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02/07/2011 18:16 CEST - Wimbledon

Provaci ancora Murray Brown

TENNIS - Tre semifinali consecutive perse a Wimbledon e tre finali di Slam senza raccogliere un set. Come delude lui quando sembra lì lì sul punto di illudere, non c'è nessuno. E' presto per considerarlo un meraviglioso perdente? L'interrogativo c'è tutto. Il paragone con...Charlie Brown che sogna sempre che Lucy non lo prenda per i fondelli. Luigi Ansaloni

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Credo che soltanto un mostro, un tifoso efferato nadaliano al cento per cento, un Bin Laden della racchetta, non ha sentito una fortissima fitta di pietà dopo la semifinale giocata contro il tiranno spagnolo per quello che è allo stato attuale uno splendido, meraviglioso e soprattutto (e purtroppo per lui) tenacissimo perdente che corrisponde al nome di Andy Murray. Non tanto per la sconfitta, sia chiaro, perché perdere in sé è l’essenza dello sport. Non esiste il dolce senza amaro, dopotutto, e non si può provare il gusto di una vittoria se prima non si è assaggiato il fiele della sconfitta. Tutti i grandi atleti sanno questo, semplicemente perché prima o poi il giorno di dolore, e quello di gloria, arrivano. Per chiunque.
 

Soltanto Murray, però, riesce a perdere da Murray. Nessuno, allo stato attuale, riesce a sacrificarsi all’altare dei perdenti come ci riesce lo scozzese. Nessuno come lui, oggi come oggi, riesce a deludere puntualmente qualunque aspettativa basata sulla sua persona. In soldoni, nessuno riesce ad essere un perdente così bello come è oggi Murray.

Ormai da anni quei santi inglesi (perché si sa: nel Regno Unito, se una cosa è buona, automaticamente diventa inglese, anche se non è proprio per nulla), aspettano Andy come un Messia. Specie quando arriva Wimbledon. E’ da più di 70 anni che nessun loro rappresentante vince dalle parti di Church Road: un affronto troppo grande, per coloro che hanno inventato (a detta loro) praticamente tutti gli sport di questo mondo. E ogni anno, almeno fino ad ora, se ne sono tornati con le pive nel sacco. A poco a poco, quella sciagurata collina (ma non porterà un po’ sfiga) che fu la Henman-Hill, si sta trasformando nella Murray-Hill. E vabbè, pazienza. Ma come abbiamo detto, non è perdere il problema.

Murray è diventato grande, tennisticamente parlando, nel 2008, in una torrida estate americana. Per gli inglesi un po’ prima: a Wimbledon rimontò Gasquet (sciagurato) due set sotto e servizio per chiudere il match per il francese. Diventò idolo. Fino ai quarti di finale. Fino a Nadal. E vabbè, ci stava, nessuno si aspettava (allora) chissà che. Ma era solo l’inizio.

Estate americana passata a dominare. Il più forte sul cemento, senza dubbio. Due su tre, ingiocabile. Arrivano l’Us Open, batte (stavolta) Nadal in semi, e incontra Federer. Perde male, 3 set a 0, restituendo lo svizzero al grande tennis. E vabbè, capirai, la prima finale di uno slam, era emozionato. Ma sarà grande. Anche lui ci crede

Arriva l’Australian Open dopo un autunno-inverno passato a imperversare sul cemento. Il ritornello “sul cemento è ingiocabile” continua. A Melbourne Verdasco rompe il disco, e lo rimanda a casa. Continua a vincere sul cemento “che non conta”, sulla terra non ne becca una, arriva Wimbledon. Nadal infortunato, arriva in semifinale. Contro Roddick. Lo aspetta Federer, e lo aspetta la Regina, che annuncia la sua presenza in caso di finale. “Pandy” però non è d’accordo, e lo butta fuori a calci. Svenimenti nel Regno Unito. Lui però non si arrende, non si abbatte. Non ci fa quasi caso. Diventa numero 2 del mondo, lancia proclami: “A fine anno mi batterò contro Federer per il numero 1”. Sicuramente. Agli Us Open perde malamente da Cilic ben prima che possa scontrarsi per qualsiasi traguardo importante. Al Masters(a Londra) ci arriva, e ovviamente anche lì delude. Qualcuno inizia palesemente a spernacchiarlo, prendendolo per i fondelli.

