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14/07/2011 13:39 CEST - Rassegna Stampa del 14 Luglio 2011

Coppa Davis, torna Cile-Italia 35 anni dopo il trionfo (Semeraro, De Martino, Palizzotto, Perrone, Giorni), Scandalo nel Tempio (Fred Perri)

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Rubrica a cura di Daniele Flavi

Coppa Davis torna Cile-Italia 35 anni dopo il trionfo

Stefano Semeraro, la stampa del 14.07.2011

Trentacinque anni dopo, il Cile. Nel 1976 ci andammo a vincere la Coppa Davis, battendo la squadra di Fillol e Cornejo in un clima politico che rischiò di far saltare la trasferta. «Non si giocano volée contro il boia Pinochet» era lo slogan della sinistra extraparlamentare che non voleva compromessi con la dittatura colpevole di delitti atroci contro i «desaparecidos». Adriano Panatta, che pure al centro di Formia girava con il Manifesto sotto il braccio, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli, spalleggiati da capitan Pietrangeli si misero di traverso convincendo anche il riluttante Pci. Una questione di Stato. Alla fine andammo e vincemmo. La nostra prima e unica Davis, a cui sarebbero seguite tre finali ravvicinate, nel '77, '79 e'81. Confuso fra il pubblico pare ci fosse anche il super-latitante Vallanzasca. Formidabili, quegli anni. A Santiago il 16-18 settembre Se il 16-18 settembre l'Italia batterà in trasferta il Cile di Fernando Gonzalez (ex. n.5, oggi n.292 dell'Atp), dell'ex-oro olimpico Nicolas Massu (30 anni, n.476), Paul Capdeville (108) e Jorge Aguilar (207) dopo 11 anni riconquisterà un posto nel World Group 2012, la serie A della In Cile l'Italia del tennis tornerà a settembre, impegnata in una sfida importante ma da poveri: non più per vincere la Zuppiera ma per tornare a guardarla da vicino, nel World Group 2012, dopo 11 anni di serie B e C. Il Cile di allora non era travolgente, quello di oggi, contro cui il 16-18 settembre giocheremo i play-off promozione, è una squadra sdrucita, dove l'unico pericolo è Fernando Gonzalez, 31 anni, ex top-5, finalista a Roma e agli Australian Open, rientrato da un lungo infortunio e sceso al n.292 Atp. «Non è un cattivo sorteggio - ha ammesso capitan Barazzutti -. Abbiamo evitato la Svizzera, anche se sarebbe stato meglio giocare in casa. Dopo aver sfiorato la promozione in Svezia stavolta vogliamo centrare l'obiettivo». Tre componenti su 4 della vecchia squadra, l'eccezione è Zugarelli, hanno vestito la tuta di capitano. «Nel '76 mi gridavano "Panatta milionario, Pinochet sanguinario"», ricorda Adriano. «In realtà Pinochet a Santiago non lo vedemmo. Fra noi c'erano state incomprensioni, ma ci stringemmo alla Coppa come una famiglia: quattro fratelli, lo "zio" Pietrangeli. Coppa Davis. La superficie più probabile è la terra, ma i cileni potrebbero anche scegliere il cemento. Le altre sfide dei play-off promozione: Romania-Repubblica Ceca, Russia-Brasile, Israele-Canada, Sud Africa-Croazia, Giappone-India, Belgio-Austria, Australia-Svizzera. geli, e "papà" Belardinelli (lo storico ct). La vicenda politica la sfiorammo appena», ricorda Bertolucci, oggi commentatore di Sky. «Il tifo era caldo. Panatta in doppio mi costrinse a indossare la famosa maglietta rossa. Gli dissi "sei pazzo, ci sparano", ma lo accontentai. Allora la Davis contava 10, oggi la metà. In Italia vale di più, a patto che si torni nel World Group. E questa, dopo il match con la Croazia del 2001, è l'occasione più ghiotta». Resta il fattore campo. Qualche anno fa con l'Argentina a Santiago volarono le sedie in campo: «Noi di match infuocati ne vincemmo tanti», sorride Bertolucci. «E poi se vogliamo la serie A mica possiamo sperare sempre di giocare contro la Slovenia ad Arzachena, no?»

