dal Wimbledon Museum e curata da Ashley Jones, campeggia la foto di un baffuto bobby che, nel 1913, scruta la borsetta di una suffragetta, temendo di vederne uscire manifesti femministi, la miccia di una dimostrazione. Nel 1922 Wimbledon si spostò nell'attuale location di Church Road, nel 1927 durante il primo sabato si presentarono 22 mila spettatori e gli «Honorary Stewards», i signori e le signore in giacca, cravatta e Stetson di paglia che ancora oggi governano il flusso degli spettatori, iniziarono per la prima volta ad assistere il pubblico. L'anno dopo la Queue dei fan che speravano di strappare un tagliandino per gli stands, i vecchi posti in piedi sul Centre Court, iniziò alle 5 del mattino, e in 2000 restarono a mani vuote. La fotografia in bianco e nero che vedete in questa pagina risale invece al 1934 e inquadra la moltitudine dei british che dopo aver atteso tutta la notte si catapulta ordinatamente attraverso i cancelli per assistere alla finale giocata da Fred Perry - sì, quello delle magliette -, l'ultimo inglese capace di alzare la coppa a Church Road. A quei tempi era possibile, per chi non aveva tempo o pazienza, fare la coda per interposta persona: una foto del 1938 mostra una folla di messenger boys, di piccoli fattorini gallonati con la bustina sulle 23 in attesa di conquistare un biglietto perla finale del 1937 fra Don Budge e Gottfried von Cramm. Altri tempi. Nel corso di settant'anni la Queue è stata regolamentata, sono stati aggiunti nuovi botteghini e studiati accorgimenti per rendere più confortevole l'attesa dei fan, che dagli anni 70 in poi hanno iniziato a fare gara di originalità. Come i due tifosi di Roscoe Tanner che nel '79 si presentarono in smoking, con due letti da campo e due cani, a cui però non fu concesso l'ingresso. Nel '91, l'anno della grande pioggia in cui gli organizzatori furono costretti ad abolire il riposo della domenica di mezzo, i biglietti costavano 10 sterline e la coda si allungò per un miglio e mezzo. Le Queue, in realtà, fino a tre anni fa erano due: una da Sud che discendeva da Wimbledon, una da Nord che saliva da Southfields. Nel 1998 la South Queue è stata spostata all'interno del campo da golf di Wimbledon, e tre anni fa è stata riunita alla North Queue. Da quest'anno la Lavazza, sponsor italiano del torneo, ha addirittura organizzato la distribuzione di mini-cappuccini, tornei di racquet-cup e tennis-croquet, persino una «Queue Lounge» dove ci si può ristorare con un espresso. I «codanti» sono diventati una confraternita, con tanto di adesivo da indossare con orgoglio: «Ho fatto la Queue a Wimbledon». C'è chi da vent'anni non se ne perde una, ma se vuoi farne parte devi rispettare il regolamento. Non si pub tenere il posto ad altri, né lasciare come segnaposto abiti o suppellettili, sono banditi i barbecue. Dopo le dieci di sera anche i giochi e ciascuno deve ritirarsi nella propria tenda (massimo due persone), se vuole sentire musica usare le cuffie. Chi prova a fare il furbo è out con ignominia. Alle 7,30 gli stewards distribuiscono i braccialetti di tre diversi colori, uno per ciascuno dei tre campi principali. Poi restano un paio d'ore per farsi una doccia, bere un caffè e fiondarsi ai botteghini che aprono alle 9. Facendo però attenzione ad avere i contanti, perché le casse non accettano carte di credito, e a non portarsi bagagli di dimensioni superiori a 40x30x30 cm. E chi rimane fuori? Non si deve scoraggiare, ma rimettersi in coda e aspettare di acquistare un biglietto riusato da chi se ne è andato in anticipo. Si pub entrare fino alle 8 di sera. Wimbledon, in fondo, è un gran bel posto anche solo per passarci un'oretta con lo sguardo perso nei prati. Come dice Sue Callaghan, codante dal 2001, «lascia il cervello a casa, e corri a fare la coda a Wimbledon».


