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07/07/2011 11:14 CEST - Storie di tennis

L'Union Jack non riesce a tirarsi su

TENNIS - Anche quest'anno Scott Draper ha dovuto spiegare perché la LTA non riesca a produrre campioni nonostante gli introiti garantiti di Wimbledon. E non avrebbero nemmeno potuto festeggiare l'eventuale vittoria tra gli junior di Liam Broady, che rifiuta i finanziamenti federali dal 2007. E il futuro, dopo l'abbandono di Nigel Sears, è tutt'altro che roseo. Alessandro Mastroluca

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Cinque anni fa la LTA decise di investire 40 milioni di sterline nel National Tennis Centre di Roehampton. Da allora la Federazione ha aggiunto circa 60 milioni l’anno, la metà dei quali provenienti dagli incassi del solo torneo di Wimbledon per allenare la meglio gioventù di Gran Bretagna. Risultati ottenuti? Zero.

Al momento si può dire che nessuno dei giocatori di alto o medio livello, a livello ATP o WTA, siano arrivati in alto grazie al lavoro dei tecnici federali. Tim Henman è stato allenato dalla famiglia, Greg Rusedski si è formato in Canada (e non si perdeva occasione di rinfacciargli la sua origine “straniera”, soprattutto dopo le sconfitte), Andy Murray ha appreso le basi dalla madre prima di perfezionarsi all’Accademia Casals di Barcellona.

Tra le donne il discorso è simile. Heather Watson, figlia dell’ex direttore generale della compagnia di elettricità di Guernsey con una madre della Papua Nuova Guinea, è un prodotto della Bradenton Academy e di Nick Bollettieri mentre Elena Baltacha, nata a Kiev da un ex calciatore e da un’eptatleta di livello olimpico, ha una storia di crescita tennistica molto personale. Per quanto la Baltacha ha raggiunto il suo best ranking e la Robson ha vinto gli Us Open junior del 2009 sotto la guida di Nigel Sears, padre della fidanzata di Andy Murray e ex capitano di Fed Cup della Gran Bretagna che ha lavorato per quattro anni e mezzo per la LTA ma ha annunciato di lasciare l’incarico per diventare il coach di Ana Ivanovic.

L’unico successo che la LTA può vantare, se di successo è legittimo parlare, è Ann Keothavong, i cui genitori si sono rifugiati in Inghilterra dal Laos mentre finora le speranze riposte su Laura Robson, “prodotto” del National Centre, non si sono del tutto trasformate in realtà, anche per la pressione eccessiva che l’ha circondata dopo la vittoria del titolo junior a Wimbledon nel 2008, seguito l’anno successivo dalla finale persa agli Australian Open contro Ksenia Pervak. Ma in fondo non lo era nemmeno Virginia Wade, che pur essendo nata a Bournemouth aveva trascorso gli anni della formazione in Sudafrica, tornando in Gran Bretagna solo a 15 anni. Secondo Patrice Hagelauer, l’ex coach di Noah che è stato performance director alla LTA fino al 2003, “il cuore del problema è che i club in Gran Bretagna hanno una natura ricreativa e non competitiva”.

Il livello grassroot
Ci sarebbero, in sostanza, da una parte troppi campi pubblici dove i giovani talenti corrono il rischio di passare inosservati, e dall'altra circoli dove i giovani sono spesso trattati come “cittadini di serie B”, costretti a giocare di mattina presto o in orari più scomodi perché i soci adulti godono di una sorta di prelazione nella prenotazione dei campi. Inoltre, una buona parte dei club hanno campi da tennis in superfici su cui non si giocano tornei: abbondano tarmac ed erba artificiale, ma i campi in terra battuta sono praticamente una rarità.

Gli investimenti, di conseguenza, risultano cospicui quanto mal distribuiti, perché concentrati alla cima della piramide del sistema di formazione tennistica nazionale. Così l’etichetta di inventori del tennis (passatempo che si è sviluppato e diffuso in epoca Vittoriana, la cui stessa denominazione di lawn tennis si deve al diplomatico Arthur Balfour e le cui regole sono state sistematizzate dal Maggiore Clopton Wingfield che ha trasformato il prato della sua villa in un campo per il divertimento dei suoi ospiti) è ormai solo un anacronistico orpello buono per evidenziare la differenza tra il passato glorioso dell’epoca dei gesti bianchi e il presente.

