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12/07/2011 13:48 CEST - Rassegna Stampa del 12 Luglio 2011

Vinci: «Ora Posso dìrlo io sono unica» (Vannini), Vinci, il modello da seguire (Crivelli), Vinci la sensualità che sa vincere (Valesio), Vinci, un triplete da urlo (Piccardi), Roma piange Stucchi (Paoletti)

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Rubrica a cura di Daniele Flavi

Vinci: «Ora Posso dìrlo io sono unica»

Paolo Vannini, il corriere dello sport del 12.07.2011

Una rivincita della classe, uno schiaffo al tennis corri e tira, tutto muscoli e poco raziocinio. E ancora di più una storia molto italiana e tanto sudista, giocata fra Taranto, la sua città natale, e Palermo, quella, diciamo cosi, d'adozione. E' la favola di Roberta Vinci, 28 anni compiuti a febbraio, prima azzurra della storia a vincere tre tornei nella stessa stagione, per giunta nel giro di soli tre mesi (Budapest dopo Barcellona e 's Hertogenbosch) e con ancora una larga parte di annata per migliorare il primato. Appena giunta proprio a Palermo, per disputare gli Internazionali di Sicilia - Snai Open (esordirà stasera contro la qualificata Karatantcheva) l'abbiamo intervistata per scoprirla e raccontarla meglio. Roberta, quando ha realizzato di avere stabilito un primato? .L'ho appreso dalla stampa. Non ne sapevo niente ed è qualcosa che mi inorgoglisce. Già dopo la vittoria in Olanda mi avevano detto che ero stata la prima italiana a vincere un torneo sull'erba. Il piacere è doppio.. A proposito... Fino a pochi anni fa era considerata solo una doppista. «Sì e un po' mi dava fastidio. Un sacco di persone mi dicevano: "Giochi bene a rete quindi devi puntare sul doppio". Ma una ragazzina quando comincia sogna sempre di diventare qualcuno in singolare. Ed oggi sono felice di averlo dimostrato,. Come comincia la storia di Roberta Vinci? .A 5 anni quando mio padre Angelo mi ha messo la prima racchetta in mano. E poi si è sviluppata piano piano avendo alle spalle due genitori fantastici che mi seguono da lontano senza mai interferire. La cosa migliore. Papà è commercialista, mamma Luisa casalinga, poi ho un fratello Francesco più grande di me e che giochicchia anche lui a tennis. Non vengono mai a vedermi, ma da casa sono i miei primi tifosi o. Per fare il salto qualità Schiavone, Pennetta ed Errani hanno scelto di allenarsi lontano dall'Italia. La sua storia è diversa. Io non sarei capace di andare in America o in Spagna come hanno fatto in molte. Ho bisogno delle mie cose, di sensazioni anche piccole in cui ritrovarmi». La guida Wta dice residente a Palermo. Spieghiamo? «Ho lasciato Taranto molto presto, anche se resta la mia città e ci sono affezionata più che alle altre; mi sono allenata per anni al Parioli, a Roma, poi ho trovato in Palermo un posto ideale e anche l'allenatore, Francesco Cinà. In realtà, non riesco a starci più di un mese l'anno ma credo che nei miei successi ci sia una buona parte siciliana. I riflettori si accendono più spesso su Schiavone e Pennetta ma a vincere di più per adesso è lei. Ma le mie vittorie sono frutto di un movimento, lo stesso che ci ha portato a trionfare tre volte in Fed Cup. Il nostro è uno sport individuale ma lo spirito di emulazione è fondamentale. Siamo compagne in Nazionale, poi ognuna vuole superare l'altra e fare meglio. Francesca che ha vinto il Roland Garros e Flavia che è entrata nelle Top 10 sono state una spinta importante anche per me». Chi gioca oggi come la Vinci nel circuito? Puntando su tecnica, colpi liftati, serve & volley. «Fra le prime 20 direi nessuna... Forse la Martinez Sanchez, vincitrice l'anno scorso a Roma. Se devo dire un nome dico Brianti, almeno per l'uso del back. In un tennis sempre più fisico sono emersa continuando a credere nelle mie doti. Ho migliorato le mie capacità adattandole al tennis di oggi. Alcune contro di me non sanno come giocare: entrano in campo a testa bassa per tirare forte e a volte finiscono ridicolizzate. La Begu nella finale di Budapest è andata in confusione.. Numero 23 del mondo, migliore classifica di sempre. Dove è nata la nuova Vinci? E' stato decisivo l'aspetto mentale. Forse la prima vittoria a Barcellona mi ha sbloccato. Si vince anche soffrendo, con la costanza.. Prossimo passo? .Fare bene agli US Open dove sarò testa di serie ed eviterò all'inizio turni difficili. E poi se riesco, puntare al quarto titolo. Mi sento forte, in fiducia. Non sono più solo una doppista». In sei anni quante prime volte per l'Italia in rosa! Sei anni da ricordare, in cui il nostro tennis in rosa ha infilato una "prima volta" dopo l'altra. Dalla storica Fed Cup di Charleroi al tris di Robertina Vinci. Riviviamole insieme. I 2006 Pennetta, Schiavone Santangelo e Vinci conquistano la prima di tre Fed Cup battendo il Belgio Flavia Permetta è la prima italiana a infilare 15 vittorie consecutive e a entrare nella Top 10 2010 Francesca Schiavone è la prima azzurra a vincere uno Slam (il Roland Garros) e a salire al numero 4 1 2011 Roberta Vinci è la prima italiana a centrare tre tornei in una stagione (uno sull'erba!)

