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11/08/2011 16:49 CEST - IL PERSONAGGIO

Dodig e le grandi destinazioni

TENNIS – Ivan Dodig, croato nato a Medjugorje, come Cilic, ha saltato quasi due anni da junior a causa della guerra nei Balcani. “Non avevo abbastanza soldi per viaggiare” ha detto. Ma il carattere non gli manca e nell’ultimo anno scala il ranking. La svolta nel Challenger di Kolding nel 2009: tutto inizia con una finale persa e un trofeo mandato in frantumi. A Montreal ha frantumato la ragnatela di Nadal. Alessandro Mastroluca

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Se vuoi qualcosa, vai e inseguila. La filosofia di vita del Chris Gardner visto da Gabriele Muccino sembra la stessa che orienta vita e carriera di Ivan Dodig. Con potenza e personalità, con un servizio, che è il suo colpo preferito, sempre intorno ai 220 kmh, il croato nato a Medjugorje si è regalato un miracolo: battere Nadal in rimonta.

Ha chiuso con 44 vincenti, che aggiunti ai 33 errori del maiorchino, hanno prodotto l’1-6 7-6 7-6 finale, con il numero 2 del mondo salito 6-1 3-1 ma incapace di chiudere. È una fragilità imputabile non solo alla “ruggine” della prima partita dopo la finale di Wimbledon. Una fragilità rara per il campione di Manacor. Alla mente vengono solo il quarto di finale perso il Del Potro-deluxe del 2009 a Miami (con Rafa che si fa rimontare un 3-0 pesante, con doppio break di vantaggio nel terzo e Delpo che ottiene la prima vittoria contro un BigFour) e la finale di Doha 2010, con Davydenko formato Playstation che supera un bagel nel primo set e vince 06 76 64.

In scala minore, c’è anche la semifinale di Bangkok contro Garcia Lopez, finita 26 76 63, soprattutto per le 24 palle break sprecate su 26.

Ho provato a giocare più aggressivo possibile”, ha spiegato Dodig. “Può capitare che avversari come Nadal non te lo permettano, ma oggi per fortuna non è andata così. Dal 3-1 del secondo ho lasciato andare il braccio, sapevo che non potevo continuare a giocare come stavo facendo, altrimenti avrei perso subito. Dopo il break ho preso fiducia, ho fatto tanti punti diretti col servizio, che mi ha aiutato nei momenti importanti. Ho saputo sfruttare tutte le occasioni che ho avuto, ho provato a comandare il gioco, senza aspettare che sbagliasse lui”.

Grazie a questa vittoria, il croato dovrebbe tornare intorno al suo best ranking (n.37). La sua è un’escalation rapida quanto abbastanza tardiva. Infatti arriva in top-100 , obiettivo che ha dichiarato essere sempre stato in cima ai suoi sogni, solo lo scorso novembre, dopo la vittoria su Kunitsyn in finale al Challenger di Astana, la ricchissima capitale del Kazakhstan. Lo scorso febbraio vince il suo primo titolo ATP, a Zagabria. Qualche settimana prima era stato l’unico giocatore in grado di strappare un set a Novak Djokovic nella sua cavalcata trionfale agli Australian Open.

Inizia a giocare ispirato dai successi di Goran Ivanisevic, cresce insieme a Marin Cilic, anche lui di Medjugorje, ma come per tutti i tennisti nati a metà degli anni Ottanta nella ex Jugoslavia, non è facile inseguire un sogno come il tennis in un Paese travolto dalle bombe della guerra. “È stato il momento più duro della mia carriera. Da junior ho praticamente perso due anni perché in Croazia era difficile trovare sponsor e non avevo soldi per viaggiare. Perciò giocavo solo i tornei più vicini a casa”.