Si torna in Cile come 35 anni fa

Marco De Martino, il messaggero del 14.07.2011

Il tempo a volte si arrotola, fa lunghi giri per ritornare dov'era, per illuderci che nessuno si sia mai mosso da lì. Dopo 35 anni molto vissuti l'Italia di Coppa Davis torna in Cile, all'Estadio National di Santiago, proprio lì, e comunque finirà lo spareggio ci sarà da emozionarsi. Nel 1976 Panatta, Barazzutti, Bertolucci, Zugarelli e Pietrangeli ci andarono - dopo molti tormenti - per vincere quella che sarebbe stata l'unica insalatiera della nostra storia. Dal 16 al 18 settembre, subito dopo gli US Open, gli azzurri di oggi si metteranno invece in viaggio per cercare di tornare dopo undici stagioni di punizione nell'aureo giardino della serie A. Un'urna suggestiva e anzi quasi poetica, dunque, quella di ieri a Londra. Ci poteva andare meglio, per esempio con Israele in casa, ma ci poteva andare anche molto peggio, per esempio con Federer o Berdych in trasferta, quindi non è il caso di lamentarsi per la trasvolata lunga. Nel 1976 il difficile fu partire, poi il match si rivelò una passeggiata, 4-1 per l'Italia perché noi eravamo veramente troppo forti e loro troppo deboli. E siamo favoriti anche stavolta, visto che il Cile è l'unica delle 16 squadre partecipanti ai play-off promozione che non ha nemmeno un giocatore classificato tra i primi 100 del ranking Atp. Lo spauracchio è «mano de piedra» Fernando Gonzalez, ex tostissimo numero 5 del mondo ma adesso precipitato a numero 292 dopo un'operazione al ginocchio che l'ha tenuto steso m branda per otto mesi. Gonzalez, 31 anni, a Santiago è un po' come S. Antonio a Padova, una specie di divinità, in carriera ha vinto 11 titoli, nel 2007 è arrivato in finale agli Australian Open, un anno fa di questi tempi era ancora numero 13, e quindi se in questi due mesi scarsi ritrovasse la condizione potrebbe anche fare due punti da solo, e in doppio è forte. Per il momento però Fernando traballa, a Wimbledon ha battuto Dologopolov prima di arrendersi al terzo turno in tre set a Tsonga. Paul Capdeville, 28 anni e numero 108 sarebbe il numero 2, nella sconfitta di maggio contro gli Usa di Roddick per 4-1 ha battuto Isner 6-4 al quinto set, ma l'altro giorno nel Challenger di Bogotà ha perso nientemeno che dal numero 24 d'Italia, il toscano Matteo Murai, numero 366 del mondo. Nicolas Massu, vecchio pirata, potrebbe esaltare l'ambiente ma è piuttosto logoro. Poi c'è Aguilar, numero 207, e infine un certo Rivera (Guillermo, non Gianni...) numero 326. Terra o cemento, questo si vedrà. Ma stavolta bisogna solo vincere. A Santiago l'Italia vinse l'unica coppa della sua storia

