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13/08/2011 14:10 CEST - L'analisi

Delpo, sveglia! C'è il cemento...

TENNIS - Mancano quasi due settimane a Flushing Meadows, ma uno dei protagonisti più attesi della stagione sul veloce nord-americano, Juan Martin Del Potro, sta deludendo le attese. Per il campione di New York 2009, che si era rivelato al mondo tre anni fa proprio di questi tempi, sono arrivate due sconfitte premature nei primi due tornei estivi sul duro. Eppure ai media aveva dichiarato che lo avremmo rivisto al meglio proprio in estate... Mauro Cappiello

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La stagione sul cemento nord-americano è entrata nel vivo con il Masters 1000 di Montreal, eppure quello che doveva essere uno dei suoi protagonisti più attesi non ha ancora risposto all’appello. In ogni intervista rilasciata nella prima parte del suo anno del rientro, dopo otto mesi di infortunio al polso destro, Juan Martin Del Potro ribadiva che la strada da percorrere era ancora lunga e che non sarebbe stato vicino alle sue condizioni ottimali prima dell’estate, cioè dell’arrivo dei tornei sul duro che precedono lo US Open. Appare invece singolare che, dopo sei mesi forse più incoraggianti di quanto chiunque potesse aspettarsi, le prime uscite inattese del gigante argentino siano arrivate proprio nei primi due eventi che si svolgono sulla superficie a lui più cara, quel cemento sul quale si era rivelato ormai tre anni fa e che, soprattutto, nel 2009 gli aveva dato la sua per ora unica prova del Grande Slam.

Non si può certo dire che a buttarlo fuori a Los Angeles (dove aveva vinto nel 2008) e a Montreal (dove era stato finalista nel 2009) siano stati gli ultimi due arrivati. Ma gli Ernests Gulbis e i Marin Cilic del 2011 sono comunque due giocatori di cui un Del Potro al top avrebbe fatto un sol boccone. Contro il croato, tra l’altro, un Juan Martin mezzo zoppo a Madrid aveva perso solo tre game non più di tre mesi fa. L’altra notte, invece, in una partita fortemente condizionata dalle interruzioni per pioggia (e che proprio a causa della pioggia era stata rinviata al giorno successivo), sono bastati due set per rispedire Delpo a casa, con nemmeno una palla break ottenuta e due servizi ceduti su altrettante occasioni concesse. Non sono questi i numeri di un giocatore che, a inizio 2011, si era inserito brillantemente nella top 5 delle palle break, sia di quelle sfruttate che di quelle annullate.

Contrariamente alle aspettative, la Torre di Tandil sta facendo fatica proprio nei mesi che avrebbero dovuto fargli inserire il turbo per riportarlo, dopo un anno di assenza, in quella top 10 che a uno come lui spetterebbe di diritto. La sua ascesa spaventosa in classifica (463 posizioni guadagnate dal numero 485 del 31 gennaio al 22 del 6 giugno) si è pressoché arrestata negli ultimi due mesi e ora Del Potro staziona al numero 19 del ranking. Ci si è messa anche la sfortuna nei sorteggi a fermarlo sia a Parigi, dove ha pescato Djokovic al terzo turno, che a Wimbledon, dove, agli ottavi, si è dovuto confrontare con Nadal. Questi ultimi due incontri, entrambi persi in quattro set, da un lato avevano dimostrato come fosse ancora troppo presto per parlare di un Del Potro completamente recuperato, ma dall’altro avevano fatto vedere come, pur non ancora al 100 per cento, l’argentino fosse comunque competitivo almeno per tre quarti di gara contro i primi due giocatori del mondo.

Proprio il match con Nadal a Wimbledon aveva fatto dire a Juan Martin di aver capito che l’infortunio dell’anno scorso era ormai completamente alle sue spalle. Ora, invece, questa mini crisi sembra aver colto di sorpresa tutti, anche i principali siti argentini, come Clarin e la Nacion, che per adesso hanno confinato le notizie delle sue ultime sconfitte tra le brevi, senza dedicare a questo “momento no” nemmeno un approfondimento.