Ma tutto quello che non fa male, che non uccide, rende più forti. E Dodig diventa più forte. È un giocatore che ha carattere, che qualche volta passa anche per un cattivo carattere. Come nel 2009, quando spacca il trofeo dopo la finale persa, per squalifica, al Challenger di Kolding contro Alex Bogdanovic. Un torneo in cui si è lamentato per tutta la settimana degli arbitri, e soprattutto dei giudici di linea, troppo giovani e inesperti. In finale, dopo aver perso il secondo set al tiebreak 8-6 (Bogdanovic ha avuto riconosciuto l’ace per il 7-6 su una palla più che dubbia) chiede un toilet break. E tutto precipita. Questo il racconto dello stesso Dodig, in una lettera aperta al sito croato Index: “Ero furioso. Mentre uscivo dal campo ho detto a me stesso Pizda (termine volgare per indicare i genitali femminili usato anche per offendere una persona subdola e falsa) e “Oh shit”. In quel momento stavano cambiando i giudici di linea. La stessa vecchia signora [che aveva dato buono il servizio di Bogdanovic] ha pensato che avessi detto “Piece of shit” (pezzo di m...) nei suoi confronti e l’ha riferito al giudice di sedia. Quando sono tornato dal toilet break l’arbitro ha annunciato che avevo perso perché avevo insultato un giudice di linea”. Dodig prende i fiori e il trofeo che spetta al finalista. Dà i fiori a una raccattapalle ed esce dal campo. Appena arriva in spogliatoio lancia il trofeo contro il muro e lo spacca. “Lavoro duro per guadagnare ogni singolo dollaro, e ho bisogno di ogni singolo dollaro che riesco a trarre dal mio lavoro. Non posso sopportare che qualche ragazzino e qualche giudice incapace debbano avere in mano il potere di decidere se io vincerò o perderò”.

In quel 2009, però, l’escalation prende l’accelerata decisiva: inizia la stagione al numero 422 del ranking, la chiude da numero 180. L’anno scorso batte Ferrero in Australia, passa un turno anche a Wimbledon e Flushing Meadows, partendo sempre dalle qualificazioni. Arriva anche l’esordio in Davis e i quarti a Stoccolma. Chiude l’anno all’88ma posizione.

Negli ultimi due anni” ha spiegato, “ho iniziato a cambiare il mio gioco. Ho cominciato ad analizzare ogni singola partita e riconoscere gli elementi positivi che ne potevo trarre. Questo mi ha dato grande fiducia e mi ha permesso di giocare sempre meglio”.

La cura dei dettagli investe anche la preparazione delle racchette. “Per me è essenziale cambiare la tensione delle corde, perché ogni torneo e diverso. Le superfici non sono mai le stesse, e anche le palle sono diverse. Nei giorni che precedono il torneo ho bisogno di trovare la configurazione giusta. Solo quando l’ho trovata posso dedicarmi mentalmente solo a restare concentrato in partita”.

Quest’anno le sue prospettive cambiano radicalmente. Vince Zagabria, battendo Berrer in finale, poi quarti a Delray Beach. Il secondo turno a Miami fa da preludio alle semifinali a Barcellona. Gli piace la terra rossa, ha dichiarato, e si vede: supera Soderling, Raonic e Feliciano Lopez e si arrende solo a Nadal.

Ha anche una buona attitudine all’erba. Si allena infatti a Halle con Martin Stepanek, il suo coach, e il preparatore atletico Milos Jelisavcic. E prima di Wimbledon raggiunge le semifinali anche a Rosmalen (perde da Tursunov).

Ma sono le tre ore di battaglia contro Nadal, che non usciva così presto in un Masters 1000 dagli Internazionali d’Italia del 2008, che gli dischiudono nuove prospettive.

Ivan, che sogna un giorno di giocare, e magari vincere, contro Federer, che considera il più grande di sempre, sul Centrale di Wimbledon, per ora “deve accontentarsi” di una rimonta contro Rafa in una sera grigia e piovosa del Quebec. Sa bene che non sono già tutte descritte le grandi destinazioni. Ma non permetterà a nessuno di dirgli che non può raggiungerle.

Alessandro Mastroluca

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