Ritorno al passato

Daniele Palizzotto, il tempo del 14.070.2011

Corsi e ricorsi storici. Trentacinque anni dopo il primo e unico successo in Coppa Davis, l'Italia del tennis torna in Cile per un incontro forse meno importante, ma altrettanto decisivo: in palio, dal 16 al 18 settembre, non ci sarà l'ambita Insalatiera, ma l'accesso nel Gruppo Mondiale del trofeo per nazioni, serie A persa undici anni fa dagli azzurri e mai più riconquistata. Molte altre cose, però, sono cambiate da quel dicembre 1976, quando la finale di Santiago del Cile finì al centro di un'aspra polemica politica. Era giusto render visita al generale Pinochet, sanguinario dittatore del paese sudamericano? Tre mesi prima l'Unione Sovietica di Breinev aveva deciso di boicottare la semifinale in segno di protesta. Noi, invece, partimmo per il Cile. E vincemmo. «Torniamo sul luogo del delitto - osserva Nicola Pietrangeli, allora capitano dell'Italia e tenace sostenitore li Barazzutti Siamo tutti molto legati a quella trasferta. Il Cile ci porta fortuna, speriamo che quel precedente sia di buon auspicio della partecipazione alla finale - sarà una bella trasferta, piena di ricordi: le polemiche, la decisione di partire, il trionfo. Il Cile rimane nel nostro destino e sarebbe bello che, dopo la Davis, ci regalasse la promozione in serie A: voglio vedere se i signori della sinistra dicono ancora che non dobbiamo andare». Il trionfo di Santiago è ricordato anche per le magliette rosse indossate da Adriano Panatta e Paolo Bertolucci nel doppio decisivo, gesto provocatorio nei confronti del regime di Pinochet. Secondo Pietrangeli, però, «fu solo scaramanzia: quelle maglie portarono fortuna ad Adriano nei successi di Roma e Parigi. Comunque sono felice di tornare in Cile: 35 anni fa ci trattarono da nababbi, oggi magari troverò una via o una piazza col mio nome». Scherza, Pietrangeli. Ma certo la trasferta dal 1976, nata tra mille preoccupazioni, si rivelò alla fine tranquilla. «Il Cile era un paese povero e arretrato - spiega Bertolucci - mentre ora è moderno e bellissimo. Sono tornato a Santiago qualche anno fa, nello stesso albergo della finale e ho rivissuto le emozioni di quei giorni. Fu un trionfo magnifico, eravamo una squadra giovane, cresciuta sotto la guida del maestro Belardinelli». «Siamo tutti molto legati alla trasferta del 1976 - osserva l'ex singolarista e attuale capitano Corrado Barazzutti - il Cile ci ha portato fortuna, speriamo quel precedente sia di buon auspicio. Loro possono contare su Fernando Gonzalez, precipitato in classifica a causa di un infortunio, ma non dobbiamo sottovalutare Capdevile (numero 108 Atp). Però non è un cattivo sorteggio: vogliamo tornare in serie A».

Cile arriviamo

Roberto Perrone, il corriere della sera del 14.07.2011

«Non si giocano volée/con il boia Pinochet». «Panatta milionario/Pinochet sanguinario». Si sentiva anche questo, nelle piazze italiane, in quell'autunno del 1976, oltre a tutto il resto, oltre a tutte le altre follie del decennio più disastroso della storia repubblicana. L'Italia aveva appena conquistato la finale di Coppa Davis contro il Cile. Il Cile di Pinochet, al potere da tre anni, Il Cile ostaggio di una delle dittature più spietate della storia, il Cile in finale «saltando» la semifinale perla rinuncia dell'Urss. Una parte del Paese rifletteva su questo, mentre per l'altra Adriano Panatta era un ragazzo (come noi), Paolo Bertolucci la sua fidata spalla, Corrado Barazzutti l'inesauribile sette polmoni, Tonino Zugarelli la nostra arma segreta (sull'erba), Nicola Pietrangeli il capitano di lungo corso. Il destino ama attorcigliarsi alla storia, così, a trentacinque anni da quello storico viaggio verso un paradiso tennistico mai più raggiunto, ecco un altro Cile-Italia undici anni fa la retrocessione; dal 16 al 18 settembre l'occasione per rientrare in serie A (il Gruppo Mondiale). Tutto ritorna (seppur in tono minore). Come allora, troviamo avversari più che abbordabili. Da Jaime Fillol e Patricio Cornejo a Fernando Gonzalez (che ha ripreso ad aprile dopo un'operazione all'anca e che la Davis l'Ira sempre giocata pochissimo), Nicolas Massu e Paul Capdeville: sorteggio benevolo, beneauguranti i prece- Contrordine del Pci Il Pci voleva boicottare, ma i comunisti cileni dissero a Berlinguer che era meglio giocare denti (4-o per l'Italia; ultimo incrocio nel 1985 a Cagliari: 3-1.) Oggi il Cile è una democrazia e partiremo senza discussioni, se non le solite, noiose, interminabili sulla Federtennis, su chi dovrebbe giocare e chi no, sul c.t., Corrado Barazzutti, l'unico che, a distanza di 35 anni, canta e porta ancora la croce. Racconta Panatta nella sua autobiografia: «Ascoltavo quelle urla e ci rimanevo male; non sono mai stato comunista, ma sono sempre stato di sinistra, influenzato da mio nonno Luigi, che fu amico di Nenni. Quei giovani che mi insultavano non conoscevano nulla di me». L'Italia è divisa. Il governo Andreotti evita coinvolgimenti (come per tutti gli argomenti non rilevanti per la DC), il Coni glissa, la Federtennis galleggia, molti giornali, compresi grandi quotidiani «borghesi», sono per il boicottaggio. Il fronte del «no» lo guida il Pci. La squadra, con in testa Nicola Pietrangeli, che si batte in tv, nei dibattiti, per strada, è sola. Poi qualcosa cambia. Gino Palumbo diventa direttore della Gazzetta dello Sport e cambia schieramento: «Io sono per l'autonomia dello sport che non deve essere strumentalizzato». Ma decisiva è la nuova rotta del Pci, come ha rivelato, vent'anni dopo, Ignazio Pirastu, allora responsabile della Commissione sport della direzione comunista: «Mi convocarono Aldo Tortorella e poi Enrico Berlinguer e mi comunicarono che i compagni cileni suggerivano di non insistere sul boicottaggio: avevano avuto segnali inquietanti di una reazione contraria del popolo con un compattamento attorno al regime». Contrordine compagni: in pubblico i comunisti urlano «no», in privato dicono «sì». Tra i tessitori si distingue il fresco presidente della Federcalcio (e prossimo presidente del Coni) Franco Carrara. 1117 dicembre si gioca a Santiago, il clima è surreale, gli italiani super-blindati. Barazzutti batte FiIlol e Panatta liquida Cornejo. Due a zero. Tocca al doppio. Panatta e Bertolucci si presentano in campo con le magliette rosse. «Convinsi Paolo che nicchiava. "E fammi fare questa provocazione". Seppi poi di una nota di protesta cilena al nostro governo». Mimmo Calopresti ha fatto un film sulla vicenda («Magliette rosse»), Nicola Pietrangeli si fa una risata ogni volta chela sente: «Ma quale simbolo anti-dittatura! Quelle maglie erano solo scaramantiche». Il bello delle grandi storie è che nessuno le racconta allo stesso modo.