Vinci, il modello da seguire

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 12.07.2011

Si rimane scolpiti nella memoria del tempo anche con i modi gentili e il sorriso che conquista. Roberta Vinci è elegante e solare come il gioco ispirato che esce dalle corde della sua racchetta e adesso potrebbe perfino tirarsela un po', lei che è diventata la prima italiana di sempre a vincere tre tornei nella stessa stagione (ci riuscirono solo Barazzutti e Bertolucci tra gli uomini) dopo aver impresso la primogenitura azzurra sull'erba con il trionfo olandese di Rosmalen. Serene E invece la misura dei commenti, la serenità composta dopo un'altra impresa sono lo specchio dell'anima limpida della tarantina: «Io nella storia? Sinceramente non ci ho pensato, sono solo contenta del livello del mio gioco, sto vivendo un momento positivo della carriera e spero di prolungarlo il più possibile. Anche perché non si finisce mai di imparare e di migliorare, anche a 28 anni». L'educazione, la sensibilità, la gentilezza dei gesti, umani e tennistici, di Robertina, per buoni tratti della sua vita agonistica hanno rappresentato addirittura un limite: troppo morbida in campo, nonostante un rovescio in back da insegnare nelle scuole, un dritto giocato indifferentemente piatto o in top spin e una sublime maestria al volo. E poi, c'era il problema di quel corpo da scricciolo (1.63 per 60 kg) nel nuovo mondo dei carrarmati di marca Williams o in arrivo dall'Est. Sui muscoli, poco si può fare, ma la svolta è arrivata soprattutto nella testa: «Ho imparato a lottare su ogni palla, ad essere aggressiva, a non abbattermi alle prime difficoltà. A Budapest—ricorda per rafforzare il concetto — sono stata a due punti dalla sconfitta nel secondo turno e ho avuto due match point contro nei quarti: l'anno scor *** so avrei perso senza se e senza ma». II sogno Si potrebbe archiviare il suo caso nella solita casella degli italiani che maturano tardi, finendo per dimenticare che la Vinci, da bambina, rivaleggiava con la Pennetta e nel 2001, a 18 anni, era numero 12 al mondo in doppio. Non l'ha aiutata il fisico, che le ha presentato il conto di una serie infinita di infortuni, tra ginocchia, spalle e schiena. Ora la sorte, assecondata da un talento cristallino e da una straordinaria etica lavorativa, pare restituirle il dovuto, premiando la scelta di lasciare l'amata Taranto e la famiglia, con cui chatta per ore su Skype, a 13 anni, di approdare a Palermo per amore di un tecnico e di rimanerci anche quando la storia si è conclusa, di inseguire pervicacemente gli obiettivi attraverso la volontà e il sacrificio. Intanto ha vinto 12 partite delle ultime 13 (perdendo solo dalla Kvitova, poi campionessa, a Wimbledon) e lunedì prossimo potrebbe diventare la seconda italiana in classifica: «Vincere uno Slam? La Schiavone insegna che tutto è possibile, anche il traguardo che ti sembra irraggiungibile. Più che altro, spero di rimanere così in alto fino alla fine dell'anno, magari provando a vincere qualche altro torneo»