Nadal scopre lo stress Del Potro

Daniele Azzolini, tuttosport del 27.06.2011

Le domeniche a Wimbledon sono tutte uguali. Al Village i giocatori mettono il naso fuori di casa intorno alle 10, e vanno a fare colazione con l'espressione da turisti per caso e il cappelletto sulle ventitre per non farsi riconoscere. Gli abitanti del borgo, che vivono di tennis, per 15 giorni si atteggiano a chi di tennis non ne può più, e collaborano coi tennisti facendo finta di non conoscerli. Chi vuole allenarsi ha molte e differenti destinazioni. I forti entrano di lato nell'impianto, da Aorangi Park, e accedono ai campi per il training, i meno forti devono cercare un campo da qualche altra parte. Si sa, Wimbledon è un torneo classista. I più fortunati vanno a Roehampton, li vicino, gli altri in giro per Londra, che fa Regione, e dunque è immensa. Così facendo incontrano l'erba, poa pratensis, che nel vero" Wimbledon è ormai sconosciuta. Cento per cento segale, mista a terra. IL PIU' IN FORMA «Wimbledon mi mette addosso la carica giusta, è una cosa automatica... con Nalba ho giocato un gran match». Distillando Federer, si ottiene quanto segue: è in fiducia, nasconde la palla agli avversari, si muove con grande facilità. Negli ottavi ha Youzhny, il cammino può proseguire. Ha quasi 30 anni. Non si capisce perché venga considerato vecchio già da due anni. In ogni caso, può temere solo se stesso. A RISCHIO «Non è una gran fortuna incontrare Juan Martin negli ottavi. È uno dei migliori giocatori del mondo, uno dei primi cinque di sicuro: Ora non ha la classifica giusta, dunque fa da mina vagante, e io me lo ritrovo contro». Nadal attende Del Potro, e sa che il suo torneo è alla svolta. Il rischio è grande perché l'argentino sta riacquistando autorevolezza, mentre i colpi sono tornati a filare come proiettili traccianti. Un dolorino alla coscia, qualche espressione affaticata qui e là. Finora non è stato il miglior Nadal. Battere Del Potro lo restituirebbe alla sua normale autostima, quella da terra rossa. LA DELUSIONE «Ho messo a segno 65 vincenti. E lei me li ha restituiti uno per uno. È stato un bel match, ho avuto chance, ma anche lei le ha avute, non dimentichiamole. Lo sottolineo, sennò sembra che-il match gliel'abbia regalato io». Fa bene Flavia Pen-netta a precisare quanto il suo match con Marion Bartoli sia stato diverso da quello della Schiavone contro Tamira Paszek. Flavia ha mostrato di essere in crescita, Francesca no. «Raramente ho giocato così male in uno Slam», ha confessato la Schiavo. Ma l'uno-due giunto dal campo Dodici, dopo una settimana di ottime premesse (anche con Bolelli e Seppi) è stato duro da digerire. Il tennis italiano è stato estirpato dal torneo in un batter d'occhio. E quel che è peggio, non abbiamo un solo rappresentante fra gli junior. Semplicemente, da dieci anni non produciamo più tennisti. LA SORPRESA «Sono solo al quarto turno. E una cosa grandissima per me, ma non credo sia così grande in assoluto. Ho battuto Soderling, è vero, e ora ho Malisse, che è esperto. Posso batterlo, e magari dopo mi convincerò anch'io che sto compiendo un'impresa». Bernard Tomic, croato nato in Germania e cresciuto Down Under, misura le parole, ma non sta nella pelle. Punta a Djokovic, che verrebbe dopo Malisse. Può arrivarci davvero. Ha 18 anni, ne compirà 19 a ottobre. È tennista da sempre. Un metro e 93, e lo sviluppo non è ancora completato. Ha passato le qualifiche, poi ha battuto Davydenko, Andreev e Soderling. Non male. Nel 1977 un ragazzino di 18 anni superò le quali e si issò fino alle semifinali, dove perse da Connors. Si chiamava John McEnroe.