L'Italia ritrova il Cile

Alberto Giorni, la nazione sport del 14.07.2011

TRENTACINQUE anni dopo, l'Italia tornerà in Cile per disputare un match di Coppa Davis e la suggestione è forte: impossibile dimenticare la finale di Santiago del 1976, quando gli azzurri conquistarono l'unica Davis della loro storia. Stavolta si tratterà dello spareggio per tornare in serie A, dove la nostra Nazionale manca da undici anni, che si disputerà dal 16 al 18 settembre. E il capitano Corrado Barazzutti, che alzò quell'insalatiera d'argento da giocatore, si augura che un filo rosso leghi le due vicende: «Speriamo che quel precedente sia di buon auspicio», ha spiegato. «A quella trasferta siamo tutti molto legati, abbiamo dei bellissimi ricordi. Il Cile ci ha portato fortuna una volta, sarebbe bellissimo e suggestivo riconquistare il gruppo mondiale proprio là». Allora fu una questione che superò i confini dello sport. Il Cile era sotto la sanguinaria dittatura di Pinochet e in Italia le polemiche furono roventi: parte della politica e dell'opinione pubblica era contraria alla trasferta e chiedeva a gran voce di boicottare la finale. Un gruppo di giovani occupò i locali della Federtennis urlando non si giocano voleè con il boia Pinochet'. Molti presero di mira Adriano Panatta, che nel 1976 disputò la migliore stagione della carriera, vincendo gli Internazionali d'Italia e il Roland Garros. Alla fine gli azzurri il 17 dicembre scesero regolarmente in campo all'Estadio Nacional. Fu una marcia trionfale: Corrado Barazzutti superò Fillol e Panatta dominò Cornejo. Il giorno dopo, prima del doppio, Panatta ideò una provocazione nei confronti del regime militare, convincendo Paolo Bertolucci a scendere in campo con lui con la maglietta rossa: Fillol e Cornejo uscirono sconfitti e quell'indimenticabile insalatiera fu nostra. Stavolta non ci saranno implicazioni politiche: «Non è un cattivo sorteggio», ha commentato Barazzutti. Poteva andare meglio (Israele), ma anche molto peggio: era in agguato la Svizzera di Federer, oppure altre proibitive trasferte con la Repubblica Ceca di Berdych o la Russia di Youzhny. Starace, Fognini e compagni possono ritenersi soddisfatti, anche se è difficile capire quale Cile ci aspetta, probabilmente sulla terra rossa. «Giocare in casa sarebbe stato meglio — ha concluso Barazzutti — in Davis è sempre un bel vantaggio...».