Secondo Olga Morozova, che insieme al marito Viktor Roubanov ha guidato la rivoluzione nel tennis femminile russo e che dal 1991 al 1994 ha guidato la nazionale britannica, “la LTA non ha una strategia di lungo periodo”. La Morozova, che ha portato ai vertici campionesse come Elena Dementieva, individua due ordini di problemi: “I giovani in Inghilterra crescono in condizioni troppo morbide, gli allenatori sono più degli amici, dei consiglieri. Ma l’aspetto più rilevante riguarda i genitori, che si interessano poco e che in molti casi fanno saltare le sessioni di allenamento dei figli se coincidono con qualche viaggio programmato o con la preparazione di qualche test a scuola”.

Il ruolo dei genitori e la storia di Liam Broady
Non c’è una scuola di pensiero univoca su come i genitori dovrebbero comportarsi e relazionarsi con figli che dimostrano un eccezionale potenziale sportivo sin da piccoli. Per il dottor Alan Goldberg, psicologo Usa che ha lavorato con medagliati olimpici, “quello che guida i bambini sono i genitori: sono loro a determinare se i ragazzi cercheranno di agire per realizzare i loro sogni”. Ma per Ellen Winner, che insegna psicologia al Boston College, chi ha un talento eccezionale si motiva da solo, indipendentemente dalla famiglia.

Al di là della questione della risposta emozionale, poi, c’è da considerare l’aspetto economico, il supporto finanziario che i genitori possono dare a un figlio che sogni di farsi un nome nel mondo dello sport. Lo sa bene Anthony Hamilton che si è sobbarcato più lavori pur di veder trionfare suo figlio Lewis.

Lo sa bene anche Simon Broady, padre di Naomi, ex campionessa di Gran Bretagna under 18, e di Liam, finalista a Wimbledon junior quest’anno e vincitore del titolo di doppio l’anno scorso in coppia con Tom Farquharson. Nel 2007 Naomi ha pubblicato alcune sue foto scattate durante una festa sul social network Bebo e la LTA decise di punirla tagliandole i fondi. “Penso sia stata una reazione eccessiva” ha commentato Simon, “non penso sia stata una mossa intelligente da parte di Draper cercare di fare di mia figlia un esempio”. E quando Draper ha provato, un anno dopo, a tornare sui suoi passi Simon ha rifiutato l’offerta. E ha venduto la casa pur di continuare a supportare la carriera dei suoi due figli.

Ma non è facile. Il sogno del 17enne di Stockport, come Fred Perry, costa “mille sterline a settimana per i tornei, se vuoi giocare a livello decente” ha spiegato Simon. “Si gioca 40 settimane l’anno, e fa 40 mila sterline, più altre 50 mila per il coach”. E qualche volta i soldi di papà non bastano: per questo Broady non è potuto volare agli Australian Open lo scorso gennaio.

Devi avere qualcosa di speciale nel tuo gioco per attirare l’attenzione ha spiegato Broady, che ha tentato qualche sortita nei pro, ha battuto Di Mauro 12-10 al terzo al primo turno di quali a Wimbledon, ma langue ancora oltre la 700ma posizione del ranking. “E’ molto dura ma Wimbledon è uno dei tornei junior più grandi del mondo e spero che la finale possa servirmi a trovare nuovi sponsor”. Anche se per Tracy Austin la sconfitta in finale potrebbe portargli dei benefici sul lungo periodo, le difficoltà che Broady ha evidenziato nella seconda metà del match contro Saville fanno tornare alla mente i dubbi che Tim Henman aveva espresso a marzo su di lui e Oliver Golding. “Giocano meglio di quanto facessi io alla loro età ma mi preoccupa la loro mentalità. Ho visto giocare Jiri Vesely e nei suoi occhi ho letto la voglia, la determinazione a fare di tutto pur di vincere. Non ho visto lo stesso nei nostri ragazzi”.

Con la giusta mentalità vincente, che sembra la forza motrice delle nuove generazioni di campioni e campionesse dell’Est, Broady potrebbe emulare Philippoussis o Kiefer, battuti in finale a Wimbledon, da junior, nel 1994 e 1995. Senza, sarà solo il nuovo Miles Kasiri, fino a quest’anno l’ultimo britannico in finale ai Championships. Battuto da Monfils, Kasiri non è andato oltre la posizione 556 del ranking, ha abbandonato il tennis nel 2007 e ora è preparatore atletico.

Alessandro Mastroluca

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