Vinci, la sensualità che sa vincere

Piero Valesio, tuttosport del 12.07.2011

C'E un aspetto della Vinci che non è stato ancora analizzato a sufficienza: le tette. Se stai leggendo questo articolo Roberta aspetta ad arrabbiarti e a farti sconvolgere dal pensiero che trattasi dei soliti giornalisti più attenti alle questioni di sesso, sangue e patatine che non a quelle più squisitamente tecniche che stanno dietro ai tuoi successi. In realtà le tette di Roberta Vinci sono un meraviglioso simbolo di ciò che lei è e di cosa sta diventando: una donna innamorata del tennis che sull'altare di questo amore non ha però sacrificato, nè del tutto nè in parte, la sua femminilità. In lei tennis e vita convivono contribuendo allo stesso obiettivo: la costruzione di una donna felice. Ora poi che Roberta ha preso a vincere a manetta questa felicita è ancora più piena. SIMBOLI Ora: certo Madre Natura è stata benevola nel consegnare alla Vinci questi due simboli di gioia ed essenza femminile. Ma lei è stata brava ad accettarli e a conviverci con serenità. Per dire: urna che ci convive bene è certamente la Wozniacki. Una che ci convive non bene (come a on molto del mondo esterno) peraltro è la Berteli. Una che ci conviveva male era la romena Simona Halep (che l'anno scorso si è fatta decurtare una parte abbondante del suo ben di Dio. La Vinci è importante per il tennis femminile non solo perché ora è numero 23 del mondo e se dovesse andare in fondo nel torneo di Palermo in corso in questi giorni ( e al contempo la Pennetta dovesse non andare molto avanti) diventerebbe la seconda giocatrice italiana. E’ graduatoria dopo essere stata la prima a vincere tre tornei nello stesso anno; perché è l'esempio di come si possa praticare ed amare questo sport in salsa mediterranea, senza essere macchinette sparapalle e con una fisicità diciamo normale, lontana dalle algidità sharapovesche, delle bionderie dell'est Europa oppure da una certa tipologia figlia della globalizzazione fatta di ragazzone tutte hamburger patatine e e Ipod nelle orecchie. Roberta è diversa, più diversa ancora dalle sue compagne di squadra di Fed Cup Schiavone Pennetta ed Errani che pure sono a loro anomale nel panorama delle maggioranza delle tenniste del circus. Ed è per questo che chiunque ami il tennis non può che amarla da morire. MERAVIGLIE Prendete il suo anno. Ha vinto tre tornei. E' diventata da un giorno all'altro capitana di Fed Cup e non ha tremato davanti all'incarico difendendo anche il valore della prestazione sue e delle compagne e Mosca quando non c'erano, per differenti motivi, Schiavone e Pennetta. Appare in Roberta un crescendo di condizione e di convinzione da fare invidia a moltissime sue colleghe che la precedono in classifica. A 28 anni suonati, confermando la diceria (diceria?) che in Italia chi gioca a tennis se si mantiene sano di mente e di corpo matura dopo rispetto ai pari età del resto del mondo, appare nel cuore della sua maturità agonistica. Ma ciò che è più importante giocando un tennis di somma armonia che fino ad un paio di anni anni addietro era solo (solo) bello ma poco produttivo e invece adesso è rimasto bello ma è anche produttivo. E le permette di vincere. FUTURO Quando le si domanda del suo futuro Roberta Vinci è solita dire: «Dopo la carriera mi vedo su un campo a insegnare tennis ai bambini...cesti di palle uno dopo l'altro». Ma è un dopo carriera che è molto di la da venire. Perché Roberta potrebbe ambire al titolo di prima tennista «normale» in un mondo di superdonne. Per molti lo è già.