Scandalo nel Tempio

Fred Perri, Tempi del 14.07.2011

Benedetto sia il serbo Novak Djokovic, che con la sua sfacciataggine e il suo codazzo di fan rumorosi ha svelato l'ipocrisia del tennis. Un mondo che celebra il "gesto bianco", mentre ha perso da tempo il suo candore DA COSA SI CAPISCE che Novak Djokovic è serbo? Sicuramente dalla capacità di apprendere le lingue, cosa in cui gli slavi sono bravissimi. Dall'attaccamento alla famiglia, che lo segue ovunque, presente e accorata, per qualcuno anche troppo. Forse anche dall'aspetto, ma questo non è qualificante e poi io non sono un grande esperto di fisiognomica. In realtà l'appartenenza di Nole al suo popolo sta nel suo grande patriottismo, caratteristica fondamentale di quella gente, Nole dopo aver trionfato a Wimbledon non ha esitato a consumare le scarpette in Coppa Davis, la manifestazione a squadre snobbata dai grandi, che la giocano una volta sì e due no. Nole non fugge, Nole lascia il segno. È lui il nuovo numero 1 del tennis mondiale, ha brucato la sacra erba di Wimbledon mentre la sua corte (per qualcuno dei miracoli) ha fatto festa tra le strade di Church Road. A qualcuno ha dato fastidio, perbacco, le signore con le coppette di fragole e crema (non panna come la intendiamo noi, please) e i signori con i boccaloni di Pimm's N. 1 sono stati disturbati nelle loro piccole abitudini ai margini del Grande Rito. In realtà Wimbledon già da tempo ha perso la sua aura di nobiltà. Si è venduto, come tutti noi mortali, ai danari delle tv. Però con una bella e solida ipocrisia anglosassone. Quando ho cominciato a masticare di tennis (e a entusiasmarmi per il medesimo), e cioè con Adriano Panatta, Paolo Bertolucci, Corrado Barazzutti e Tonino Zugarelli, a metà degli anni Settanta (sia benedetta la Coppa Davis 1976), a Wimbledon non si giocava la domenica e la finale maschile era programmata di sabato. Per capirci, Bjorn Borg e John McEnroe se le suonavano la vigilia del dì di festa. Ve lo ricordate Momenti di gloria con il pasto. II serbo Novak "Noie" Djokovic ha battuto nella finale del torneo di Wimbledon 20U lo spagnolo Rafael Nadal. Oltre ad aggiudicarsi la presitigiosa coppa Djokovic ha anche soffiato al rivale iberico il primo posto nel ranking mondiale dei tennisti Atp zio degli anni Ottanta. Poi è arrivata la tv americana con le valige cariche di dollari e gli uomini adesso incrociano le racchette la domenica. Però, per salvare le apparenze (ipocrisia) non si gioca nella domenica di mezzo del torneo. Una tifosa "di impatto" per Agassl Questo per dire che le evoluzioni nazionalistiche del clan Djokovic in mezzo all'erba (assaggiata, perfino, dal nuovo numero 1), non sono state le prime e non saranno le ultime. Questo per dire che gli esuberanti sodali di Nole, che esultavano e facevano schiamazzi nel box destinato ai parenti, mentre i compassati spagnoli sembravano british al uanandred per cent (beh, del resto avevano ben poco da esultare), sono stati solo gli ultimi di una lunga serie. Perfino Andre Agassi ha avuto, nel 1993, una cheerleader di grande impatto, Barbra Streisand, che esultava con le Lette strizzate in un corpetto bianco a ogni diritto anomalo del suo amore (pubblicitario, doveva lanciare un cd). I serbi sono stati giudicati, da qualche remoto nostalgico dei "gesti bianchi', sopra le righe. In molti hanno stigmatizzato l'uscita della signora Dijana Djokovic che, accanto alla Coppa del figlio, ha sentenziato: «Dopo anni di dominio di Nadal e Federer, è cominciata l'era di Noie». Ma gli esuberanti sodali di Nole, che facevano schiamazzi nel box destinato ai parenti, mentre i coni passati spagnoli sembravano "british", sono stati solo gli ultimi di una lunga serie re-missionario-rugbista-atleta Eric Liddell che non vuole correre la finale olimpica (1924, Parigi) dei 100 metri perché la domenica è il giorno del Signore? Ecco, a Wimbledon funzionava così, fino all'inizio.