Il diretto interessato, su Twitter (il mezzo di comunicazione che preferisce), si è limitato a scrivere che «a Montreal le cose non sono andate bene e Cilic ha meritato di vincere». C’è poi chi nota che da quando, il 28 giugno scorso, sulla sua pagina di Facebook (che aggiorna con meno frequenza rispetto all’altro social network) è passato da “single” a “impegnato”, le sue prestazioni sono andate in calando. Sembra quindi essere diventata ufficiale la storia con la sua ultima fiamma Stephanie Demner. Ma sarebbe forse una forzatura attribuire a questo evento la causa delle ultime sconfitte inattese di Del Potro, anche perché il corteggiamento con la modella argentina diciannovenne va ormai avanti almeno dal periodo precedente all’Australian Open, senza che tutto ciò avesse fatto perdere a Juan Martin né la concentrazione in campo né la voglia di vincere.

Più probabile invece che con l’arrivo dell’estate si sia iniziata a far sentire quella pressione che nella prima parte dell’anno l’ex numero 4 del mondo non aveva avvertito. Tutti erano ansiosi di rivederlo in campo, ma nessuno si aspettava da lui grandi cose sin dall’inizio. Lui invece è riuscito a dimostrare di poter essere di nuovo competitivo e, con un Murray sempre più a corrente alternata, di poter tornare a ricoprire quel ruolo di vera alternativa di vertice che in molti gli avevano assegnato dopo il suo trionfo americano. È quindi normale che un po’ tutti lo aspettassero al varco nei mesi caldi, per vedere se, sulla sua superficie più amata, fosse davvero capace di realizzare quell’ultimo salto di qualità che, con nessun punto da difendere da qui a gennaio, lo avrebbe riportato in classifica alle posizioni che più gli competono.

Si spiega forse così il Del Potro delle ultime uscite, non proprio all’altezza nei momenti che contano, quando lui stesso ci aveva abituato a una tenuta mentale straordinaria, fuori dal comune soprattutto per un ragazzo poco più che ventenne. Troppi tie-break persi nelle ultime partite, ben sei su nove dal Roland Garros, compreso quello del primo set contro Nadal a Wimbledon, dove, per fargli perdere la concentrazione e di conseguenza anche il parziale (nonostante un vantaggio iniziale di 3-0) e probabilmente l’incontro, è bastato un medical time out a tradimento dello spagnolo. E forse si spiega così anche la débâcle del Queen’s con Mannarino, contro il quale ha perso una partita nata storta, ma che era riuscito quasi a ribaltare, salvo poi smarrirsi nuovamente quando era a un passo dal portare il match al terzo.

E che dire di quelle due palle break sprecate con Djokovic sul 2-2 del terzo set a Parigi (punto di svolta dell’intero match), giocate non esattamente con l’atteggiamento e con il coraggio che siamo abituati a riscontrare nell’argentino? O della fatica fatta soprattutto nelle ultime battute del match per portare a casa una partita più tirata del previsto contro un giocatore al tramonto come James Blake al primo turno in California?

Sembra strano dirlo, ma da qualche tempo Juan Martin Del Potro non è più il giocatore dalla solidità d’acciaio nei momenti chiave che siamo abituati a conoscere e non occorre essere degli psichiatri per affermare che la tensione di dover fare l’ultimo passo per tornare ai livelli di un tempo possa giocare un ruolo pesante. Scalare i bassifondi del ranking per riapparire nella prima pagina della graduatoria ATP è stata sicuramente un’impresa ardua per l’argentino, ma schiacciare l’acceleratore e passare dal numero 20 alla top ten è impresa ancora più difficile e Delpo non riuscirà a completarla senza ritrovare il suo smalto nelle occasioni decisive. Del resto è proprio giocare alla grande quei punti fondamentali che fa la differenza tra un campione e un ottimo giocatore.

In questo sicuramente l’arrivo del cemento si è rivelato un’arma a doppio taglio per Juan Martin. È vero che sul veloce americano il suo drittone prende velocità e il suo gioco piatto e basato sul ritmo si esalta. Ma è anche vero che su questa superficie gli avversari lo guardano come uno degli uomini da battere e le aspettative che lui stesso si pone e che i media e gli osservatori ripongono su di lui aumentano vertiginosamente. E poi non deve essere facile dal punto di vista psicologico tornare sui luoghi che ti hanno consacrato al vertice e avere di nuovo tutto da dimostrare dopo un anno di stop.

Sarà interessante vedere come il campione di Tandil reagirà nei prossimi tornei, in particolare a Flushing Meadows. L’impatto con l’Arthur Ashe, dove fra poco più di due settimane tornerà per la prima volta dopo la vittoriosa finale del 2009 contro Federer, sarà come una tesi di laurea per Juan Martin: è probabile che da lì capiremo molto su quanto l’argentino possa lasciare in futuro le sue impronte nell’élite del tennis di questo decennio.

Mauro Cappiello

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