Nadal, arriva il tifoso speciale

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 27.06.2011

«Mamma». Bastonato al Masters, dopo quel famoso ultimo giro perso con 4 colpi di vantaggio, marchiato come «choker (cacasotto)», la parola più brutta del golf, «è quella che odio di più, dopo "cheater" (imbroglione)», Rory Mcllroy ha chiamato le mamme dello sport, Alex Ferguson e Rafael Nadal. Il Sir del football eli ha suggerito: «Vai dalle persone in cui credi, familiari, amici, persone vicine, solo loro ti diranno la verità». Il numero 1 del tennis lo ha rassicurato: «Sei così giovane, quello che hai fatto nei primi tre giorni ad Augusta è straordinario. Verrà il tuo momento, amico mio». E, mentre reagiva da campione, dominando lo Slam successivo, lo Us Open, il McEnroe del golf ha ricevuto continui messaggi di sostegno dai soci sostenitori. Che poi ha ringraziato pubblicamente, invitando Rafa a giocare con lui a golf al mitico St Andrews. Intanto lo incontrerà a Wimbledon, già fra oggi e domani. Prima in privato, poi sotto le luci del ribalta del torneo più famoso al mondo. Parallelo L'hobby di Rory è il tennis, l'hobby di Rafa è il golf. Tutt'e due campioncini precoci, Nadal ha vinto il primo dei 6 Roland Garros a 19 anni, Mcllroy, a 22, è il più giovane re di un Major (dal 21enne Woods al Masters 1997), tutt'e due semplici ed effervescenti, tutt'e due di posti piccoli (la nordirlandese Holywood e la maiorchina Manacor), i ragazzi terribili dello sport si sono conosciuti l'anno scorso agli Us Open di tennis, a New York. «Gli ho chiesto se voleva vedere l'allenamento di Rafa, e così è nata la loro amicizia, molto diretta e sincera», racconta Benito Barbadillo della Bl PR che cura l'esposizione mediatica di Nadal, e sa della grande passione dell'amico, oggi 25enne: «Ha 7 di handicap e appena può scappa sul green, gioca moltissimo con lo zio ex calciatore, Miguel Angel, ed è sempre alla Pro-Am di Sergio Garcia, di golf sa tutto e segue tutte le gare alla tv». Flash Vista da Mcllroy: «Rafa è un grande modello. Al suo primo allenamento, ho notato un livello di attenzione e di determinazione assolutamente da imparare e incorporare. Per me è il miglior sportivo del mondo, una leggenda dentro e fuori del campo». Vista da Nadal: «Rory è di grande ispirazione, lo ammiro molto, la reazione che ha avuto dopo il disastro di Augusta è stata assolutamente incredibile, senza errori, mi darà la spinta per confermare il titolo a Wimbledon». Di più: «Quello che sta facendo Rory è assolutamente incredibile. Io adoro il golf, e il suo swing è uno dei più belli del mondo, se non il più bello, ho seguito giro per giro il suo Us Open e non riuscivo a trattenermi dal mandargli sms. Meritava proprio il primo Major. Gliel'ho scritto: "Bravo, campione, te lo sei meritato, sei stato il migliore per tutta la settimana"». Idolo In realtà Rafa adora Tiger Woods: «Non ho mai avuto un idolo, perché tutto lo sport è per me fonte d'ispirazione. Ma Tiger è probabilmente l'atleta che ammiro di più perché amo molto la sua mentalità. Amo i suoi occhi quando sta per fare un colpo importante, ha sempre giocato con incredibile determinazione e fiducia in se stesso. Eppoi so quant'è dura giocare con il dolore e restare concentrati quando hai male di continuo, com'è successo a lui e a me». Quando lo conobbe, sul green di Shanghai nel 2008, rimase folgorato dalla reazione del Fenomeno che, chiuso il drive al tee di partenza, incrociò lo sguardo del giovane tennista spagnolo, a bordo green, gli andò incontro e gli strinse la mano: «Ciao, Rafa, io sono Tiger, felice di conoscerti». Peccato che Tiger sia amico di Federer, e Rafa non voglia creare problemi diplomatici. Come spiegare che cosa fa appena dopo Wimbledon: «Vado a casa, a giocare a golf. No?». TESTIMONIAL Anche la Federazione spagnola di golf ha cercato di sfruttare la passione di Rafa Nadal per il green: il tennista numero uno del mondo è stato scelto come testimonial per sostenere la candidatura della Spagna ad ospitare la Ryder Cup del 2018. Nonostante la grandezza del personaggio, la candidatura non è andata a buon fine: ha vinto la Spagna.
 

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