Negli ultimi anni i tennisti li fanno in serie, tutti spara fucile senza grande talento o personalità, a parte quei tre nomi che tutti conoscono. E le racchette rosa, in fondo, subiscono la stessa sorte Nessuno, però, ha ricordato di Richard Williams e dei suoi cartelli che mostrava a tutto il Centre Court. Il più famoso: «Questa è la casa di Venere e Serena e voi non siete stati invitati». Il tifosi serbi, guidati dall'effervescente papà Djokovic, Srdjan, non sono stati i primi a profanare l'ipocrita sobrietà del Tempio. Certo non l'hanno fatto gli svizzeri per Roger Fededer, ma i croati per Goran Ivanisevic (2001) sì. E lo stesso Goran, durante la sua prima finale (1992, persa da Agassi al quinto), fu tradotto da più di un cittadino inglese, ma di madrelingua croata, a dire cose irripetibili ai giudici di linea. E vogliamo ricordare gli show di McEnroe con gli arbitri (indimenticabile quello con l'arbitro di origine indiana con il turbante)? O la leggendaria sceneggiata napoletana del 1995 che fece la gioia dei tabloid inglesi (una prece per News of the World)? Accadde su un campo secondario mentre si affrontavano Jeff Tarango, americano sposato con la focosa francese Benedicte, e il tedesco Alexander Mronz, dimenticabile come tennista ma con un fisico bestiale che fece breccia nel cuore di Steffi Graf, prima che scoprisse quant'era tenero Agassi. Tarango accusò l'arbitro (francese) Bruno Rebeuh di penalizzarlo. lo insultò, gli diede del corrotto. Perse il match a tavolino, venne cacciato dal torneo, Già la cosa non era da poco. Ma ebbe un piccante seguito. La bella Benedicte schiaffeggiò Rebeuh nel corridoio degli spogliatoi. Una reazione eccessiva? Si scopri che la signora aveva avuto una relazione con l'arbitro (prima del matrimonio, anche se qualcuno sostenne di no) e quindi andò a chiedergli conto del suo atteggiamento nei confronti del marito. In queste pagine, alcune tra le migliori tenniste del mondo. Da sopra, in senso antiorario, l'americana Serena Williams; l'italiana Francesca Schiavone, che quest'anno ha sfiorato la seconda vittoria al Roland Garros, perdendo in finale contro la cinese Na Li; la russa Maria Sharapova, giunta in finale a Wimbledon dopo un periodo grigio; la danese Caroline Wozniacki, numero uno al mondo. Nella pagina accanto, in alto, la ceca Petra Kvitova in azione a Wimbledon, dove ha battuto la Sharapova; sotto, Martina Navratilova Insomma, il Tempio è stato ridotto a un tempietto molto prima che arrivasse Nole Djokovic, il ragazzo che poteva diventare uno sciatore (o anche un calciatore, i due sport preferiti del padre). I suoi genitori erano proprietari di un ristorante sul monte Kopaonik. Nole è cresciuto con gli sci ai piedi. Poi ha incontrato la racchetta e ora la sua famiglia è una delle più famose e ricche di Serbia. Dal ristorante-pizzeria a catene di ristoranti, ad altre attività diversificate, soprattutto organizzazioni sportive. Ulna potenza. Nole si allena, ha scoperto l'equilibrio di una dieta studiata apposta per lui con prodotti naturali, ha trovato l'amore con la laureata alla Bocconi Jelena Ristic con cui - scrive il Daily Mail - presto convolerà a nozze. Ha trovato anche casa a Montecarlo, Ma questo succede a tanti. Nole tifa per il Milan (il suo idolo è Zlatan Ibrahimo performance migliori le dedicava a Rafa Nadal (che non aveva gradito, gli spagnoli hanno un pessimo senso dell'ironia) e a Maria Sharapova- Tutto il suo repertorio era vasto e brillante. Anche se ha sacrificato la carriera come comico di rivista, ha mantenuto comunque quella sua espressione da giovane guitto che piace ancora molto. Ce n'è bisogno. Il tennis è come il centrale di Wimbledon, ha la copertura scorrevole. Una volta la pioggia bloccava tutto, adesso si schiaccia un bottone e si va avanti. Quando le donne duravano di più Negli ultimi anni si schiaccia anche il bottone per fare tennisti in serie, tutti spara-fucile senza grande talento o eccelsa personalità, a parte quei tre nomi che conoscete tutti. Tutti forti come torelli che caricano a testa bassa, sempre più anonimi. Il problema del tennis del terzo millennio è questo. Privilegia la forza, è logorante, consuma il fisico