Ma gioca bene, continua a giocare bene. E ci mancherebbe: con quel braccio, accidenti, non riuscirci sarebbe troppo. Persino per lui. Inizia il 2010, e arriva in finale in Australia. Batte anche Nadal nei quarti (con ritiro iberico ma vabbè…), ed è pronto a scontrarsi con Federer. Che la prende sul ridere, capendo l’antifona: “Lui favorito? Si beh, dopotutto un britannico non vince uno slam da 135 anni, credo…”.

E lo svizzero, magnanimamente, continua a far risplendere questa antica tradizione, battendo Andy in tre set (anche stavolta). Seconda finale slam, nessun set vinto. E vabbè. Stavolta Murray la prende un po’ peggio dell'anno prima, e praticamente scompare per mesi. Fino a Wimbledon, of course. La Regina stavolta viene a vederlo. Appena in tempo, prima che Nadal lo sbatta fuori a calci, ancora in semifinale. Il gatto nero di Henman è ancora integro. Ri-scompare per mesi, facendosi vedere giusto a Shangai o in tornei che interessano a mamma Jude o alla fidanzata, notevole certamente, ma che a quanto pare qualche mese prima lo ha mollato perché Andy era interessato più alla playstation che alle sue grazie, quando era a letto. Altra piccante presa per i fondelli, come se non ce ne fosse già abbastanza, di carne a fuoco sotto quel punto di vista.

 

E si arriva al 2011. Ancora Australia, ancora finale. Stavolta non c’è Federer ad aspettarlo oltre la rete, ma Djokovic. Evvai, la classe 1987 al potere, un pari età, un pari peso. Macchè. Novak annienta Andy in maniera atroce, in tre set agonizzanti peggio del mondiale dell’Italia in Sudafrica. Murray dà fuori di testa, inizia a perdere con chiunque (il motto era: “Datemi una racchetta che lo batto anch’io”). A Roma è a un passo così dall’interrompere la striscia vincente di Djokovic in semifinale. Ci riesce? Ovviamente no. A Parigi arriva in semifinale, bene. E arriva, ancora, Wimbledon. Che assume contorni tanto grotteschi quanto hot, visto che la mamma ribattezza Feliciano Lopez in “Deliciano”, scambiando messaggi a luci rosse con la Petkovic su Twitter. E chi è l’avversario di Andy nei quarti? Ovviamente il bellimbusto che piace tanto a mammà. Da bravo braveheart scozzese, difende l’onore della casata. E vola in semi. Dove per la seconda volta ad attenderlo c’è Nadal. Murray vince il primo set. “Ohhhhhhhhh era ora, è la volta buona”. Poi Rafa, che per fortuna non risente più dell’infortunio che lo aveva costretto alle cure mediche contro Del Potro, facendo addirittura temere per il proseguo del torneo, cambia marcia. E ti saluto e grazie. Andy esce dal campo, tra gli applausi.

 

Un perdente, un meraviglioso esempio di perdente. Ora ditemi voi se un giocatore così non merita, per cinque minuti, per cinque ore o per il tempo che sto utilizzando a scrivere questo articolo, un motto di simpatia, quasi di pietà. Continuerà a provarci, continuerà a lottare, tra la fidanzata che probabilmente è attratta da lui come persona quanto io sono attratto dall’immagine di Cherici nudo e la mamma che invece è attratta dai suoi colleghi quanto io sono attratto dall’immagine di Megan Fox nuda. Continuerà a fare proclami, continuerà a giocare meravigliosamente bene, offrendoci momenti di grande tennis. Continuerà a mangiare 60 pezzi di sushi al giorno (tanto problema di soldi non ne ha) e portare quella barba incolta da lupo, non gradita nè a William nè a Kate e a quanto pare nemmeno a Pippa.


In attesa perciò di sapere se Andy riuscirà finalmente a diventare uno splendido atleta vincente, permettetemi di proclamarmi tifoso di Andy per mezza giornata. Con la stessa, autentica e dolorosa simpatia che generazioni di lettori hanno provato per Charlie Brown quando si ostina a credere che Lucy, magari per un giorno solo, per un solo giorno, non lo prenderà per i fondelli. Dai, provaci ancora, Murray-Brown.

 

Luigi Ansaloni

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