Vinci, un triplete da urlo: «E non è finita»

Gaia Piccardi, il corriere della sera del 12.07.2011


Come Barazzutti e Bertolucci nel '76, anno di grazia del tennis azzurro. Quando in campo entrano i paragoni con gli uomini, significa che le donne hanno ancora molto da conquistare: il rispetto per un'impresa di valore assoluto, per esempio, uguale a nessun altra. Strada facendo, però, il triplete di Roberta Vinci — Barcellona (terra), s'Hertogenbosch (erba), Budapest (terra) nell'arco di settanta giorni — è sintomo di salto di qualità («Una vittoria voluta e cercata, della maturità: sto giocando bene, mi sento al top come tennis, testa e fisico») e, contemporaneamente, una primizia da assaporare tanto quanto i risultati della Pennetta (prima donna italiana nelle top 1o) e della Schiavone (prima donna italiana a vincere uno Slam), che non a caso di Roberta sono compagne di merende (insieme a un accanito giro a burraco) e d'avventura in questa bella stagione del tennis rosa che sta riscrivendo albi d'oro (tre Fed Cup) e piccole storie di grandi donne. «Non sapevo, con il mio tris di tornei in una stagione, di avere stabilito un record: l'ho letto sui giornali. Né che prima di me ci fossero riusciti solo Corrado e Paolo. Così come non sapevo di essere stata la prima italiana ad aver vinto un titolo sull'erba, a metà giugno in Olanda» casca dalle nuvole la tarantina nel frattempo volata a Palermo, dove da testa di serie n. 2 (la n. i è Flavia Pennetta e già l'Open siciliano s'immagina un derby in finale saporito come un arancino) da oggi proverà a farsi largo in tabellone. Non c'è trucco né inganno nel successo di un'atleta nata dopo. Il confronto con Francesca, Flavia e Sara è continuo e stimolante: non mi sento appagata pista che non ha sentito l'esigenza di emigrare per conquistare il mondo, la base operativa della Vinci e di coach Cinà era e resta Palermo, dove si parla un tennis leggero (Roberta è alta 163 cm per 6o kg) ma intelligente, a volte un po' troppo introverso (il difetto che le compagne di squadra in Fed Cup le rimproverano più spesso), non sono certo i muscoli il valore aggiunto della nuova numero 23 del ranking (record personale), che uno strato di carta velina (15 punti) ora divide dalla Pennetta, con il rischio concreto che tra una settimana avvenga il sorpasso e la Vinci si ritrovi, d'incanto ma non per magia, numero due d'Italia dietro la Schiavone. «Voglio crescere ancora tanto, non mi sento affatto arrivata, il mio obiettivo è superarmi, il confronto con Flavia, Francesca e Sara Errani è continuo, uno stimolo fondamentale, se i ci sono riuscite loro posso farcela anch'io, mi dico, il successo a Parigi di Francesca è stato un sogno realizzato per tutte, la dimostrazione che i sacrifici vengono sempre ripagati» dice questa figlia della Puglia che negli Slam non è mai (ancora) andata oltre il terzo turno e che a Wimbledon quest'anno ha tenuto a battesimo Petra Kvitova, futura regina, al terzo turno: «Una forza della natura. Tirava così forte che non potevo fare altro che opporre la racchetta...». Resistere senza fiatare. Agli urti del tennis e ai paragoni. Si diventa grandi, e donne, anche così.

Roma piange Stucchi. Ciao, gigante buono

Francesca Paoletti, la gazzetta dello sport del 12.07.2011

Andrea aveva due sogni: cresciuto al Canottieri, diventare numero 1 della classifica mondiale e giocare gli Internazionali d'Italia nella sua Roma, ma un tumore alle ghiandole linfatiche se lo è portato via a soli 20 anni facendosi beffa della giovane età e di quel bel metro e novanta che lo faceva spiccare nei tornei giovanili. La storia Romano, classe 1991, era cresciuto al Canottieri Roma insieme allo storico maestro Bruno Orecchio. Finalista agli Europei under 16 di Mosca nel 2007 (battuto solo dal bulgaro Dimitrov, ora considerato l'erede di Federer), aveva vinto nello stesso anno anche il titolo italiano under 16 e il torneo Eta di Foligno. Amava il basket e ammirava Tim «gentleman» Henman e il Mario «il laureato» Ancic.... non un caso vista la sensibilità e la correttezza che lo contraddistinguevano e quella voglia pazza di completare gli studi al liceo classico. Già convocato in più occasioni nelle rappresentative azzurre giovanili, aveva disputato l'ultimo match a inizio marzo in Portogallo, nelle qualificazioni di un l0 mila dollari.
 

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