e la testa. Borg si è ritirato dopo aver vinto sei volte il Roland Garros e cinque volte Wimbledon; qualche anno dopo ha provato a tornare con la racchetta di legno ed è stato travolto dai nuovi ragazzotti cresciuti a palestre e fibra di carbonio. La prima volta che andai a un torneo dello Slam capitai, al tramonto, sul centrale semideserto di Parigi. Stava giocando John McEnroe, ormai a fine carriera. Il tizio che mi accompagnava mi disse: «Ascolta la pallina colpita da Mac, cosa senti?». cNiente», risposi. Appunto» Adesso le botte che tirano sembrano colpi di cannone. In fondo, il tennis femminile subisce la stessa sorte. Una volta le donne erano resistenti, duravano di più degli uomini. Adesso, negli ultimi anni, anche loro crollano come mosche, si infortunano, vanno all'università, si ritirano, fanno anni sabbatici, mettono al mondo dei figli, poi tornano come ha fatto Kim Clijsters. Oppure si ritirano, tornano e si ritirano nuovamente come ha fatto Justine-Henin. Il tennis femminile è molto instabile, litigioso, sempre in fibrillazione. La numero 1 della classifica mondiale, la danese di origine polacca (il padre, calciatore, lasciò il suo paese per giocare a foot-ball. Il tennis femminile cerca una regina in grado di regnare per anni, una che buchi Io schermo come Noie. Sarà la Kvitova, già paragonata alla Navratilova? Santa Martina, pensaci tu) e parla molto bene l'italiano. Ha portato un ventata di novità, ha spruzzato un po' di spezia piccante in un ambiente ingessato e stanco. Si, proprio come il suo clan ha fatto cagnara nel Tempio, lui lo ha conquistato con il suo tennis da grande difensore, con i suoi recuperi, con i suoi attacchi dal fondo. Ma più che con il tennis, che è simile a quello dei tennisti fatti in serie nell'ultimo decennio, ha messo il suo faccione in tv, ha detto qualcosa di nuovo al tennis mondiale. Era un grande imitatore, ora ha lasciato perdere il cabaret e si è concentrato sull'edificazione del successo. Caroline Wozniacki mantiene il primato senza aver mai vinto un torneo del Grande Slam e provocando, per questo, le ire di Serena Williams, che già non è molto popolare per la sua eccessiva "schiettezza". La più piccola - si fa per dire - delle Ebony Sisters si è lamentata, sostenendo che la classifica è taroccata. In questa instabilità, con giovani carriere bruciate in fretta e nuove oltraggiose giovinezze offerte al mondo, si infilano generazioni di affamate figlie (o ex figlie) dell'Est come Petra Kvitova, la ceca che a Wimbledon ha impedito a miss Maria Sharapova di conquistare nuovamente il torneo. Ha impedito "la storia", perché Maria piace sempre moltissimo, anche se erano anni che si trovava a vivere un lento declino. Sta giocando di nuovo su buoni livelli, ma un suo ritorno vincente sull'erba più bella (tennisticamente parlando) del mondo avrebbe alzato molto di più l'audience sull'universo femminile di questo sport che negli ultimi è un po' sceso nell'interesse generale del pubblico. II declino si vede dalle fotogallery Anche il lato voyeuristico del tennis femminile non ha più quel fascino che aveva prima, non è più seguito da un numero di adepti così numerosi. Basta cliccare sui siti dei giornali (anche di quelli importanti) e cercare le solite serie di fotografie con le donne (semi) nude. Le tenniste sono sempre di meno, se non quasi inesistenti. Insomma, il tennis femminile sta cercando una vera regina che sia in grado di regnare per anni, qualcuna che sia come Djokovic, che buchi lo schermo. Potrebbe essere Petra, già paragonata alla Navratilova. Santa Martina, pensaci tu. E l'Italia? Noi sì che ci decliniamo solo al femminile. Meno male che abbiamo le ragazze, da Francesca Schiavone in giù. Abbiamo vissuto anni da protagonisti, nascosti dietro le gonne delle ragazze. Francesca, la nostra grande lottatrice, ha corso il rischio di rivincere il Roland Garros. Ce la teniamo stretta, sperando che resista al tempo come resiste sul campo, che rimonti il destino come rimonta le avversarie. Aspettando che uno come Djokovic nasca, un giorno, invece che nei dintorni di Belgrado, in quelli di Casalpusterlengo.
 

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